La collina della munnizza
C’è una discarica vicinissima al paese di Furnari (Messina). Chiuderla? Quando mai. Troppi interessi in gioco
La storia di Furnari, piccolo centro collinare della provincia di Messina, a prevalente economia agro-turistica è un esempio di come il diritto a vivere in un ambiente sano sia stato ripetutamente violato e sacrificato sull’altare del dio denaro a tutto vantaggio del business delle discariche in mano a pochi signori dei rifiuti.
Il paese, che conta all’incirca quattromila anime, da oltre un decennio vive sotto la minaccia di una discarica.
Più o meno controllata, è allestita su di un sito alluvionale imbrifero a ridosso di un torrente, che negli anni si è mangiata un’intera collina stravolgendo l’assetto del territorio – un tempo fiore all’occhiello dell’agricoltura locale – spazzando via uliveti, vivai e campi di rose per far posto a tonnellate di munnizza (spazzatura in dialetto) seppellita senza proteggere l’ambiente o lasciata scoperta per giorni.
La discarica, ubicata in contrada Zuppà al confine tra Furnari e Mazzarrà Sant’Andrea, insiste prevalentemente e amministrativamente sul territorio di quest’ultimo, ma le sue conseguenze nefaste si riversano sul territorio e sugli abitanti furnaresi che da anni sono costretti a convivere con i miasmi.
Essi si sprigionano dagli invasi per via delle perdite continue di biogas e con il costante rischio di inquinamento da percolato delle falde acquifere. Infatti è da sottolineare come le condotte di approvvigionamento del civico acquedotto di Furnari passano proprio sotto l’attuale invaso della discarica.
Il sito nato nel lontano 2001 – su iniziativa dell’allora sindaco mazzarrese Sebastiano Giambò – come discarica comprensoriale e temporanea, per sopperire alle esigenze di soli sette comuni, complice uno stato di “continua emergenza” rifiuti e con l’avallo delle pubbliche istituzioni che hanno sempre trovato molto più comodo continuare a mantenere in vita una discarica che non sarebbe mai dovuta nascere, tra autorizzazioni “stabilmente provvisorie”, proroghe e sopraelevazioni è invece cresciuta fino a diventare la più grande e l’unica discarica operativa dell’intera provincia di Messina. Solo nel 2009 a Mazzarrà sono state smaltite 261.093 tonnellate di rifiuti a fronte delle 333.472 prodotte nello stesso anno nel territorio provinciale.
Nel recente passato (2010) qui è stata stoccata anche la spazzatura proveniente dagli impianti di Tufino e Gigliano in Campania, in violazione delle leggi vigenti e con buona pace delle preposte istituzioni regionali e provinciali.
La sua gestione, inizialmente esercitata dal Comune di Mazzarrà Sant’Andrea, nel 2002 è passata ad una società a capitale misto pubblico-privato, la Tirrenoambiente, che è la protagonista assoluta di questa storia: una società diventata monopolista per caso perché ha scelto di investire nei rifiuti e ha fatto fortuna, tenendo in pugno, di fatto, le varie amministrazioni comunali, provinciali e regionali che si sono avvicendate nel tempo e che non hanno mai fatto nulla per rimediare allo scempio.
Società che in più di un’occasione è finita sotto i riflettori della magistratura tra accuse di conflitti di interessi e rapporti sospetti con esponenti mafiosi, ed è stata oggetto di diverse interrogazioni parlamentari (Di Pietro, De Toni e Fava).
Il suo capitale sociale (2.065.840 euro) è detenuto per il 45 per cento dal comune di Mazzarrà Sant’Andrea. Tra i privati, che messi insieme arrivano al 49 per cento, le quote maggiori sono detenute dalla Ederambiente (21 per cento), dalla Secit e dalla Gesenu (entrambe con il 10 per cento). Le altre quote private sono detenute dalla Ecodeco, San Germano, Cornacchini, Themis e Bioener, società che forniscono il know how necessario. In particolare, il know how fornito da Ederambiente e Gesenu è stato quello della raccolta e del trasporto dei rifiuti, lavoro che hanno svolto fino al 2010 proprio nell’ambito di riferimento dell’impianto (ATO ME 2).
In pratica, chi ha raccolto la munnizza è socio della discarica che li ha smaltiti: un intreccio che lascia spazio a conflitti di interessi, secondo Legambiente Sicilia e la Commissione bicamerale per gli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti. La stessa Commissione si è occupata della società mista e della sua discarica anche a seguito dell’avvio dell’inchiesta Vivaio condotta dalla Procura della Repubblica di Messina. Qui, si legge nella relazione della commissione, «sarebbe emersa una sorta di gestione non ufficiale da parte della mafia barcellonese, e in particolare da parte della famiglia mafiosa di Mazzarrà Sant’Andrea».
L’inchiesta ha coinvolto i vertici della Tirrenoambiente e il 28 marzo nella sentenza di primo grado del processo Vivaio alla mafia delle discariche, tra gli altri, è stato condannato a 14 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa anche l’ex presidente (dimessosi proprio in seguito al suo coinvolgimento nell’indagine), Sebastiano Giambò. Ciò non ha tuttavia impedito alla società di ottenere ben due autorizzazioni – rilasciate dalla Regione Siciliana (2007 e 2009) – all’allargamento dell’impianto fino a una capacità d’abbancamento di 1.720.000 metri cubi di spazzatura, che tradotta in introiti potrebbe portare un incasso complessivo superiore ai 130 milioni di euro.
Un business molto redditizio per la Tirrenoambiente. Solo nel 2011 dalle sue molteplici attività (abbancamento dei rifiuti, produzione di energia elettrica da fotovoltaico e combustione di biogas, ecc.) si sono ottenuti ricavi netti superiori ai 31 milioni di euro (con un incremento di oltre 10 milioni rispetto all’anno precedente), che hanno consentito ai soci (pubblici e privati) di spartirsi circa un milione di euro di dividendi.
Rosee le previsioni per l’anno in corso, infatti grazie ai numerosi “accordi transattivi” «sottoscritti» con i singoli comuni, la società mista prevede di recuperare «crediti pregressi di rilevante entità», con la Regione siciliana che nei primi mesi del 2012 «ha erogato una somma pari al 15% del credito vantato nei confronti della spa Ato Me 2 (ammontante a oltre 30 milioni di euro)». Inoltre, è in dirittura d’arrivo il completamento di due nuovi impianti che trasformeranno il sito di contrada Zuppà nel più grande polo industriale dei rifiuti della regione.
Proseguono infatti i lavori per la realizzazione dell’impianto di biodigestione anaerobica e biostabilizzazione dei rifiuti. Secondo quanto riportato nella relazione di bilancio 2011 della società proprietaria della discarica, «sono in fase di ultimazione i lavori dei cementi armati affidati alla ditta Co.Gedis di Messina», mentre la Sicep (affidataria dell’appalto) si occuperà del «montaggio della struttura prefabbricata». L’opera – i cui lavori erano stati autorizzati dalla Regione Siciliana nel lontano 2009 – dovrebbe entrare in esercizio «prima del termine del corrente anno».
Sempre secondo la citata relazione, per l’inizio del prossimo mese di agosto è previsto il collaudo dell’«impianto di trattamento dei percolati (la cui autorizzazione risale addirittura al 2006). prodotti dalle discariche di Mazzarrà Sant’Andrea e Tripi», che dovrebbe smaltire un volume pari a 50 mc giornalieri, ma a quanto pare, sarà richiesta l’autorizzazione ad un ulteriore ampliamento di 200 mc/giorno.
Un notevole risparmio di costi per la società mista che attualmente smaltisce il percolato inviandolo su gomma a Gioia Tauro, senza considerare l’ipotesi – tutt’altro che inverosimile – che la stessa Tirrenoambiente potrebbe mettere a disposizione il nuovo impianto (che verrebbe ad essere l’unico siciliano) al servizio di altre discariche, incrementando in tal modo il giro d’affari dei signori dei rifiuti.
Oltre ad essere stata coinvolta in fatti di mafia, bisogna aggiungere che per i carabinieri del Noe di Catania e la procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto (ME) – titolare di più di un’indagine sulla gestione dell’invaso di Mazzarrà – i vertici della Tirrenoambiente avrebbero tralasciato di rispettare tutte le leggi in materia (l’ex presidente del Cda Giambò e l’Ad Innocenti sono imputati, in concorso, per interruzione di pubblico servizio e per avere omesso di predisporre strumenti idonei alla captazione del biogas, le cui esalazioni hanno arrecato danni e molestie alla popolazione di Furnari; per l’Ad Innocenti è stata inoltre disposta l’imputazione coatta per il reato ambientale di gestione di rifiuti non autorizzata; mancanza di autorizzazione per la realizzazione degli impianti per la produzione di energia dal biogas, sequestrati recentemente dai carabinieri del Noe) e quindi legittimamente non possiamo non porci il dubbio se, di fatto, oggi, contrada Zuppà non sia una discarica illegale.
Non bisogna difatti dimenticare che la direttiva europea 1999/31 CE, recepita – tardivamente – in Italia con il decreto legislativo 36/2003 e la cui applicazione è stata rimandata di anno in anno fino al luglio 2009, proprio con l’intento di ridurre i rischi connessi alle discariche, impone lo smaltimento in discarica solo dei rifiuti trattati e non dell’indifferenziato che in Sicilia costituisce ancora il 90% dei rifiuti conferiti e dove il sistema della raccolta differenziata stenta a partire perché condizionato dal conflitto di interessi di chi, come la Tirrenoambiente e i suoi soci, gestisce raccolta dei rifiuti, raccolta differenziata, discariche e impianti per il recupero dell’energia.
Lo stato deve garantire ai suoi cittadini il diritto a vivere in un ambiente sano e ha l’obbligo di gestire in maniera virtuosa il ciclo dei rifiuti. Lo dice la sentenza (10 gennaio 2012) della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia per la malagestione dell’emergenza rifiuti in Campania dal 1994 in poi.
Ancora una volta l’Europa sanziona vent’anni di politiche italiane dei rifiuti che hanno avuto come prevalente filo conduttore la costruzione di impianti di incenerimento – i quali aggiungono al danno per la salute dei cittadini anche la beffa dell’essere stati finanziati con i soldi pubblici tramite lo scandalo della truffa dei Cip6 – e apertura di nuove discariche. Un sistema, questo, dietro cui si celano conflitti di interesse e intrecci più che sospetti con la mafia.
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