venerdì, Dicembre 20, 2024
CulturaInterviste

La baronessa

Dieci anni, poi tredici, diciotto, poi ottanta. E ora finalmente si racconta (prima si parlava poco)

Il viandante che andava lungo il torrente Aci de’ Patanè, steso là come un pezzo di mare morto, e gli alberi di limoni sempre verdi delle campagne della Rua, accanto ai nespoli e l’unico albero di kumquat forse dell’intera piana di Catania, se domandava, per ingannare la noia: – Qui di chi è? – sentiva rispondersi: – Di Nicotra. – E passando vicino a una fattoria grande quanto un paese, mentre dall’altro lato della strada si incominciava a vedere il mare di Capomulini: – E qui? – Di Nicotra. – Poi veniva un uliveto folto come un bosco, mentre di fronte ormai si vedevano i faraglioni di Aci Trezza. Erano gli ulivi di Nicotra, e ogni albero dava almeno due chili di olive, che poi condite con olio, aceto e peperoncino erano la fine del mondo. Pareva che fosse di Nicotra perfino il mare di Aci Castello, che di notte le lampare illuminavano a giorno, le lampare delle barche di Nicotra, che pescavano i pesci di Nicotra. E non si creda che fosse uno qualunque: aveva pure il titolo, barone, non come certi arriccuti che non contavano niente.

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– Perciò stava ad Aci Castello questo Nicotra?

– Sì, ‘o Casteddu. L’hai presente dove la nazionale fa la curva scinnennu pi Catania? Un poco prima c’è ncanceddu alto alto. Da là si entrava. Ora no sacciu chi c’è. Forse ci hanno fatto una casa per vecchi o un locale.

– E tu stavi là?

– Io sì, stavo là. I miei genitori erano massari do baruni Nicotra. Nove figli eravamo, cinque masculi, perciò mo patri e i mo frati travagghiavanu fuori, diciamo nel giardino, e mo matri e i mo soru aiutavano, tipu ca allevavano le crape, oppure abbeveravano i ciuri, oppure c’era la raccolta delle olive e poi si faceva l’ogghiu.

– Ma tu sarai stata piccola, Orazia, di quanti anni?

– Mah, penzu dieci anni, andavo a scuola la mattina e poi non faceva nenti. Furriava, andavo in giro. Una volta, mi ricordo, la proprietà era grandissima, e nell’altro pizzo c’era, staccata, una casina, sempri aperta, non c’erunu porti chiusi. Era strapiena di libri buttati in mezzo, ‘nterra! Noi, carusi giustamente, ci siamo entrati… iu assittata nterra arriminava, e trovai mille lire. Io non sapevo cosa erano. Cu sapi di quantu tempu erunu dda, erunu fraciti, marce, si può dire, e ci purtai a mamma. Mo mamma, cettu, si priau, era cuntenta, ma io non è che capivo cosa significava.

– Ma voi dormivate nel palazzo o fuori?

– Fuori nel giardino c’era una casa piccola, là.

– E invece la baronessa quanti anni doveva avere?

– Mah no sacciu, perché gli anni di allora non si capisciunu. A vent’anni già una pareva di quaranta. Ma ne poteva avere, iu penzu, una trentina. Una bella donna. U baruni no, era un po’ bassino, gobbo. Lei era una bella signora, certo ancora in età da figli, però non n’appi.

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– Certo, essendo baronessa poteva essere un problema che non aveva figli, se no le proprietà, i titoli a chi andavano?

– Cettu, cettu… idda infatti ci pruvau ad adottarmi, ma non ci arrinisciu. Mia madre era molto voluta bene dalla baronessa, infatti a barunissa ci domandò se io potevo andare a vivere con lei. Mo matri dissi di no, però iu ci stesi cu idda per un paio di giorni. Mi ricordo che c’era una stanza grande con un lettino messo di fronte. Poi c’era una porta ai piedi du lettu che si entrava e là si ci cuccava barunissa, invece dall’altra parte c’era una scala e c’era un soppalco unni si ci cuccavunu tre donne, come si dice, domestiche? Invece mi ricordo che ndo so lettu della barunissa c’era messo il baldacchino. Ma io non lo sapevo, non lo capivo perché ero là. Poi mu cuntaru, quann’era chiu granni.

– Certo, se tua mamma avesse accettato…

– A st’ura era ricca! E barunissa pure. Cu sapi che si prova in queste situazioni. Io, ora come ora, direi “Ma fossi, a faricci peddiri l’avvenire…”, chi lo sa si l’avissa fattu. Ma poi, sicuramente non li vedevo più i mo genitori.

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– Eh. Quanto tempo siete stati ad Aci Castello?

– Mah, penso tre anni. Perché poi… Pensa che nella mia famiglia erunu sei masculi ca travagghiavunu e puttavunu soddi. Perciò a un certo punto di là ce ne siamo andati e n’accattamu a casa ad Aci Catena. Infatti a mo matri a sapevunu sentiri Maridda a ricca, la chiamavano così perché si era potuta comprare la casa.

– Quindi tu avrai avuto tredici anni quando siete venuti ad Aci Catena, e poi a diciotto ti sei sposata…

– Certo. E mi ricordo… iu mi maritai a ottobre, e circa un mese prima ogni mattina mi faceva n’ovu a biviri, un uovo da bere, e dopu m’ava pigghiari un bicchiere di marsala. E mia cugina, ca stava nda casa appressu, mi diceva sempre “Pigghitillu st’ovu, ca ora ta maritari!”. Cioè mi serviva per rinforzarmi. E poi si parlava di cucinare. Allura mo patri ci diceva a mo matri: “Mara, ora ca sta carusa s’ha maritari, faccilla fari qualcosa! U sugu, a pasta…” e mo matri, ca di caratteri era come me, ci diceva: “No! Zoccu voli fari, fa.”

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– Ma dimmi una cosa Orazia, poi quando sei rimasta incinta eri contenta?

– Ero contenta, però… non capivo tutto il percorso. Allora non era come ora. Allora taliavi… “Ah vadda, stavolta nenti”, e si chiudeva là, non esisteva che andavi dal ginecologo. Io a sette mesi mi ni ii dall’ostetrica e idda mi fici l’analisi. Poi nasciu a prima figghia e iu non capeva cosa significava. Nta l’animu miu, per esempio, si ci dava l’acqua era comu si a faceva mangiari. Poi mi apriu l’occhi a za Pippa, ca na vota mi dissi “Mangiau sta figghia?”, e iu “Ci desi l’acqua poco fa”, e idda, giustamente, mi dissi che l’acqua era una cosa e u mangiari n’autra cosa. Insomma, di cervellu ero a terra.

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– Vabbè Orazia, avevi diciott’anni.

– Ma diciott’anni di allora. I diciott’anni di ora su comu chiddi di allora? A me nell’ultimo periodo, dopu ca ava accucchiatu i novi misi, mi dicevunu “Non tu vutari u lettu, non ci canciari i linzola picchì quannu patturisci poi si ci devono levare!” e iu, ignorante, ci diceva “Picchì? Si su puliti c’è bisogno ca ci levu?”, nenti sapennu ca si ponu schifiari, si ponu allurdari, perché allora si pattureva intra. Ma siccomu tannu si parrava picca, non è che mo matri mi spiegava che cosa significava.

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E vabbè, sono cose passate. Ora c’è la seconda vita, io ora sto vivendo la seconda giovinezza. Giusto? Haiu a mo bedda età, sugnu sula e fazzu chiddu ca vogghiu. Quello che non ho fatto tempo fa, ca non si puteva fari, ca non c’erunu le possibilità, quello che posso lo faccio adesso.

– E mi sembra giusto Orazia.

– Ma ciccina dimmi una cosa, tu quannu ti mariti?

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