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Io ero come loro

Napoli, la storia di Salvatore, falegname dei Quartieri Spagnoli. Dall’eroina al sudore per aiutare i ragazzini come lui

“Sono stato arrestato nel 2003; un anno e mezzo dentro, un piccolo reato. Mi facevo di eroina. È stato un bene.. così ho smesso”. Salvatore, 43 anni, ci vuole raccontare la sua storia. Fa il falegname, è alto, impostato ma a colpire è lo sguardo: occhi azzurri, vispi, mostrano intelligenza ma anche tanto vissuto, ben oltre la sua età.

foto Mario Libertini
foto Mario Libertini

“Non sono stato subito libero, prima sei mesi ai domiciliari. Mi metto nello sgabuzzino e comincio a lavorare un po’. Nella mia natura non è contemplato un giorno per restare fermo. Invento un cofanetto di legno su cui appongo pezzi di stoffa; erano scarti di lavoro di mio padre, faceva il tappezziere. Utilizzo la stessa tecnica del tossicodipendente che va a vendere un po’ di tutto in giro, mandando mio fratello”.

Poi arriva la libertà, quella vera. “Apro una bottega tutta mia. Fuori c’era scritto ‘falegnameria’ ma dentro era vuoto. L’ho aperta a luglio, quando non c’era nessuno perché era estate. Capisci? Avevo troppa voglia di fare, nulla poteva ledere la mia idea. Volevo i soldi per l’affitto, ero senza pretese. Volevo solo restare a galla”.

“Invece ora è milionario – interviene ironico un amico – la lezione di vita è: imparate a pagare l’affitto”. Scoppia una risata, spontanea.

“Insomma – continua – pian piano la voce si sparge. Passano quattro anni e lavoro a pieno regime. Mi ero dimenticato della mia vena artistica. Ora, mi dico, faccio di nuovo una farfalla”  – e indica una scultura in legno su una mensola – “da piccolo le facevo in compensato e la regalavo agli amici, così decido di modificarle un po’ e le creo con legno massello. Nel frattempo vengo deriso perché un falegname non può permettersi di avere fantasia. Solo uno mi propone di fare, gratuitamente, una mostra. Non si presenta nessuno. Invece di abbattermi capisco che devo crearmi un giro di conoscenze e così faccio. Riprendo anche a dipingere, lo spazio era piccolo e cambio bottega”.

Salvatore si ferma un attimo ed attacca con un’altra storia di cui all’inizio non si comprende il significato.

“Da piccolo un falegname qui vicino non mi voleva nella sua bottega, non mi faceva mai entrare. Se mi avesse fatto lavorare con lui forse sarebbe stato diverso, forse non avrei percorso le brutte strade che ho percorso. O forse l’avrei fatto lo stesso, ma mi ripeto che i ragazzini di oggi devono poterci entrare in falegnameria, così cerco di coinvolgerli. Magari hanno una fantasia che non sanno neanche di possedere, oggi ti mettono davanti a YouTube e non capisci più niente. Non saprai mai chi sei”.

Salvatore, Sasà per gli amici, ama guardarsi intorno e nel farlo si rende conto che i Quartieri Spagnoli non hanno un buon allestimento urbano ma sono pieni di spazzatura. “Raccolgo i rifiuti e costruisco cestini, li do poi ai negozianti facendoglieli personalizzare. Quello – e indica soddisfatto un cestino dietro di lui – è il duecentesimo. Per un turista muoversi in questo dedalo di strade è impossibile, si perde. Così ho costruito dei cartelli, più di trecento. Ogni mattina vedevo un vecchietto salire a fatica per strada, quasi si trascinava. Così con le reti dei letti abbandonati ho costruito una panchina, l’ho dedicata a lui, si chiama Enzo, è stato il primo a sedersi”.

Qui subentrano i ragazzi del quartiere: “I ragazzini distruggevano i cestini, così, per divertimento. Io gli ho detto di venire ad imparare il mestiere, loro hanno accettato. Non ho mai visto nessun pazzo distruggere il proprio lavoro”.

Dobbiamo interrompere la nostra chiacchierata perché arriva un signore, amico di Salvatore. Gli si è rotta la serratura del garage; Sasà si scusa e si allontana.

“Nella bottega di cui parlavo prima” – prosegue dopo aver fatto ritorno – “ho trovato delle camere sotterranee, ex depositi di carbone. Ecco perché la mia falegnameria si chiama Miniera. Erano piene di spazzatura, dopo tanto lavoro le libero e diamo vita a dei concerti. Il tempo passava ma lo spazio era ancora piccolo. Non poteva ospitare tutte quelle cose ma soprattutto tutte quelle idee. Tante cose restavano in testa, non c’era lo spazio. Così quattro mesi fa ho preso questa sede, molto più grande. L’ultimo lavoro che ho fatto? Un carretto di carnevale, un laboratorio di quasi due mesi con ottanta-novanta ragazzi che venivano a rotazione. Il carretto ha poi sfilato durante il carnevale sociale nei quartieri”. Con i ragazzi ora realizza dei piccoli quadretti e li vende ai turisti insieme ai suoi disegni e alle sue sculture.

“Li vedi questi?” – indicando i quadretti – “ormai alcuni dei ragazzi sanno farli da soli, senza il mio aiuto”. Un sorriso gli compare in faccia, forse vuole nasconderlo ma non ci riesce proprio: è orgoglioso.

Salvatore ora è conosciuto, è stato chiamato anche al carcere di Opera, a Milano, per parlare ai detenuti, per raccontare la sua storia di riscatto: ”Io posso farlo, posso guardarli negli occhi e dirgli che una volta usciti possono darsi da fare e rinascere. Io ero come loro”.

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foto Mario Libertini

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