Io che da morto vi parlo
Sei anni fa il suicidio del professore le cui denunce portarono allo scioglimento per mafia del comune di Terme Vigliatore, in provincia di Messina. Ecco la sua storia
Ci sono storie di grande coraggio che troppo spesso vengono dimenticate o a cui non viene dato adeguato spazio. Una è quella di Adolfo Parmaliana.
Professore di chimica industriale all’ Università di Messina, molto stimato anche all’estero, ai suoi studenti ripeteva sempre: “Cambia le cose prima che le cose ti cambino”.
Si è tolto la vita il 2 ottobre di sei anni fa, gettandosi da un viadotto dell’autostrada Messina-Palermo, prima che le cose cambiassero lui.
Nel suo studio, raccontano, campeggiava una gigantografia di Enrico Berlinguer: era il suo modo per ricordare in ogni istante ai suoi interlocutori quell’universo di valori e ideali a cui era legato.
In prima fila contro Cosa Nostra
Aveva lottato prima per il PCI, poi per il PDS, infine per i DS, sempre in prima fila contro Cosa Nostra e il malaffare, producendo denunce precise e circostanziate contro il sistema di potere mafioso e corrotto che governava il suo paese, Terme Vigliatore, seimila anime in provincia di Messina.
Fu proprio grazie alle sue denunce che nel dicembre 2005 fu disposto dall’allora ministro degli Interni Pisanu lo scioglimento del suo comune per infiltrazione mafiosa.
La reazione di quel sistema di potere non si fece attendere. Il vicesindaco del paese lo trascinò in tribunale per diffamazione, a seguito della sua affissione di volantini di soddisfazione per l’avvenuto scioglimento in giro per la città.
L’isolamento morale
Le voci in sua difesa furono poche: i compagni di partito lo lasciarono solo. Tanto che quando nacque il PD abbandonò la militanza, stanco di essere ignorato, deriso, umiliato da quei compagni di partito per i quali la Questione Morale era sì il centro del problema italiano, ma se si fa politica con la morale non si vincono le elezioni.
Del resto, le sue lettere a Fassino e Veltroni, in cui denunciava l’andazzo generale nel “partito nuovo”, non ricevettero mai alcuna risposta: erano evidentemente troppo impegnati.
Il suicidio maturò subito dopo il suo rinvio a giudizio per calunnia, per la questione dei volantini. Era troppo anche per lui.
L’ultima lettera
Lasciò una lettera, il suo ultimo atto d’accusa, intitolata “Io che da morto vi parlo” (da cui prende il titolo il bel libro di Alfio Caruso) in cui disse chiaramente che “la magistratura barcellonese-messinese vorrebbe mettermi alla gogna, vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi; mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito, di servitore dello Stato e docente universitario…”. Non lo permise e si tolse la vita.
L’isolamento morale
Sei anni dopo quel gesto estremo è amaro constatare nei suoi confronti esista ancora una damnatio memoriae, che vede colpevole anche il movimento antimafia. A breve su WikiMafia ci sarà la sua voce. Perché la sua storia non va dimenticata. O avranno vinto quelli che quando Parmaliana era in vita hanno fatto di tutto per far sì che in vita non ci restasse.