domenica, Novembre 24, 2024

Inchieste

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Lo sgombero dei rom di Scampia

Il coro dei difensori filo-istituzionali e degli opinionisti dell’ultima ora si domanda stizzito: ma cosa vogliono questi rom, hanno pure avuto i soldi? E aggiungono diffamando con assoluta certezza: le associazioni parlano perché ci speculano e guadagnano su di loro. Qualcuno è più benevolo e si limita a condannare un atteggiamento che si presume assistenziale. La solidarietà, il processo di comunità, il lavoro di prossimità, le lotte collettive per la difesa dei diritti non fanno evidentemente parte dell’orizzonte mentale dei più.

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Vita da camerieri

“Il cameriere a Catania viene concepito come il tuttofare che lavora in sala, e fa tutto quello che serve nel locale. Lavora in cucina, sparecchia, apparecchia, pulisce alla fine. Si fa un servizio che in un contratto dovrebbe comprendere più mansioni, invece si lavora senza contratto e si viene pagati poco”. Matteo ha ventuno anni, ha lasciato l’università per ragioni economiche e fa il cameriere per arrotondare.

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Davanti al giudice il re è nudo

Il processo a Mario Ciancio non sarà l’analisi giurisprudenziale su quanto sia lecito il lobbismo in terra di mafia, non sarà nemmeno la disamina di quanto il padrone de La Sicilia fosse consapevole di stare favorendo dei clan mafiosi. Sarà un processo ai meccanismi di potere che dominano Catania da sessant’anni. Avvocati e magistrati diranno di fermarsi alle prove, ai capi d’imputazione, alla verità processuale. Ma tremeranno lo stesso le stanze di Confindustria, i saloni di palazzo degli Elefanti, le redazioni dei giornali di famiglia, gli studi in radica dei padroni della città: davanti al giudice, il re è nudo.

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Il processo Saguto: Telejato non c’entra, dice Lo Voi, e invece gli altri magistrati dicono sì

Man mano che vanno avanti le escussioni dei testi nel processo che si sta svolgendo presso il tribunale di Caltanissetta, nei confronti di Silvana Saguto e dei componenti del suo “cerchio magico”, in relazione all’allegra gestione della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, vengono fuori, dalle deposizioni dei vari magistrati, una serie di notizie, spesso spezzettate, dalle quali si evince con chiarezza che quanto dichiarato dal Procuratore Capo di Palermo Lo Voi e dalla sua collega Lucchini quantomeno non è esatto.

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I mercati dietro la stazione

“Qui i politici vengono a fare problemi solo nei periodi di campagna elettorale, ormai ci siamo abituati, ogni cinque anni provano a sgomberarci o a farci spostare”. Mark vive da quindici anni a Napoli, viene dal Burkina Faso e per sopravvivere vende abbigliamento all’inizio di via Bologna. I palazzi che circondano piazza Garibaldi sono abitati da molti commercianti africani. “Avevo dieci anni quando ho iniziato a lavorare con mio padre e mio nonno, in una bancarella in Piazza Garibaldi” –racconta Antonio- “Nel novantanove è nato questo mercato, e dopo un anno di lotte insieme all’associazione Tre Febbraio abbiamo conquistato di nuovo uno spazio per le bancarelle a piazza Garibaldi”.

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Fallimenti: dalla Procura di Caltanissetta si apre uno spiraglio

Forse si apre una breccia nel muro impenetrabile delle sezioni fallimentari. Non a Palermo, dove tutto è a posto e funziona a meraviglia, ma a Caltanissetta, dove, a conclusione di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica, i finanzieri del nucleo di Polizia economico-finanziaria e i carabinieri hanno arrestato Flavio Rotondo, 30 anni, figlio del cancelliere del Tribunale e dipendente occulto dell’Istituto vendite giudiziarie di Caltanissetta e Catania, finito ai domiciliari, il padre Orazio Rotondo, 60 anni, cancelliere del Tribunale nisseno, sospeso dall’esercizio del pubblico ufficio, assieme a Gianluca Princiotto, 42 anni, direttore dell’Istituto vendite giudiziarie di Caltanissetta e Catania, e a Umberto Amico, 51 anni, dipendente dell’Istituto vendite giudiziarie di Caltanissetta.

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Ciancio, Marchionne e le elezioni

Non sembra che la mafia – il potere mafioso, nel senso in cui lo intendeva Giuseppe Fava – sia stata molto ricordata in questa campagna elettorale. Non lo sono stati nemmeno Fiat, Bialetti, Omsa, Benetton, Ducati, Dainese, Geox, Rossignol, Calzedonia, Stefanel, Telecom – alcune delle centinaia di industrie italiane “delocalizzate”, tolte cioè ai lavoratori che le avevano costruite con decenni di sacrifici e spedite all’estero alla faccia di tutti.

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