venerdì, Novembre 22, 2024
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In mezzo al mare…

Di tutto ciò Emmolo figlio non ne sa niente. Lo tiene fuori il padre, non avreb­be mai accettato. I Pm lo definiscono un tipo “mite e scarsamente duttile”. L’inge­gnere viene assunto come funzionario al Comune, gli serve un posto di rilievo per fare curriculum. Inizia però a combinare i primi pasticci. Una dipendente del Co­mune lo definisce “inetto”. Comincia a prendere iniziative da solo, senza consul­tare i superiori, crea debiti fuori bilancio. Di Marzo cerca di coprirlo, ma l’inge­gnere si mette definitivamente nei guai quando va in ferie senza dare alcuna co­municazione. Una ragazzata. Ma è il pre­testo per licenziarlo.

Di Marzo è tempestato dalle lamentele dei suoi funzionari. Lo spiega al padre. Che nel frattempo va in Procura e vuota il sacco. Per parlare del licenziamento del figlio, e del modo meno “doloroso” per attuarlo, Ernesto Emmolo va a Pan­telleria. Ha con se un registratore.

Dice a Di Marzo che a questo punto vuole resti­tuiti i soldi della tangente. Il sindaco è d’accordo. Il corrotto che resti­tuisce la mazzetta al corruttore, gli inqui­renti all’ascolto faticano a crederci. Dei 10 mila euro dati, il sindaco ne restitui­sce 9 mila. Quando lo fa ha paura di es­sere in­tercettato, e camuffa i discorsi: “ma scu­sa un attimo, ma io dico un pre­stito è un prestito e si restituisce…”.

Non è soltanto la vicenda di Emmolo a tenere viva l’indagine. Ci sono alcuni funzionari del Comune che vengono sen­titi su quell’incarico poco chiaro. C’è poi un altro imprenditore, Matteo Bucaria. Ai Pm racconta di aver dato a Di Marzo, negli anni dal 1994 al 2000, un totale di 100 milioni delle vecchie lire.

I fatti si ri­collegano a quell’inchiesta di dieci anni prima. Di Marzo, intercettato nel dicem­bre 2001, interviene diretta­mente per convincere l’imprenditore a pagare le rate (5 milioni di vecchie lire) dell’estor­sione posta dai Messina. Gli fa pesanti minacce. Bucaria sarà uno dei pochi estorti a parlare al processo. Ai Pm rac­conta che gli appalti pubblici sull’iso­la erano malati. Chi voleva lavorare do­veva dare dal 3 al 5% a Di Marzo.

Bucaria aiuta a togliere il velo su quel­lo “squallido malaffare in capo a chi del pubblico potere sembra aver fato, e non da ora, mercimonio economico”, come hanno scritto gli inquirenti.

L’imprendi­tore poi fa il confronto: “a Trapani si pa­gava la mafia, in particolare gli uomini di Vincenzo Virga. A Pantelle­ria la ‘mafia’ era il sindaco Di Marzo e la sua corte”. Le informazioni raccolte dalla Procura, per il Gip che ha emesso l’ordi­nanza di custodia ai domiciliari per Di Marzo ed Emmolo, “descrivono il qua­dro di abi­tualità alla corruttela da parte di Di Mar­zo”.

Il sindaco di Pantelleria, scrive sem­pre il Gip, sarebbe un “soggetto dedito siste­maticamente a condotte corruttive”.

Dai domiciliari l’ex sindaco non si muove. Al Comune intanto regna lo stal­lo. C’è aria pesante. Anche perché le in­dagini continuano. L’opposizione in con­siglio comunale chiede le dimissioni di massa. Dalla maggioranza nessuno si muove. Pare ci siano le ultime cose da si­stemare. In questi casi i vuoti di potere possono essere pericolosi. E i cittadini si dividono. C’è chi se l’aspettava. Altri so­stengono che Di Marzo sia stato incastra­to. Lui non parla. Non risponde ai Pm. E la sua lettera di dimissioni è quasi toc­cante: “Chiedo scusa a tutti”.

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