In mezzo al mare…
Di tutto ciò Emmolo figlio non ne sa niente. Lo tiene fuori il padre, non avrebbe mai accettato. I Pm lo definiscono un tipo “mite e scarsamente duttile”. L’ingegnere viene assunto come funzionario al Comune, gli serve un posto di rilievo per fare curriculum. Inizia però a combinare i primi pasticci. Una dipendente del Comune lo definisce “inetto”. Comincia a prendere iniziative da solo, senza consultare i superiori, crea debiti fuori bilancio. Di Marzo cerca di coprirlo, ma l’ingegnere si mette definitivamente nei guai quando va in ferie senza dare alcuna comunicazione. Una ragazzata. Ma è il pretesto per licenziarlo.
Di Marzo è tempestato dalle lamentele dei suoi funzionari. Lo spiega al padre. Che nel frattempo va in Procura e vuota il sacco. Per parlare del licenziamento del figlio, e del modo meno “doloroso” per attuarlo, Ernesto Emmolo va a Pantelleria. Ha con se un registratore.
Dice a Di Marzo che a questo punto vuole restituiti i soldi della tangente. Il sindaco è d’accordo. Il corrotto che restituisce la mazzetta al corruttore, gli inquirenti all’ascolto faticano a crederci. Dei 10 mila euro dati, il sindaco ne restituisce 9 mila. Quando lo fa ha paura di essere intercettato, e camuffa i discorsi: “ma scusa un attimo, ma io dico un prestito è un prestito e si restituisce…”.
Non è soltanto la vicenda di Emmolo a tenere viva l’indagine. Ci sono alcuni funzionari del Comune che vengono sentiti su quell’incarico poco chiaro. C’è poi un altro imprenditore, Matteo Bucaria. Ai Pm racconta di aver dato a Di Marzo, negli anni dal 1994 al 2000, un totale di 100 milioni delle vecchie lire.
I fatti si ricollegano a quell’inchiesta di dieci anni prima. Di Marzo, intercettato nel dicembre 2001, interviene direttamente per convincere l’imprenditore a pagare le rate (5 milioni di vecchie lire) dell’estorsione posta dai Messina. Gli fa pesanti minacce. Bucaria sarà uno dei pochi estorti a parlare al processo. Ai Pm racconta che gli appalti pubblici sull’isola erano malati. Chi voleva lavorare doveva dare dal 3 al 5% a Di Marzo.
Bucaria aiuta a togliere il velo su quello “squallido malaffare in capo a chi del pubblico potere sembra aver fato, e non da ora, mercimonio economico”, come hanno scritto gli inquirenti.
L’imprenditore poi fa il confronto: “a Trapani si pagava la mafia, in particolare gli uomini di Vincenzo Virga. A Pantelleria la ‘mafia’ era il sindaco Di Marzo e la sua corte”. Le informazioni raccolte dalla Procura, per il Gip che ha emesso l’ordinanza di custodia ai domiciliari per Di Marzo ed Emmolo, “descrivono il quadro di abitualità alla corruttela da parte di Di Marzo”.
Il sindaco di Pantelleria, scrive sempre il Gip, sarebbe un “soggetto dedito sistematicamente a condotte corruttive”.
Dai domiciliari l’ex sindaco non si muove. Al Comune intanto regna lo stallo. C’è aria pesante. Anche perché le indagini continuano. L’opposizione in consiglio comunale chiede le dimissioni di massa. Dalla maggioranza nessuno si muove. Pare ci siano le ultime cose da sistemare. In questi casi i vuoti di potere possono essere pericolosi. E i cittadini si dividono. C’è chi se l’aspettava. Altri sostengono che Di Marzo sia stato incastrato. Lui non parla. Non risponde ai Pm. E la sua lettera di dimissioni è quasi toccante: “Chiedo scusa a tutti”.