Il viaggio di Leila
Dal campo di Shatila (vi ricorda qualcosa?) alla Svezia, fra fughe e arrangiamenti, con suo marito. Ce la faranno?
Non so quanti sorriderebbero al suo posto. Eppure il sorriso di Leila, dolcissimo, è uno di quei sorrisi rassicuranti e pieni di speranza. Leila ha ventitré anni e vive nel campo profughi di Shatila, periferia sud-ovest di Beirut. Lo stesso che insieme a Sabra, nel 1982, fu attaccato dai falangisti libanesi e dall’esercito israeliano con un massacro di civili inermi, prevalentemente palestinesi e sciiti libanesi.
Nello stesso campo profughi, fatto di vicoli tortuosi, latrine a cielo aperto e fili dell’elettricità scoperti, oggi vivono, insieme ai palestinesi, migliaia di profughi siriani palestinesi giunti qui dall’inizio del conflitto in Siria.
Anche Leila è una rifugiata. Ha lasciato Aleppo con tutta la sua famiglia, quando è stato evacuato il campo di Handarat. In Siria viveva in un campo per palestinesi, ma niente a che vedere con quello di Beirut. Aveva una vita normale ad Aleppo; studiava all’università, usciva con le amiche. Poi la guerra e la fuga in Libano.
Con lei c’è la madre libanese, il padre anziano, malato e preso in cura dall’Agen zia dell’Onu per il Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi (UNRWA), la sorella con le tre figliolette e il marito.
Questi ultimi sono appena stati selezionati dall’UNRWA, come famiglia idonea a trasferirsi negli Stati Uniti. Avranno tutto: casa, corso di inglese, assicurazione e scuola per le bambine.
Leila non trattiene le lacrime alla notizia. E’ una grande occasione per la sorella; ricostruirsi una vita laggiù, dare la possibilità alle bambine di andare a scuola e vivere un po’ di serenità. Quella che silenziosamente sta cercando anche lei.
In questo momento lavora per una piccola organizzazione non governativa all’interno del campo profughi, Welfare Association, impegnata nella ristrutturazione delle case occupate dai rifugiati negli ultimi tre anni; piccoli lavori di manutenzione –uno scaldabagno, una finestra, un soffitto, una porta– per rendere vivibili questi alloggi, se tali si possono definire.
Con questa Ong, Leila effettua il monitoraggio sullo stato dell’avanzamento dei lavori e fa da interlocutrice con i proprietari degli shelters (letteralmente “rifugi”), come vengono definiti nel mondo della cooperazione. E’ un progetto che le ha dato la possibilità di pagare il viaggio al marito, palestinese come lei, scappato dal Libano un mese fa. Duemilaecinquecento dollari dati ad un’organizzazione criminale per passaporto e visto falsi e per il viaggio fino in Turchia.
Oggi, gli occhi di Leila sono un bagno di gioia. Il marito le ha appena inviato un messaggio: è arrivato in Turchia. Non sa come, non sa con chi. Sa solo che è vivo. La prossima tappa sarà entrare in un paese membro di Schengen e da lì fino al loro sogno, la Svezia.
E’ il sogno di tanti rifugiati, raccontato anche in un bellissimo film, “Io sto con la sposa”, interamente finanziato dal basso. Una favola moderna, drammaticamente vera, i cui protagonisti – cinque siriani e palestinesi – cercheranno di raggiungere la Svezia con un finto corteo nuziale.
Da quando è iniziata la guerra civile in Siria, a marzo 2011, più di un milione e mezzo di persone sono fuggite nei paesi limitrofi –Turchia, Egitto, Giordania, Libano ed Iraq–, in cui oggi si vive una forte emergenza profughi.
“Solo un profugo su duecento”
I paesi membri dell’Unione Europea si sono resi disponibili a ricevere solo 12.000 persone, lo 0,5% dei siriani che hanno lasciato il paese. Per gli altri non resta che rischiare un viaggio pericoloso via terra o via mare, mettendosi nelle mani delle organizzazioni criminali specializzate nello smuggling di esseri umani, e sperare così di raggiungere la fortezza Europa.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, la tratta di esseri umani costituisce una delle fonti più proficue di reddito per la criminalità organizzata transnazionale dopo il traffico di droga.
Data la natura del fenomeno, sommerso e illegale, non è possibile offrire dati concernenti i profitti ma è possibile fare una stima indiretta. Solo per la traversata via mare o per i documenti, in media un migrante paga duemila euro ma le stime sono di gran lunga sottostimate, sia perché non tengono conto delle altri fasi del viaggio, sia perché non considerano il nuovo flusso di migranti provenienti dall’Egitto o dalla Siria, in grado di pagare fino a quindicimila euro.
E i trafficanti ringraziano l’Europa
E’ l’effetto perverso delle politiche migratorie vigenti oggi nei paesi membri dell’Unione Europea: mettere nelle mani dei trafficanti persone vulnerabili, costrette a spendere i propri risparmi e a rischiare la vita, facendo di fatto arricchire le organizzazioni criminali specializzate nello smuggling e nel trafficking.
Leila torna a sorridere. Sa che la parte peggiore del viaggio è stata superata. O almeno così spera. Inshallah.