Il terremoto infinito a Marigliano
Sotto sfratto dopo trent’anni di occupazione
Marigliano si distende a nord del vulcano, dove i paesi vesuviani abbracciano la provincia casertana e irpina. Per arrivarci da Napoli, in auto, s’imbocca l’asse di supporto alle spalle di Ponticelli, la cinghia di trasmissione a quattro corsie che arriva dalla metropoli fino alla valle caudina. La statale taglia la pianura, si eleva sui centri abitati che lambisce ai fianchi, lasciandosi dietro fabbricati dismessi e casermoni di edilizia popolare. Le torri luminose della Fiat di Pomigliano e del termovalorizzatore di Acerra si distinguono subito, mentre il paesaggio Blade runnner fa a cazzotti con le poche coltivazioni che ricordano la vocazione del territorio.
Brusciano, Mariglianella, Marigliano: la colata di cemento non permette la distinzione geografica dei Comuni. Magazzini della Gls, ipermercati Conad, negozi dell’Euronics, sono il risultato della trasformazione dell’hinterland successiva agli anni Ottanta. Solo nel centro storico, nonostante la cementificazione, resistono palazzine disposte secondo la pianta antica del castrum romano. A pochi passi dal corso principale, ce n’è una occupata fin dagli anni del terremoto.
Con il sindacato Asia-Usb e altri attivisti impegnati nelle vertenze sul diritto all’abitare incontriamo gli occupanti. Il palazzo necessiterebbe di una massiccia ristrutturazione. Saliamo al primo piano. Un’edicola della Madonna Addolorata protegge gli inquilini delle due abitazioni. Una di queste è casa di Felicetta. Tra le più combattive, per richiamare l’attenzione dell’amministrazione comunale ha “occupato” il Municipio qualche giorno fa. Ha trentotto anni e tre figlie, è cresciuta con sua madre in quel palazzo e subito dopo il matrimonio ha preso possesso di una delle case, quella in cui vive ancora oggi con la famiglia.
Felicetta ci fa accomodare nel soggiorno-cucina. La stufa accesa riscalda l’ambiente e alleggerisce la tensione degli ultimi giorni. Ci sediamo al tavolo al centro della stanza, mentre sul divano di fronte siedono altre donne, in rappresentanza delle famiglie occupanti. Strette spalla contro spalla, sono la testimonianza vivente dell’emergenza abitativa che investe il paese fin dagli anni Ottanta.
Di anni Mariacarmina ne ha ottantacinque. È la più anziana del palazzo, piccola di statura, vestita come se indossasse il lutto, ha il sorriso di chi ha imparato a sopravvivere alla guerra e ai crolli quotidiani. Per sfuggire alla miseria, il suo compagno se n’è andato in Germania, negli anni Settanta, e non è più tornato. Rimasta a Marigliano con i due figli, Mariacarmina ha fatto tutti i lavori per mantenere la famiglia. Ora è sola, ha perso prematuramente un figlio e l’altro è emigrato, pure lui in Germania. Di lei si prendono cura le famiglie in occupazione. Mariacarmina viene dalla terra, le sue mani ricordano le origini contadine. “Dal sindaco ci sono andata nel 1984, con i miei figli. Non sapevo dove andare dopo il terremoto e lui mi ha messo qua dentro”. L’immagine del “sindaco” tornerà spesso nei racconti delle famiglie, come un’entità immateriale e metastorica che per trent’anni ha gestito parte dell’immobile.
Come Miariacarmina, anche la mamma di Felicetta, Nicolina, è nel palazzo dagli anni Ottanta. Mostra una carta conservata e ripiegata mille volte: anche lei ha l’assegnazione provvisoria del sindaco di allora, per una particella abitativa dell’ex palazzo Ambrosini, requisito dal comune con ordinanza n. 125 del 30.4.1984. A molti degli sfollati del rione Pontecitra – oggi il più popoloso dopo la costruzione scellerata e la deportazione di migliaia di famiglie dopo il sisma – furono assegnate quelle abitazioni che si sarebbero dovute ristrutturare con i fondi della legge 219/81. Gli interventi edilizi però non si sono mai visti e le famiglie gradualmente si sono costruite prima gli appartamenti e poi parti del condominio. Nel frattempo, la società San Giorgio Assicurazione, in origine proprietaria degli immobili, falliva dopo anni di battaglie legali con il comune. Prima i giudici del tribunale e poi la Corte di Appello di Napoli hanno riconosciuto la responsabilità dell’ente pubblico per aver requisito e occupato illecitamente gli immobili, condannandolo a risarcire i danni per circa settanta milioni di lire. Il tribunale di Nola, intanto, nel 2016, ha riconosciuto il Comune come unico soggetto legittimato a predisporre le procedure di sgombero dell’immobile.
In questi anni, i diversi governi municipali, sfruttando la posizione giuridica incerta, hanno utilizzato l’immobile per tamponare le emergenze improvvise, agevolando però anche le manovre speculative dei poteri criminali locali. Raffaele, classe ’54, ex falegname, mostra alcune ricevute con le marche in lire, vecchie di decenni. Racconta di una vicenda andata avanti per anni, quando durante il periodo della requisizione sindacale, la gestione del condominio era affidata a un “amministratore a nero”, che riscuoteva la quota da ogni famiglia per conto dei proprietari del palazzo. Da un giorno all’altro, non tornò più.
Nell’ultimo anno una cordata di imprenditori locali, tra i quali figura il nome dell’immobiliarista Menichini, si è aggiudicata all’asta la proprietà dell’immobile e alcuni occupanti si sono convinti, contando anche su qualche risparmio, a lasciare gli appartamenti per poche migliaia di euro. Chi non ha altre risorse per ricominciare da zero è rimasto. Le famiglie che resistono sono quattordici (trentasette adulti, dodici minori, quattro disabili). Tre nuclei possiedono ancora il provvedimento di assegnazione provvisoria dell’’84. Ci sono poi le nuove occupazioni, come quella di Luisa, giovane mamma con due bambini; oppure Adele, poco più di trent’anni, sola con un bimbo, che non ha alternative: “Posso anche finire in mezzo alla strada, ma mio figlio no!”, dice con convinzione.
Il tempo stringe: il nuovo proprietario ha fretta di realizzare l’investimento e preme sull’amministrazione affinché prenda provvedimenti per “liberare” le palazzine. La ditta che realizzerà i lavori ha già preso possesso di parte degli appartamenti e svuotandoli sta creando una discarica all’esterno del palazzo. L’ente privato gestore della fornitura idrica (Gori) in questi giorni ha inviato una raccomandata alle famiglie chiedendo di fornire entro quindici giorni la prova del possesso legittimo dell’immobile, altrimenti procederà a interrompere l’erogazione. A nulla servirebbero le centinaia di bollette sparse sul tavolo in cucina, che dimostrano il pagamento delle utenze avvenuto per anni. Si può dire che la lotta di Mariacarmina, Raffaele, Adele, Felicetta, Assunta, Luisa e tutti gli altri, lunga quanto un terremoto infinito, cominci adesso. Pur senza essersi mai interrotta da trent’anni a questa parte.
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