Il sindacato dei Nebrodi
Storia degli ultimi quarant’anni di Cesarò.
“Sono di Cesarò e a sedici anni iniziai a lavorare nella forestale per aiutare la mia famiglia, cominciai a familiarizzare anche col sindacato iscrivendomi subito alla Cgil.” racconta Ignazio (nome di fantasia) ex bracciante agricolo sulla sessantina. “Aiutavo il referente di Cesarò e San Teodoro, ma purtroppo, in paesini piccoli come questi, il valore politico di progettualità e visione era poco importante, perché la Cgil non era che un altro di quegli uffici preposti all’assistenza sulle giornate di lavoro dichiarate.”
“Ai tempi, il datore di lavoro non pagava i contributi per i braccianti che lavoravano in alta montagna e questo fece nascere un giro di domande fasulle per percepire la disoccupazione. Il bossetto del paese, di Maniace, era un piccolo imprenditore agricolo che girava con una carpetta; distribuiva le giornate e metteva insieme l’offerta dei datori di lavoro e la richiesta da parte dei braccianti” – continua Ignazio al telefono – “La maggiore parte di loro erano fittizi, conoscevamo persone che percepivano la disoccupazione senza aver mai lavorato un giorno nei campi. La Cgil lo sapeva e facilitava questo giochetto; questa è una pratica davvero assodata negli anni.”
Tutto ruotava attorno alle domande falsificate, ai posti di lavoro assicurati e a quella brutta commistione tra mafia e sindacato difficile da estirpare: “All’inizio degli anni Ottanta, i braccianti di Galati Marmetino, un altro paese dei Nebrodi, e di Militello Rosmarino vennero dalle nostre parti per lavorare anche loro alla forestale. Presentarono il libretto di disoccupazione all’ufficio di collocamento di Cesarò ed entrarono nelle liste, i primi assunti furono quelli con più mesi di disoccupazione alle spalle.” spiega Ignazio rammaricato, ancora quarant’anni dopo. “Volevo capire come funzionasse questa storia; quando l’ufficio di collocamento venne bloccato e si creò un po’ di marasma tra i cesaresi e i nuovi braccianti, fu organizzata una riunione a cui partecipò il consigliere del comune di Cesarò, il referente del prefetto col comandante dei carabinieri della capitaneria di santo Stefano di Camastra ed il referente dell’ufficio del lavoro di Messina.”
“La gente del posto non accettava che persone da altri paesi lavorassero a Cesarò ed uno dei referenti della Cgil rispose, cercando a modo suo di tranquillizzare gli animi, che se si fosse tenuto troppo a lungo chiuso l’ufficio, nemmeno le “loro donne” avrebbero potuto dichiarare le giornate fasulle”- prosegue l’ex bracciante – “Prima ancora che nascesse il parco dei Nebrodi, quando si stavano per sistemare i missili a Comiso, una delle proposte fu fare al centro del territorio del parco un poligono di tiro tra i comuni di Mistretta e Cesarò e poi anche Capizzi e Cerami. Chi contrastò questa idea non fu la Cgil del luogo, ma i compagni delle città, perché in paese questi dibattiti non c’erano. I sindacalisti si limitavano solo a chiedere più giornate, ma non capivano a cosa potesse servire quel lavoro.”