giovedì, Novembre 21, 2024
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Il “rivoluzionario” e l’usuraio

Dopo il sequestro dei beni di Citrigno il “ri­voluzionario” Sansonet­ti lascia Calabria Ora. Sotto sequestro 37 fab­bricati dell’editore, tra cui le cliniche “Villa Gioiosa” di Montalto Uffugo e “Villa Adelchi” di Longobardi. Licen­ziamenti e persecuzioni e sullo sfondo il suici­dio del giornalista Ales­sandro Bozzo

Storie di giornalisti “rivoluzionari” alla conquista del Sud e di usurai, di giornalisti coraggiosi e di suicidi, di edi­tori “padroni” e di sentenze che offen­dono la giustizia.

È un quadro allarmante quello che ruota attorno a “Calabria Ora” un quotidiano “piccolo, piccolo” che in passato ha con­dotto belle battaglie di giornalismo e che subisce oggi le vicende usuraie dell’edito­re.

La Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro ha scritto una nuova pagina nella storia dell’editoria calabrese e nel verminaio degli interessi di Pietro Citri­gno, 62 anni, condannato in via definitiva per usura aggravata a 4 anni e 8 mesi. Il provvedimento di sequestro di beni, emes­so dal Tribunale di Cosenza, interessa due cliniche e beni mobili e immobili. Valore cento milioni di euro.

“Un consolidato ed allargato sistema di usura posto in essere già dagli anni Set­tanta”, ma anche “la contiguità ad alcuni esponenti di spicco delle consorterie cri­minose operanti nel territorio cosentino”. Si basa su questo l’operazione della Dia di Catanzaro.

Il dirigente della Dia di Catanzaro, An­tonio Turi, ha fatto cenno, in conferenza stampa, anche alle “inquietanti ombre ri­levate sull’origine del cospicuo patrimo­nio ascrivibile a Pietro Citrigno” e alla “pendenza presso il Tribunale di Paola di un procedimento penale per estorsione”.

L’editore di Calabria Ora è ritenuto “equidistante da entrambi i clan di spicco operanti nel territorio cosentino, che ave­va bisogno di protezione a livello delin­quenziale, al fine di tutelare le proprie at­tività imprenditoriali”.

Scatole cinesi. Delle scatole cinesi di Citrigno, attualmente agli arresti domici­liari, c’eravamo già occupati nel numero de I Siciliani di gennaio dello scorso anno.

Tra i beni sequestrati la “Edera srl”, co­struzione e commercializzazione di im­mobili; la “Meridiana srl”, realizzazione e gestione di strutture ricettive alberghiere, ospedali e case di cura; la “Riace srl” co­struzione di strutture ricettive, sanitarie e socio-assistenziali; il 23,33% del capitale sociale della “Monachelle srl”, gestione di case di cura, di laboratori, di centri dia­gnostici, di stabilimenti termali Rsa; il 25% del capitale sociale della “San Fran­cesco srl” , assistenza riabilitativa per an­ziani.

Sotto sequestro anche 37 fabbricati, tra i quali le residenze sanitarie assisten­ziali per anziani. “Villa Gioiosa” e “Villa Adel­chi”, accreditate – e finanziate – dal servi­zio sanitario calabrese, 50 posti letto cia­scuna, oltre a 5 terreni.

A complicare il quadro delle attività in­vestigative, dicono alla Dia, il fatto che “immobili, in prece­denza di proprietà dei familiari del Citri­gno, siano stati successi­vamente alienati a società pur sempre ri­conducibili al nucleo familiare dello stes­so, nell’ambito di una fitta trama di parte­cipazioni societarie chiaramente finalizza­te ad evitare la riconducibilità di tali beni proprio al Citrigno”.

Citrigno è coinvol­to anche nell’indagine riguardante la mor­te del giornalista del quotidiano cosentino, Alessandro Bozzo, che si è tolto la vita nella sua casa di Ma­rano Principato (CS) il 15 marzo scorso. Le indagini si sono concluse in questi giorni e per l’editore di “Calabria Ora”, il quotidiano per il quale Bozzo lavorava, il reato ipotizzato è vio­lenza privata.

I pm lo accusano di avere costretto “mediante minaccia – si legge nel capo di imputazione – Alessandro Bozzo a sotto­scrivere dapprima gli atti in­dirizzati alla società “Paese Sera Editoria­le Srl” editri­ce della testata giornalistica “Calabria Ora”, nei quali dichiarava, contrariamente al vero, di voler risolvere consensualmen­te il contratto di lavoro a tempo indeter­minato, senza avere nulla a pretendere e rinunciando a qualsiasi azio­ne o vertenza giudiziaria, e, successiva­mente, a sotto­scrivere il contratto di as­sunzione a tempo determinato con la so­cietà “Gruppo Edito­riale C&C srl”, editri­ce della medesima testata giornalistica”.

Bozzo, 40 anni, si è ucciso con un colpo di pistola alla testa. Aveva scritto di essere amareggiato per le sue condizioni di lavo­ro e la Procura di Cosenza aveva aperto un’indagine, sequestrando i suoi computer e il suo diario personale.

“Ragazzo splendido, giornalista bravis­simo – scrive Sansonetti nel lasciare il giornale – ma tutti coloro che hanno vissu­to accanto a lui, ed io per primo, si sento­no in qualche modo responsabili: non lo abbiamo capito, non lo abbiamo aiutato, abbiamo commesso delle ingiustizie. E’ così”.

“Fare il giornalista in Calabria è diffici­le, se non impossibile, rincara Gianfranco Bonofiglio, uno dei primi ad essere licen­ziato dal giornale. Essere liberi in una ter­ra dominata dalla corruzione e dalla ‘ndrangheta è utopia. In Calabria la socie­tà civile è debole e la relazione fra im­prenditoria, politica, istituzioni e ‘ndran­gheta ha creato un sistema invincibile che domina tutto ed annulla qualsiasi diritto, anche quello di sperare che qualcosa pos­sa cambiare”.

Il gruppo editoriale, oggi in mano al fi­glio di Citri­gno, Alfredo, non è stato col­pito da alcun provvedimento, ma il diret­tore Piero San­sonetti, avrebbe lasciato “per via di alcuni dissensi con la proprie­tà”. Gli sarebbe sta­to chiesto di preparare un piano di ristrut­turazione che prevedes­se un fortissimo ta­glio del personale e si è rifiutato. Questa la motivazione espressa da Sansonetti che in questi tre anni in Ca­labria ha tenuto una fitta agenda di conve­gnistica insieme al governatore fascista della Calabria, Giu­seppe Scopelliti, rilan­ciando i “boia chi molla”.

“La lotta contro i licenziamenti, contro il dilagare del lavoro precario, contro lo sfruttamento, è stata sempre una mia idea fissa” , scrive Sansonetti, ma la seconda ondata di licenziamenti e la “normalizza­zione” al giornale c’è stata sotto la sua di­rezione.

Cacciato, dice. E’ consapevole di avere accettato troppi compromessi con il “pa­drone” Citrigno, ma difende l’usuraio, come sempre da quando è in Calabria: “Ho conosciuto molto bene Piero Citrigno e credo di avere capito i suoi pregi, molti, e suoi difetti, moltissimi (e gli confermo simpatia e affetto). Il suo difetto principa­le è uno solo: è un padrone”. Tre direttori messi alla porta in sette anni.

Adesso alla corte del “padrone” appro­da Luciano Re­golo, 47 anni, esperienze in “la Repubbli­ca”, “Oggi”, “A” e “Chi”, che l’hanno portato alla direzione di “No­vella Duemi­la”, “Eva 3000” e “Vip”.

Intanto sono stati licenziati per non aver accettato un so­spetto “cambio di proprietà” che impone­va la retrocessione della qualifica profes­sionale e la trasformazione del contratto da tempo indeterminato a tempo determi­nato Francesco Pirillo ed il vice caposer­vizio Claudio Labate, componente del co­mitato di redazione. Si sono visti recapita­re “via fax”, come tanti altri negli ultimi cinque anni, una “comunicazione di licen­ziamento” firmata dall’“amministratore unico della Paese Sera Editoriale srl”.

Cambio di testata e di società. Non più Calabria Ora. Ma L’Ora della Calabria. Dimissioni e assunzione, con modifica del contratto, nella vecchia società “Gruppo Editoriale C. & C. srl” di Alfredo Citri­gno. Prendere o lasciare.

Si tenta di non pagare, tra l’altro, i 130 mila euro di Tfr, svuotando la società “Paese Sera Editoria­le srl” come si era fatto prima con la “C&C” per evitare se­questri di somme dovute ai giornalisti li­cenziati in tempi di­versi.

Clausole capestro e assolutamente ille­gittime e reazione dei sedici giornalisti delle redazioni di Reggio Calabria, Palmi e Siderno, tra i quali Claudio Labate, Franco Cufari e Laura Sidari. Claudio La­bate, abile giornalista ed ottimo grafico, rileva che “insieme alla proposta di con­tratto è stata presentata la rescissione con­sensuale (tra le formule…”nulla a preten­dere”), e l’accettazione di un “accordo in deroga al Cnlg”.

Rabbia e amarezza ven­gono espresse da Pietro Comito, giornali­sta più volte ogget­to di intimidazioni da parte della ‘ndran­gheta, licenziato il 28 febbraio scorso da caposervizio di “Cala­bria Ora” con com­pito di coordinamento delle redazioni di Reggio Calabria, Catan­zaro, Vibo Valen­tia, Gioia Tauro e Sider­no. “Ho subìto umiliazioni personali e professionali per non essermi allineato ad una gestione editoriale in aperto conflitto con la mia coscienza. “Quanto avvenuto ai colleghi di Calabria Ora è qualcosa di ignobile della quale, a causa della sua col­pevole inerzia, deve rispondere in prima persona il direttore Piero Sansonetti, che non può addurre, come avvenuto anche per il collega Lucio Musolino, il fatto che i licenziamenti siano stati disposti dall’editore”.

A Musolino sono stati riconosciuti i di­ritti in tribunale, mentre altri hanno dovu­to subire sentenze negative che offendono la professione e la giustizia.

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