Il “rivoluzionario” e l’usuraio
Dopo il sequestro dei beni di Citrigno il “rivoluzionario” Sansonetti lascia Calabria Ora. Sotto sequestro 37 fabbricati dell’editore, tra cui le cliniche “Villa Gioiosa” di Montalto Uffugo e “Villa Adelchi” di Longobardi. Licenziamenti e persecuzioni e sullo sfondo il suicidio del giornalista Alessandro Bozzo
Storie di giornalisti “rivoluzionari” alla conquista del Sud e di usurai, di giornalisti coraggiosi e di suicidi, di editori “padroni” e di sentenze che offendono la giustizia.
È un quadro allarmante quello che ruota attorno a “Calabria Ora” un quotidiano “piccolo, piccolo” che in passato ha condotto belle battaglie di giornalismo e che subisce oggi le vicende usuraie dell’editore.
La Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro ha scritto una nuova pagina nella storia dell’editoria calabrese e nel verminaio degli interessi di Pietro Citrigno, 62 anni, condannato in via definitiva per usura aggravata a 4 anni e 8 mesi. Il provvedimento di sequestro di beni, emesso dal Tribunale di Cosenza, interessa due cliniche e beni mobili e immobili. Valore cento milioni di euro.
“Un consolidato ed allargato sistema di usura posto in essere già dagli anni Settanta”, ma anche “la contiguità ad alcuni esponenti di spicco delle consorterie criminose operanti nel territorio cosentino”. Si basa su questo l’operazione della Dia di Catanzaro.
Il dirigente della Dia di Catanzaro, Antonio Turi, ha fatto cenno, in conferenza stampa, anche alle “inquietanti ombre rilevate sull’origine del cospicuo patrimonio ascrivibile a Pietro Citrigno” e alla “pendenza presso il Tribunale di Paola di un procedimento penale per estorsione”.
L’editore di Calabria Ora è ritenuto “equidistante da entrambi i clan di spicco operanti nel territorio cosentino, che aveva bisogno di protezione a livello delinquenziale, al fine di tutelare le proprie attività imprenditoriali”.
Scatole cinesi. Delle scatole cinesi di Citrigno, attualmente agli arresti domiciliari, c’eravamo già occupati nel numero de I Siciliani di gennaio dello scorso anno.
Tra i beni sequestrati la “Edera srl”, costruzione e commercializzazione di immobili; la “Meridiana srl”, realizzazione e gestione di strutture ricettive alberghiere, ospedali e case di cura; la “Riace srl” costruzione di strutture ricettive, sanitarie e socio-assistenziali; il 23,33% del capitale sociale della “Monachelle srl”, gestione di case di cura, di laboratori, di centri diagnostici, di stabilimenti termali Rsa; il 25% del capitale sociale della “San Francesco srl” , assistenza riabilitativa per anziani.
Sotto sequestro anche 37 fabbricati, tra i quali le residenze sanitarie assistenziali per anziani. “Villa Gioiosa” e “Villa Adelchi”, accreditate – e finanziate – dal servizio sanitario calabrese, 50 posti letto ciascuna, oltre a 5 terreni.
A complicare il quadro delle attività investigative, dicono alla Dia, il fatto che “immobili, in precedenza di proprietà dei familiari del Citrigno, siano stati successivamente alienati a società pur sempre riconducibili al nucleo familiare dello stesso, nell’ambito di una fitta trama di partecipazioni societarie chiaramente finalizzate ad evitare la riconducibilità di tali beni proprio al Citrigno”.
Citrigno è coinvolto anche nell’indagine riguardante la morte del giornalista del quotidiano cosentino, Alessandro Bozzo, che si è tolto la vita nella sua casa di Marano Principato (CS) il 15 marzo scorso. Le indagini si sono concluse in questi giorni e per l’editore di “Calabria Ora”, il quotidiano per il quale Bozzo lavorava, il reato ipotizzato è violenza privata.
I pm lo accusano di avere costretto “mediante minaccia – si legge nel capo di imputazione – Alessandro Bozzo a sottoscrivere dapprima gli atti indirizzati alla società “Paese Sera Editoriale Srl” editrice della testata giornalistica “Calabria Ora”, nei quali dichiarava, contrariamente al vero, di voler risolvere consensualmente il contratto di lavoro a tempo indeterminato, senza avere nulla a pretendere e rinunciando a qualsiasi azione o vertenza giudiziaria, e, successivamente, a sottoscrivere il contratto di assunzione a tempo determinato con la società “Gruppo Editoriale C&C srl”, editrice della medesima testata giornalistica”.
Bozzo, 40 anni, si è ucciso con un colpo di pistola alla testa. Aveva scritto di essere amareggiato per le sue condizioni di lavoro e la Procura di Cosenza aveva aperto un’indagine, sequestrando i suoi computer e il suo diario personale.
“Ragazzo splendido, giornalista bravissimo – scrive Sansonetti nel lasciare il giornale – ma tutti coloro che hanno vissuto accanto a lui, ed io per primo, si sentono in qualche modo responsabili: non lo abbiamo capito, non lo abbiamo aiutato, abbiamo commesso delle ingiustizie. E’ così”.
“Fare il giornalista in Calabria è difficile, se non impossibile, rincara Gianfranco Bonofiglio, uno dei primi ad essere licenziato dal giornale. Essere liberi in una terra dominata dalla corruzione e dalla ‘ndrangheta è utopia. In Calabria la società civile è debole e la relazione fra imprenditoria, politica, istituzioni e ‘ndrangheta ha creato un sistema invincibile che domina tutto ed annulla qualsiasi diritto, anche quello di sperare che qualcosa possa cambiare”.
Il gruppo editoriale, oggi in mano al figlio di Citrigno, Alfredo, non è stato colpito da alcun provvedimento, ma il direttore Piero Sansonetti, avrebbe lasciato “per via di alcuni dissensi con la proprietà”. Gli sarebbe stato chiesto di preparare un piano di ristrutturazione che prevedesse un fortissimo taglio del personale e si è rifiutato. Questa la motivazione espressa da Sansonetti che in questi tre anni in Calabria ha tenuto una fitta agenda di convegnistica insieme al governatore fascista della Calabria, Giuseppe Scopelliti, rilanciando i “boia chi molla”.
“La lotta contro i licenziamenti, contro il dilagare del lavoro precario, contro lo sfruttamento, è stata sempre una mia idea fissa” , scrive Sansonetti, ma la seconda ondata di licenziamenti e la “normalizzazione” al giornale c’è stata sotto la sua direzione.
Cacciato, dice. E’ consapevole di avere accettato troppi compromessi con il “padrone” Citrigno, ma difende l’usuraio, come sempre da quando è in Calabria: “Ho conosciuto molto bene Piero Citrigno e credo di avere capito i suoi pregi, molti, e suoi difetti, moltissimi (e gli confermo simpatia e affetto). Il suo difetto principale è uno solo: è un padrone”. Tre direttori messi alla porta in sette anni.
Adesso alla corte del “padrone” approda Luciano Regolo, 47 anni, esperienze in “la Repubblica”, “Oggi”, “A” e “Chi”, che l’hanno portato alla direzione di “Novella Duemila”, “Eva 3000” e “Vip”.
Intanto sono stati licenziati per non aver accettato un sospetto “cambio di proprietà” che imponeva la retrocessione della qualifica professionale e la trasformazione del contratto da tempo indeterminato a tempo determinato Francesco Pirillo ed il vice caposervizio Claudio Labate, componente del comitato di redazione. Si sono visti recapitare “via fax”, come tanti altri negli ultimi cinque anni, una “comunicazione di licenziamento” firmata dall’“amministratore unico della Paese Sera Editoriale srl”.
Cambio di testata e di società. Non più Calabria Ora. Ma L’Ora della Calabria. Dimissioni e assunzione, con modifica del contratto, nella vecchia società “Gruppo Editoriale C. & C. srl” di Alfredo Citrigno. Prendere o lasciare.
Si tenta di non pagare, tra l’altro, i 130 mila euro di Tfr, svuotando la società “Paese Sera Editoriale srl” come si era fatto prima con la “C&C” per evitare sequestri di somme dovute ai giornalisti licenziati in tempi diversi.
Clausole capestro e assolutamente illegittime e reazione dei sedici giornalisti delle redazioni di Reggio Calabria, Palmi e Siderno, tra i quali Claudio Labate, Franco Cufari e Laura Sidari. Claudio Labate, abile giornalista ed ottimo grafico, rileva che “insieme alla proposta di contratto è stata presentata la rescissione consensuale (tra le formule…”nulla a pretendere”), e l’accettazione di un “accordo in deroga al Cnlg”.
Rabbia e amarezza vengono espresse da Pietro Comito, giornalista più volte oggetto di intimidazioni da parte della ‘ndrangheta, licenziato il 28 febbraio scorso da caposervizio di “Calabria Ora” con compito di coordinamento delle redazioni di Reggio Calabria, Catanzaro, Vibo Valentia, Gioia Tauro e Siderno. “Ho subìto umiliazioni personali e professionali per non essermi allineato ad una gestione editoriale in aperto conflitto con la mia coscienza. “Quanto avvenuto ai colleghi di Calabria Ora è qualcosa di ignobile della quale, a causa della sua colpevole inerzia, deve rispondere in prima persona il direttore Piero Sansonetti, che non può addurre, come avvenuto anche per il collega Lucio Musolino, il fatto che i licenziamenti siano stati disposti dall’editore”.
A Musolino sono stati riconosciuti i diritti in tribunale, mentre altri hanno dovuto subire sentenze negative che offendono la professione e la giustizia.