“Il ritorno a casa”, tra misoginia e potere femminile
Uno dei capolavori di Harold Pinter al Teatro Verga
Al Teatro Verga di Catania si è assistito dal 4 all’8 marzo alla rappresentazione de “Il ritorno a casa”, una delle commedie più cupe di Harold Pinter, con la regia di Peter Stein.
Lo spettacolo ha visto coinvolti i membri del cast de “I demoni”: da Paolo Graziosi ad Alessandro Averone, da Elia Schilton ad Antonio Tintis sino ad Andrea Nicolin ed Arianna Scommegna, tutti molto affiatati in questa seconda collaborazione.
La commedia in due atti si è svolta sullo sfondo di una scenografia essenziale, curata da Ferdinand Woegerbauer, che ha contribuito a calamitare l’attenzione degli spettatori sulle trame familiari messe in scena.
Siamo nella Londra degli anni Cinquanta, quindi poco prima di quella che sarà la rivoluzione sessuale e culturale degli anni Sessanta. “Il ritorno a casa” sembra anticipare proprio quelle dinamiche di contrapposizione tra i due sessi che di lì a poco esploderanno coinvolgendo tanto i singoli individui quanto i loro rapporti.
Le scene iniziali ci presentano un padre anziano e lamentoso che convive con i due figli maschi e il fratello. Tra questi personaggi scorre astio, rancore, sete di vendetta. Dei veri e propri rapporti nevrotici che impediscono di vivere serenamente e non fanno che alimentare continue situazioni di destabilizzazione tra gli stessi.
Tra il vecchio padre e i figli in particolare è evidente il disprezzo reciproco: per il padre perché si tratta di figli illegittimi, per i figli perché non riconoscono in quella figura che un vecchio brontolone che non ha nulla del loro stesso sangue.
Unico punto di incontro tra loro è la figura della moglie e madre, ormai defunta, che a causa dei suoi comportamenti lascivi ha generato questi traumi nel loro animo. Nonostante non compaia mai in scena, i continui riferimenti alla sua figura lasciano presagire come tutte le frustrazioni del marito e dei figli abbiano origine da lei.
A fomentare ancora di più il loro rancore e malessere sarà guarda caso un’altra figura femminile: Ruth, la moglie del figlio maggiore Teddy. I due tornano dall’America per visitare la famiglia e vengono trascinati in questo vortice di sentimenti equivoci e al limite del paradosso.
Ruth viene tacciata sin da subito come una puttana ed è a lei che tutti rivolgono le proprie attenzioni: all’inizio con esplicita misoginia, successivamente con un desiderio carnale che ubriaca padre, figli e zio sino al punto da fare alla donna una proposta sconcertante: rimanere a Londra e tirare a campare prostituendosi in un bordello. Lei sembra accettare, incurante di lasciare tornare da solo il marito in America. Nel momento in cui accetta siede sulla poltrona del padre, quasi a voler evidenziare prossemicamente che da quel momento in poi è a lei che spetterà il potere, a dispetto delle apparenze, della misoginia che la circonda, a dispetto di qualsiasi cosa, il suo corpo e la sua testa hanno ormai conquistato il monopolio delle attenzioni di quei disperati.
Il finale rimane aperto come in molte opere di Pinter: l’ultima scena è talmente impenetrabile che nessuno potrà immaginare quello che potrebbe succedere dopo. Gli uomini della casa abdicano a favore di Ruth, nonostante l’apparente disprezzo. E questo è tutto.
Il primo atto della commedia è sarcastico, pieno di insinuazioni e di imprecazioni che si rivelano grotteschi ed esilaranti. Nel secondo invece il ritmo è come se decelerasse facendo perdere tono alla narrazione.
Sebbene Stein abbia cercato di restituire attraverso quest’opera l’enigmaticità di Pinter, la sensazione complessiva è che abbia dato troppo spessore alla misoginia e troppo poco al potere della donna, una scelta stilistica discutibile che però ha sottratto molta enfasi all’opera.