Il punto zero della democrazia
Sono vicine al traguardo riforme costituzionali che segneranno per decenni il nostro futuro e la qualità della democrazia italiana. Secondo Gustavo Zagrebelsky siamo “quasi al punto zero della democrazia”. E tuttavia – ammonisce Michele Ainis – la riforma “cade nel silenzio degli astanti” come se non ci riguardasse più di tanto. Proviamo allora a ragionarci un poco su.
Punto di partenza è che la Costituzione repubblicana vigente disegna una democrazia pluralista, basata sul primato dei diritti eguali per tutti e sulla separazione dei poteri, senza supremazia dell’uno sugli altri, ma con reciproci bilanciamenti e controlli. A questa concezione di democrazia se ne vorrebbe sostituire un’altra: basata sul primato della politica (meglio, della maggioranza politica del momento) e non più sul primato dei diritti.
Ora, è vero che in democrazia la sovranità appartiene al popolo (per cui chi ha più consensi, chi ha la maggioranza, ha il diritto-dovere di operare le scelte politiche che vuole), ma è altrettanto vero che ogni potere democratico incontra – non può non incontrare – dei limiti prestabiliti. Tali limiti presidiano una sfera non decidibile, quella della dignità e dei diritti di tutti: sottratta al potere della maggioranza e tutelata da custodi (una stampa libera e una magistratura indipendente) estranei al processo elettorale ma non alla democrazia.
Questa necessità di limiti (che la nostra Costituzione stabilisce fin dal suo primo articolo) è fondamentale in democrazia. Altrimenti, come già insegnava quasi due secoli fa Alexis de Toqueville, può sempre essere in agguato la tirannide della maggioranza.
Chi vince prende tutto?
La vera democrazia garantisce spazi anche alle minoranze, spazi effettivi. Perché se questi spazi non sono effettivi, se la maggioranza che ha avuto più consenso si prende tutto, allora l’alternanza, che è la quintessenza, il dna della democrazia, viene ridotta a simulacro e la democrazia cambia qualità. La posta in gioco in sostanza è questa: è meglio il tipo di democrazia voluto dalla Costituzione, oppure quello che si sta cercando di sostituirgli? Quale dei due conviene di più ai cittadini?
E ancora: se prevedere un abnorme premio di maggioranza e liste di “nominati”, con inevitabili decisive ricadute sull’elezione del Capo dello Stato, e sulla composizione del CSM e della Consulta, equivale ad un fortissimo potenziamento dell’ esecutivo, come non chiedersi fino a che punto esso sia compatibile con una autentica democrazia?
Viene in mente Calamandrei, quando ammoniva che la Costituzione non è una macchina che va avanti da sola.Perché si muova bisogna ogni giorno metterci dentro il combustibile, cioè impegno e responsabilità.
“Che m’importa della politica…”
Per questo, dice Calamandrei, una delle peggiori offese che si possano fare alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, quella che spesso ci porta a dire che “La politica è una brutta cosa, che cosa mi importa della politica…”.
Calamandrei a questo discorso oppone un apologo, quello dei due migranti, due contadini, che attraversano l’oceano su un piroscafo traballante: uno dorme nella stiva, l’altro sta sul ponte; c’è una grande burrasca, onde altissime; il piroscafo oscilla e il contadino impaurito domanda a un marinaio se c’è pericolo; il marinaio gli risponde che se continua così in mezz’ora il bastimento affonda; allora il contadino corre nella stiva, sveglia il compagno e gli grida “Beppe! Beppe! Se continua questo mare, il bastimento affonda!”; ma quello gli risponde “Che me ne importa, non è mica mio il bastimento!”.
“Mica è mio il bastimento!”
Questo, conclude Calamandrei, è l’indifferentismo alla politica. Ma attenzione: “la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai”. Questo l’augurio di Calamandrei. Un augurio che vale ancora oggi.