venerdì, Novembre 22, 2024
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Il mio Novantadue

L’Italia è cambiata, sì, ma in peggio, molto in peggio: l’etica è letteralm­ente evaporata e sulle stragi di quell’anno, a vent’anni di distanza, la ve­rità fatica a farsi strada. La cerco nelle sentenze, nei ritagli di giornali sulle nuo­ve indagini, nella trentina di libri impilati accanto al pc, nella gran quantità di files accumulati negli anni nel pc. Sono osses­sionato da quell’anno e dal bisogno di verità e giustizia. La cerco, quella verità, per mestiere e senso civico, ché non rie­sco a scindere il giornalismo dal senso civico, dall’idea di servizio alla colletti­vità. La cerco tenendo presente l’annun­cio preventivo del «pataccaro» (che non era un veggente), altrimenti non ci capi­rei nulla.

E mentre riordino i ricordi del “mio” 1992, torno col pensiero a quella sera al Villaggio Globale e mi sovviene che an­che i Kunsertu si sono sciolti. Mettermi ad ascoltare il loro cd Live, frutto della tournée europea di quell’anno, non li ri­porterà insieme né contribuirà a riportare l’etica al centro della vita politica e so­ciale di questo martoriato Paese, né – meno che mai – mi aiuterà ad aggiungere un nuovo tassello ai motivi per cui qual­cuno ha deciso che Falcone e Borsellino dovevano morire, ma darà un po’ di sol­lievo alla mia anima straziata.

 

Memoria

IL GRIDO E LA FORZA DEGLI ABBANDONATI

…Poi un giorno, a Catania, Luciano ha cominciato ad usare la sua voce e la sua memoria in nome della gente violentata, in nome dei quartieri ab­bandonati.

Poi un giorno la consapevolezza sua è diventata di tutti, è diventata il grido e la forza dei ragazzini della città nuo­va di Librino e della città antica.

Poi un giorno la gente, quella dell’Antico corso e di San Cristoforo, o di Cibali, di Picanello, o di Ognina e San Giovanni Li Cuti, la gente dimen­ticata che vive nei luoghi della città che portano i segni della vendita della città alla mafia e alla corruzione della politica si è sentita difesa e raccontata e unita.

Quel giorno ascoltandolo raccontare la storia dei ragazzini in cerca del pal­lone e del campetto, ma anche di un riscatto morale di tutto un mondo di­menticato, di tutta una collettività a cui è stato negata ogni diritti reale, in nome dello stato di sopravvivenza, de­gli individui, diversi e distinti nei loro percorsi di resistenza, si sono final­mente sentiti uniti nella loro forza di collettività con una percezione com­mossa che la mafia può creare enormi sofferenze ma non distruggere la me­moria comune.

Fabio D’Urso

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