Il mio Novantadue
L’Italia è cambiata, sì, ma in peggio, molto in peggio: l’etica è letteralmente evaporata e sulle stragi di quell’anno, a vent’anni di distanza, la verità fatica a farsi strada. La cerco nelle sentenze, nei ritagli di giornali sulle nuove indagini, nella trentina di libri impilati accanto al pc, nella gran quantità di files accumulati negli anni nel pc. Sono ossessionato da quell’anno e dal bisogno di verità e giustizia. La cerco, quella verità, per mestiere e senso civico, ché non riesco a scindere il giornalismo dal senso civico, dall’idea di servizio alla collettività. La cerco tenendo presente l’annuncio preventivo del «pataccaro» (che non era un veggente), altrimenti non ci capirei nulla.
E mentre riordino i ricordi del “mio” 1992, torno col pensiero a quella sera al Villaggio Globale e mi sovviene che anche i Kunsertu si sono sciolti. Mettermi ad ascoltare il loro cd Live, frutto della tournée europea di quell’anno, non li riporterà insieme né contribuirà a riportare l’etica al centro della vita politica e sociale di questo martoriato Paese, né – meno che mai – mi aiuterà ad aggiungere un nuovo tassello ai motivi per cui qualcuno ha deciso che Falcone e Borsellino dovevano morire, ma darà un po’ di sollievo alla mia anima straziata.
Memoria
IL GRIDO E LA FORZA DEGLI ABBANDONATI
…Poi un giorno, a Catania, Luciano ha cominciato ad usare la sua voce e la sua memoria in nome della gente violentata, in nome dei quartieri abbandonati.
Poi un giorno la consapevolezza sua è diventata di tutti, è diventata il grido e la forza dei ragazzini della città nuova di Librino e della città antica.
Poi un giorno la gente, quella dell’Antico corso e di San Cristoforo, o di Cibali, di Picanello, o di Ognina e San Giovanni Li Cuti, la gente dimenticata che vive nei luoghi della città che portano i segni della vendita della città alla mafia e alla corruzione della politica si è sentita difesa e raccontata e unita.
Quel giorno ascoltandolo raccontare la storia dei ragazzini in cerca del pallone e del campetto, ma anche di un riscatto morale di tutto un mondo dimenticato, di tutta una collettività a cui è stato negata ogni diritti reale, in nome dello stato di sopravvivenza, degli individui, diversi e distinti nei loro percorsi di resistenza, si sono finalmente sentiti uniti nella loro forza di collettività con una percezione commossa che la mafia può creare enormi sofferenze ma non distruggere la memoria comune.
Fabio D’Urso