Il mio amico Maniaci
Masaniello, Pancho Villa, il contadino o il brigante che dopo anni di ribellione viene infine scoperto dai nobili, dalla corte.
“Ha visto com’è spontaneo, don Alonzo? Mangia colle mani! Es un hombre del pueblo, poco da fare…”. “È un campesino, si vede. Un liberal campesino. Però potrebbe anche farsi la barba ogni giorno”. “Ed ecco a voi… Pino Maniaci! Il coraggioso giornalista di…”. “Di Partinico”. “Ecco, di Partinico! Nel cuore della Sicilia maffiosa! Ci dica, Maniaci, lei ha paura quando affronta la mafia?”.
E Maniaci – e Pancho Villa, e Masaniello – risponde, come tutti si aspettano, con una parola volgare. “Eh eh – sorride il presentatùr – Pane al pane, eh? Scusate, amici telespettatori, ma stiamo parlando con un protagonista della lotta alla maffia… Uno che non bada certo a parlare da intellettuale…”. Altra malaparola di Masaniello (o di Pancho Villa, o di Maniaci), altro sorriso complice del presentatore. E lo spettacolo va avanti.
Francisco Arango Arambula di San Juan del Rio in realtà era uno dei migliori generali del Ejercito Republicano. Aveva cominciato con quattro compagni, poi dieci, poi cinquanta. Abilissimo tattico, uno dopo l’altro aveva sfasciato i battaglioni del dittatore, lassù nel Norte. E ora eccolo qua, nel Palazzo Presidencial, imbarazzato e felice, lisciandosi i baffoni e cercando di rispondere alle domande dei capi liberales con l’occhialino. (E anche Gennaro Aniello, come sindacalista e politico, non era poi tanto male. L’unico, in tutta Napoli, a capire che la gabella sul pesce era la chiave di tutto, che là si doveva insistere, coprendosi con “Viva el Rey” ma senza mollare un momento).
Pino Maniaci è uno dei migliori cronisti che ho conosciuto, e ne ho conosciuti un bel po’. “Dilettante” all’inizio, ma rapidamente cresciuto, e all’antica, in questo mestiere. Uno che è in giro all’alba, per colline e campagne, per prendere i particolari, non solo le grandi linee, dell’ultimo omicidio o di una cronachetta qualunque. E buona capacità, anche, di coordinare un’inchiesta grossa, di mettere insieme dati, di trarne conclusioni razionali (la dottoressa Saguto ne sa qualcosa).
E ora eccolo qui, insieme a los generales e ai marchesi, coccolato e schernito (ma elegantemente): “Don Pancho!”, “Excellencia!”, “Gran Maniaci!”. Finché un bel giorno – come Tomaso Aniello, come Francisco – è scasato di testa. Come la nobiltà, del resto, pazientemente aspettava.
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È una storia di poveri. Decine o centinaia di euri, banconote e monete, raccolte senza osar crederci, impaurito e spavaldo. “Hai finito di stentare”, dice alla donna. Potrà lavare i pavimenti trecento euri al mese, una ricchezza. “Hai visto? Fanno quello che voglio! Comando io!”. È un nobile pure lui adesso, uno che può afferrare le cose, può comandare. Così fanno i signori, i ricchi della città, i generali, gli avvocati. E così, se dio vuole, faremo pure noialtri, d’ora in avanti. Ce lo siamo meritato. Inizia la breve ricchezza, la povera ricchezza, soldini di rame e di tolla (ma ai poveri pare oro sonante) del campesino Francisco, del pescatore Masaniello. “Comando io!”. E i nobili, con pazienza, aspettano allegramente il passo falso. “Avete visto? – si preparano a dire – Don Montante, el senor Costanzo, il barone Lo Bello: v’incazzavate con loro, voi communisti, ma in fondo che cos’è mai successo? Chi vede quattrini se li piglia, e voi non siete meglio degli altri: guardate il vostro eroe, che cos’ha fatto!”. Cosi i milioni dei ricchi si confondono colle quattro monete dei poveracci: tutta roba rubata, tutta la stessa cosa.
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“Vi prego, voi velocisti, telegiornali, giornali vari, che mai avete fatto inchieste… Che fate servizi fiume sull’eroe antimafia decaduto, e ci godete. Noi siamo i ragazzi di Telejunior. In quelle stanze di Telejato ci abbiamo passato giornate intere. A impappinarsi nel registrare i servizi, a fare le rassegne stampa, a montare. In giro a fare domande, a Borgetto, a San Giuseppe Jato, al tribunale di Palermo. I vostri coltelli feriscono, fanno un male che nemmeno vi immaginate. Ma io devo fare scudo. Con gli occhi gonfi, la nausea che va e viene, il naso rosso paonazzo. Io devo fare scudo ai miei ragazzi, ai ragazzi di Telejunior. Io Michela, e Salvo e Arianna e Danilo, e Marco, Ivano, Eleonora, Pasquale e Giulia e tutti gli altri”.
Un altro ragazzo, un militante, da Milano: “Da me su Maniaci non avrete parole, solo dolore”.
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Telejato deve continuare. Come la lotta contro la gabella a Napoli, come la tierra y liberdad dei contadini. Con Masaniello, con Pancho Villa, dopo Pancho Villa, dopo Masaniello. Perché siamo noi questa lotta, noi popolo, noi banda di disperati. Non un singolo capo, che prima o poi può crollare. Voi nobili, voi giornalisti importanti, guardate solo ai capi. Ma noi abbiamo vissuto un’altra storia, un’altra grande speranza e sofferenza. Noi siamo qui, noi non molliamo.
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Caro Pino, rimettiti dall’ubriacatura, ingollati ‘sto caffè e torna com’eri prima. In culo alla nobiltà e a tutto il gran giornalismo italiano: noi siamo viddani zappaterra, non baroneddi. Ce ne fottiamo di comandare, non c’interessa diventare come loro, vivere è ciò che ci piace. Ti aspetto e ti stringo la mano.
(Fino a un minuto fa, altro che stretta di mano, volevo salutarti con un calcio nel sedere. Ma abbiamo cavalcato insieme, stracciati e miserabili ma orgogliosi. Gliene abbiamo date, ai signori. E torneremo a dargliene. Forza, un altro caffè, tutto d’un fiato. Ti aspetto).
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Collega Letizia, aspetto i suoi ordini. Lei è la mia nuova direttrice. Telejato continua, non c’è bisogno di dirlo. Mi spiace per lorsignori, ma si va avanti. Sono già al computer, mi dica cosa debbo fare.
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“Perché, la storia di Telejato, e di tutti noi ragazzi, non si può cancellare così. Siamo tutti stretti l’uno all’altro, e rimarremo in questo modo, qualunque sia il pensiero di ciascuno, qualunque emozione. Qualunque cosa accada. Uniti. Insieme”.
Cari ragazzi, ho letto molto, con emozioni diverse. Non ho commentato nulla e non mi sento di commentare ora. Posso solo dire che questo articolo è bellissimo, forse il migliore. Si’, ragazzi, andate avanti, ma mantenete la vostra purezza. Buona fortuna
Per chi qualche giorno fa ha dato il via alla macchina mediatica del fango. Per chi in un nano secondo ha dimenticato la parabola di Pino Maniaci. Un uomo che la Sicilia non l’ha mai abbandonata, che si è infilato nella tana di Bernardo Provenzano e che giocava a freccette con il viso di quel pezzo di merda che è Matteo Messina Denaro. Quell’uomo che viveva con dignità, senza un soldo, e ospitava decine di stagisti da tutto il mondo, ogni anno, senza farli mancare nulla. Quel signore, con una lingua lunghissima, che è sempre arrivato ovunque, con una paura matta, senza mai dimenticare di fare nomi e cognomi di tutta quella feccia. Nomi e cognomi che Repubblica manco si sogna di fare. L’uomo che da anni indagava sugli amministratori giudiziari (e nessuno ne ha mai parlato), quello che ogni giorno ospitava frotte e frotte di ragazzini per spiegarli che cos’è Telejato e che cosa significa fare giornalismo, quello vero, quello serio. Voi dimenticate pure, io no. Per me Pino rimarrà sempre Pino. Non un eroe, odiava essere definito così, ma quel signore baffuto con tre cellulari in mano, un caffé e una tastiera davanti.
(Francesca Candioli)
Un articolo commovente, tra i ragazzi di tale junior c’era anche mia figlia Giulia. Penso che le tue siano le parole che cercava per parlarmi del fattaccio del giorno.Grazie par aver dato prospettive nuove a quello che credevo ormai morto e sepolto. Se teleiato continuerà sarò al vostro fianco.
Ragazzi continuate. Io sono con voi. Insieme a voi.
Ragazzi dovete continuare! per tutti noi, che oggi viviamo un giorno, se non di lutto, di grande sconforto.
Si dice che la carne è debole, che il potere logora, ecc…
La verità è che lo sbaglio di uno, anche se il primo, anche se il capo, non può far crollare la bellezza di un sogno che è stato costruito con dedizione e sacrificio.
Che le nostre idee continuino a camminare sulle vostre gambe
Ciao ragazzi, conosco qualcuno di voi, so la Vostra indole, so che avete iniziato un percorso che sarà lungo e duraturo. Di questo ve ne sono grato. Mi sento vicino a tutti voi, e ne comprendo lo stato d’animo. Quello che avete imparato, quello che Pino Maniaci vi ha insegnato, travalica dall’insegnante stesso. Vincerà l’impostazione avuta e l’esperienza fatta per accrescerla e per condurre nella vita quell’esistenza che vi è stata indicata. Di questo va ringraziato chi ha reso possibile ciò, indipendentemente dalle strade che ognuno si trova a percorrere.
Vivo fuori dalla Sicilia, purtroppo, da alcuni anni.
Non seguivo costantemente telejato e pino maniaci, ma alcune loro inchieste mi appassionavano, cercando sempre massimi riscontri di quanto raccontato.
Ho potuto ascoltare dal vivo Riccardo Orioles e mi trovo abbastanza d’accordo con quanto da lui scritto.
Se “cade” un pezzo della squadra, non vuol dire che tutta la squadra è da buttar via.
Coraggio e forza per chi resta e benvenuto a chi verrà.
Fateci appassionare sempre più della nostra terra.
Grazie per questo articolo che non getta acqua sporca e bambino.
Ho conosciuto Pino alle manifestazioni in memoria di mio fratello, o quando facciamo interventi nelle scuole.
Non lo abbiamo mai chiamato , ma lui, o sua figlia o suo figlio o qualche tirocinante con loro..erano sempre presenti con affetto e sorridenti .
Questa storia mi fa ripetere: “Mi dispiace moltissimo..cosa è successo …”Spero che, in qualche modo, Telejato continui il suo lavoro …