Il generale e la vedova
Quando, considerato che dai carabinieri non potevamo avere giustizia, ci mettemmo a cercare tracce, assieme ai brandelli del corpo di Peppino, lasciati all’aria e in pasto agli uccelli, e trovammo le macchie di sangue in un casolare che era lì, ma che nessuno aveva notato, l’indomani trovammo, sempre sul Giornale di Sicilia, l’affermazione che “per i carabinieri trattasi di sangue mestruale”.
Malgrado i manifesti, malgrado la grande folla al funerale, malgrado le manifestazioni in tutta Italia, malgrado l’elezione, in memoria, di Peppino Impastato al consiglio comunale di Cinisi, in cui era candidato, ancora il tenente Subranni, in un suo verbale del 30 maggio, cioè 20 giorni dopo, sosteneva ancora la tesi dell’attentato terroristico e quando, interrogato da Rocco Chinnici fu costretto ad ammettere di avere sbagliato, si giustificò dicendo di avere avuto informazioni sbagliate dai carabinieri di Cinisi.
Significativa anche una improvvisa presenza del capitano D’Aleo, della caserma di Monreale, poi anche lui vittima di mafia, che di colpo scomparve dall’indagine: forse che non condivideva i metodi di Subranni.
Ma, a concludere questa allucinante vicenda, va anche considerato il ruolo del magistrato che condusse le indagini, il giudice Domenico Signorino, che sarà anche PM al maxiprocesso e che morirà suicida nel novembre 1992, si disse per debiti di gioco: il pentito Gaspare Mutolo, guarda un po’, quello che Paolo Borsellino interrogherà, nel suo viaggio a Roma il 17-07-1992 e che avrebbe dovuto reinterrogare, (aggiungiamo che, in una telefonata la mattina del 19 il procuratore Pietro Giammanco, quello che aveva fatto le scarpe a Falcone, lo aveva sollevato da questo interrogatorio, affidandolo, chissà perchè, al giudice Aliquò), in una delle sue dichiarazioni descrive perfettamente la casa del giudice Signorino e l’ubicazione delle varie stanze.
Le indagini sull’omicidio di Peppino hanno assunto la giusta direzione perché, su sollecitazione del Procuratore capo Gaetano Costa, Signorino si convinse di avere sbagliato tutto e, nove mesi dopo formalizzò l’istruttoria come “omicidio ad opera d’ignoti”: il caso venne preso in mano da Rocco Chinnici e, dopo la sua morte, da Antonino Caponnetto, che arrivò, in quel momento alla conclusione che Peppino era stato ucciso dalla mafia di Cinisi, ma che non c’erano sufficienti prove per incriminare qualcuno.
Durante il processo vennero fuori interessanti dichiarazioni di pentiti, come Francesco di Carlo :“La stazione dei carabinieri di Cinisi non li disturbava ai mafiosi, facevano finta di niente perché ci avevano fatto parlare il colonnello Russo.
Al colonnello Russo ci avevano fatto parlare i Salvo e Tanino Badalamenti e si comportavano bene”, o quella di Francesco Onorato “era risaputo che il Badalamenti avesse nelle mani i carabinieri del territorio di sua pertinenza”.
Tutto questo ci dà il termometro della situazione.
Pertanto, l’affermazione che Subranni fosse “punciutu” stupisce, perché sappiamo di esponenti delle forze dell’ordine collusi o implicati in accuse di concorso in associazione mafiosa, ma non di “punciuti”, cioè di affiliati, sarebbe la prima volta, tuttavia la cosa si inserisce perfettamente in quel quadro di torbide vicende sui rapporti tra le forze dell’ordine, i politici, i magistrati e i mafiosi, che caratterizza la fine degli anni 70 e che dura sino ad oggi.
Subranni continuerà la sua irresistibile carriera sino a diventare generale dei ROS, cioè uno degli uomini più potenti d’Italia.
Mori, Obinu, Canale, Contrada, Russo e molti altri restano nomi sui quali si addensano ombre inquiete.
A dirci che nulla è cambiato, troviamo che il figlio di Subranni, Ennio, è attualmente membro del ROC, il Reclutamento operativo centrale dei nostri servizi segreti, mentre la figlia Danila è stata la principale portavoce di Angelino Alfano, all’epoca in cui era ministro della Giustizia e il padre era accusato di favoreggiamento della latitanza di Bernardo Provenzano.
Ogni cosa a suo posto.
http://youtu.be/uvd2RkVcb-E
Figlio ImPastato d’Amore – cantando Peppino – del poeta e cantautore pegato contro le mafie, Salvatore Azzaro