Il desiderio e il progetto
Mafia e globalizzazione stanno bene insieme
Lo sappiamo ma sarà bene ridirlo: Giuseppe Fava era un grande giornalista, acuto ed eterodosso (un peccato mortale in un contesto votato alla retorica e al conformismo), un romanziere e drammaturgo degno della nobile tradizione catanese, un instancabile imprenditore culturale, che sapeva coniugare creatività e capacità organizzative.
A trent’anni dal suo assassinio, volendo tracciare un bilancio, possiamo dire che alla fine degli anni ’80 c’è stata una svolta che non è retorico definire epocale. Il crollo del socialismo reale ha aperto la strada al capitalismo senza alternativa, egemonizzato dal capitale finanziario che ingigantisce la ricchezza di pochi ed emargina gran parte della popolazione mondiale.
L’ideologia vincente, il neoliberismo, si è imposta come pensiero unico. Si pensava che si dovessero aprire anni di pacifica convivenza e invece c’è stato un succedersi di guerre e conflitti tra opposti. La storia non è finita, ma pare si sia imbucata in un tunnel senza fine. “Un altro mondo è possibile”, abbiamo detto nei Forum sociali, pensando al Chiapas e ai bilanci partecipativi, ma finora è solo un desiderio.
In Italia Tangentopoli ha spazzato via il Partito socialista, la Democrazia cristiana si è sciolta, il Partito comunista non ha cambiato solo nome ma ha virato verso il centro, unendosi a ex democristiani e obbligandosi a cancellare il peccato originale (e con Renzi cosa sarà il Pd?).
Al posto dei partiti sono nati clan e tifoserie personali. A sinistra, falliti i tentativi di rifondazione, c’è un mucchietto di macerie, anche se qualcuno sopravvive sul piano elettorale. Il vuoto di potere è stato riempito da un monopolista delle televisioni commerciali che è “sceso in campo” per tutelare i suoi interessi e assicurarsi l’impunità. C’è riuscito per vent’anni, con milioni di italiani che l’hanno votato perché si riconoscono in lui e vorrebbero essere come lui. Abbiamo assistito all’apoteosi della volgarità e della barbarie. E non credo che sia finita con la sua defenestrazione dal Senato.
In un quadro di democrazia bloccata
L’Italia non ha mai brillato per cultura democratica, nonostante la Resistenza e una Costituzione frutto di un patto interrotto, nel maggio del 1947, a lavori in corso. In un quadro di “democrazia bloccata” i suoi principi fondamentali sono rimasti sulla carta.
E la mafia, le mafie? Cosa nostra, dopo i grandi delitti e le stragi, ha avuto dei colpi ma il modello mafioso si adatta benissimo alla globalizzazione neoliberista, che è criminogena per due aspetti fondamentali: l’aggravamento degli squilibri territoriali e dei divari sociali, per cui gli esclusi dal mercato hanno come unica risorsa, o la più conveniente, l’accumulazione illegale, e la finanziarizzazione dell’economia che rende sempre più difficile distinguere capitali legali e illegali. Così le mafie proliferano al centro e alle periferie.
L’antimafia fa quel che può ma resta un problema di fondo: riusciremo a dare il nostro contributo per progettare “un altro mondo possibile”?
Bisognerebbe coinvolgere emarginati, disoccupati e precari. Ma per farlo occorre una cultura volta a capire il presente e non a scimmiottare il passato.