Il bell’Anthony
In Sicilia ci sono due categorie di comuni: le capitali dei feudi e le terre di conquista. Ci sono comuni la cui democrazia è tenuta in pugno dal capo politico del luogo: un parlamentare nazionale, un ministro, un deputato del parlamento regionale. Comuni che di solito attirano più finanziamenti degli altri, che sono più puliti degli altri, i cui politici sono più influenti degli altri. Sono le capitali dei feudi: Paternò, Bronte, Militello, Fiumedinisi, Grammichele e tante tante altre.
Capitale del feudo è anche il Comune di Pedara, califfato di Anthony Barbagallo, già consigliere comunale e Sindaco di Pedara, deputato regionale, deputato nazionale e Segretario Regionale del Partito Democratico della Sicilia. Barbagallo non è nato nel PD, anzi. Giovane esponente politico dell’UDC, è tra i giovani rampolli a seguire Raffaele Lombardo nella fondazione del Movimento per l’Autonomia. Poi approda al PD dove si dimostra il più capace e intelligente di tutti. Ma soprattutto quello col maggior numero di voti (tranne per la parentesi sammartiniana). Viene da una buona scuola Barbagallo, ha imparato a gestire il potere e sa bene che, al di là di vetuste incrostazioni ideologiche, il Partito Democratico apre ogni porta a chi dimostra di assicurare posizioni di consigliere, assessore, componente di cda e tutta la miriade di incarichi di sottogoverno possibili. In breve tempo diventa Segretario Regionale. Nella mitologia barbagalliana si narra di un filo diretto ancora operativo con Raffaele Lombardo, ma di cui nessuno trova conferma se non qualche indizio. Curiosa per esempio l’insistenza di Barbagallo a candidare Caterina Chinnici alla Presidenza della Regione Sicilia al posto di Claudio Fava. Chinnici che nel giro di qualche settimana abbandonerà il PD, entrerà in Forza Italia e diventerà la candidata di punta di Raffaele Lombardo alle elezioni europee, mentre Barbagallo non farà alcuno sforzo per confezionare una lista alle europee davvero competitiva.
Barbagallo nel PD non affronta gli avversari ma li stermina, e con superba intelligenza ne consacra l’inconstistenza. Storica la convention del Partito Democratico a Catania a sostegno della candidatura di Bonaccini alle primarie, piena di tutti i massimi dirigenti del PD siciliano. Barbagallo scelse la Schlein, vinse e mise tutti gli altri alla porta: per andare via o tornare a capo chino.
La strategia vincente di Barbagallo è tirarsi tutti con lui, indipendentemente dalle convinzioni ideologiche, dal passato politico, dalle ambizioni future. Non gli importa altro che la fedeltà al suo comando. Può capitare però che l’ingranaggio si inceppi.
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A Paternò c’è un coraggioso circolo del Partito Democratico che fa opposizione ai rigurgiti autoritari, al razzismo e alla mafia. Paternò è il feudo siciliano di Ignazio La Russa. Una volta il Sindaco del paese, Nino Naso, trasversalmente larussiano, decise di emettere un’ordinanza per censurare i manifesti del circolo perché ledevano, a suo dire, l’immagine del Presidente del Senato. Ci fu grande opposizione e ci ritrovammo tutti lì per sostenere il circolo e la libertà di espressione.
A metà aprile la Procura di Catania ha arrestato alcuni mafiosi di Paternò e indagato Nino Naso e un suo assessore per voto di scambio politico-mafioso. Il Sindaco avrebbe assicurato “l’assunzione di soggetti vicini all’associazione mafiosa” in cambio di sostegno elettorale. Subito il coraggioso circolo ha chiesto le dimissioni e espresso indignazione e preoccupazione per il potere mafioso su Paternò. In occasione del 23 maggio il Sindaco Nino Naso, nonostante l’indagine, ha deciso di commemorare pubblicamente Falcone e l’impavido circolo gli si è scagliato contro: “sul piano dell’opportunità e del buon gusto è assolutamente inappropriato – hanno scritto – che Naso, con assoluta facciatosta, presenzi ad un evento del genere”.
Proprio nelle stesse ore, a quaranta chilometri di distanza, il circolo del Partito Democratico di Randazzo teneva una riunione. A presiederla il Segretario del Circolo Gianluca Anzalone, accanto a lui il Segretario regionale del PD Anthony Barbagallo. Il circolo di Randazzo del PD è diversamente coraggioso. Anzalone fino a qualche mese fa era il vicesindaco di Randazzo, poi il Comune è stato sciolto per mafia. Il Presidente della Repubblica ha firmato il decreto di scioglimento il 26 gennaio, motivato da gravissime infiltrazioni criminali nell’attività amministrativa e da una rete infinita di connivenze. Diversamente coraggiosi, Anzalone e il suo circolo hanno difeso a spada tratta l’operato della Giunta e presentato ricorso contro lo scioglimento. A Randazzo, scrive la Prefettura, “sono state riscontrate forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che compromettono la libera determinazione e l’imparzialità dell’amministrazione locale, nonché il buon andamento ed il funzionamento dei servizi con grave pregiudizio dell’ordine e della sicurezza pubblica”. Eppure il Segretario Regionale del Partito Democratico nonché parlamentare e componente della commissione nazionale antimafia, Anthony Barbagallo, si reca al circolo del vicesindaco “sciolto per mafia” e programma le nuove avventure elettorali con chi è stato protagonista della Giunta oggetto di scioglimento.
A Paternò il 23 maggio i partiti di opposizione, tra cui il PD, hanno deciso di rispondere all’arroganza di Nino Naso con una manifestazione pubblica dal titolo Paternò non è cosa vostra. Ci saranno Enzo Guarnera, dell’associazione antimafia e legalità, Adriana Laudani, dell’associazione Memoria e Futura, il giornalista Luciano Mirone e il PD ha annunciato anche la presenza del Segretario regionale Anthony Barbagallo.
Cosa dirà Anthony Barbagallo il 23 maggio a Paternò? Parlerà del coraggio di resistere alla mafia, o del coraggio di resistere all’antimafia? Se è inopportuno che Nino Naso commemori Falcone, siamo così certi che può farlo chi non ha trovato il coraggio di pronunciare una sola parola sullo scioglimento per mafia del Comune di Randazzo?
A Randazzo il 23 maggio l’associazione Civitas, tra le poche voci di dissenso contro la mafia, organizzerà in piazza lo spettacolo “Libere, donne contro la mafia” di Cinzia Caminiti. Un monito alla riscossa civile. I manifesti dello spettacolo sono stati in queste ore strappati o coperti. In alcuni casi ci hanno affisso sopra dei manifesti funebri, in alcuni casi affissi dalla ditta di pompe funebri di proprietà dell’ex assessore Batturi, anche lui “sciolto per mafia”.
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C’è un aneddoto, scritto da Giuseppe Fava, che meglio di tanti altri racconta i nostri tempi. I tanti Barbagalli e i pochi che decidono la via del coraggio.
“Vi racconto una piccola atroce storia per capire quale possa essere talvolta la posizione del potere politico dentro una vicenda mafiosa, una storia vecchia di alcuni anni fa e che oggi non avrebbe senso e che tuttavia in un certo modo interpreta tutt’oggi il senso politico della mafia. Nel paese di Camporeale, provincia di Palermo, nel cuore della Sicilia, assediato da tutta la mafia della provincia palermitana, c’era un sindaco democristiano, un democristiano onesto, di nome Pasquale Almerico, il quale essendo anche segretario comunale della DC, rifiutò la tessera di iscrizione al partito ad un patriarca mafioso, chiamato Vanni Sacco ed a tutti i suoi amici, clienti, alleati e complici. Quattrocento persone. Quattrocento tessere. Sarebbe stato un trionfo politico del partito, in una zona fino allora feudo di liberali e monarchici, ma il sindaco Almerico sapeva che quei quattrocento nuovi tesserati si sarebbero impadroniti della maggioranza ed avrebbero saccheggiato il Comune. Con un gesto di temeraria dignità, rifiutò le tessere.
Respinti dal sindaco, i mafiosi ripresentarono allora la domanda alla segreteria provinciale della DC, retta in quel tempo dall’ancora giovane Giovanni Gioia, il quale impose al sindaco Almerico di accogliere quelle quattrocento richieste di iscrizione, ma il sindaco Almerico, che era medico di paese, un galantuomo che credeva nella DC come ideale di governo politico, ed era infine anche un uomo con i coglioni, rispose ancora di no. Allora i postulanti gli fecero semplicemente sapere che, se non avesse ceduto, lo avrebbero ucciso, e il sindaco Almerico, medico galantuomo, sempre convinto che la Dc fosse soprattutto un ideale, rifiutò ancora. La segreteria provinciale s’incazzò, sospese dal partito il sindaco Almerico e concesse quelle quattrocento tessere. Il sindaco Pasquale Almerico cominciò a vivere in attesa della morte. Scrisse un memoriale indirizzato alla segreteria provinciale e nazionale del partito denunciando quello che accadeva e indicando persino i nomi dei suoi probabili assassini. E continuò a vivere nell’attesa della morte. Solo, abbandonato da tutti. Nessuno gli dette retta, lo ritennero un pazzo visionario che voleva continuare a comandare da solo la città emarginando forze politiche nuove e moderne.
Talvolta lo accompagnavano per strada alcuni amici armati per proteggerlo. Poi anche gli amici scomparvero. Una sera di ottobre mentre Pasquale Almerico usciva dal municipio, si spensero tutte le luci di Camporeale e da tre punti opposti della piazza si cominciò a sparare contro quella povera ombra solitaria. Cinquantadue proiettili di mitra, due scariche di lupara. Il sindaco Pasquale Almerico venne divelto, sfigurato, ucciso e i mafiosi divennero i padroni di Camporeale. Pasquale Almerico, per anni, anche negli ambienti ufficiali del partito venne considerato un pazzo alla memoria.
E’ una storia oramai lontana e dimenticata, nella quale erano in gioco soltanto quattrocento voti di preferenza: una piccola storia però perfetta come un teorema poiché spiega come può il potere politico gestire la vicenda mafiosa e starci da protagonista”
Giuseppe Fava, gennaio 1983, I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa, primo numero de I Siciliani