Il bavaglio di Facebook
Vi aspetto fuori, nel mondo reale e negli spazi virtuali dove gli utenti sono liberi. Me ne vado dal “Truman show” chiamato Facebook.
Censura, sequestro di persona virtuale, concentrazione di potere mediatico ed economico: tutte le ragioni per non contribuire più con i miei contenuti e le mie conversazioni ad una azienda dall’etica discutibile
Smetterò di utilizzare Facebook, perchè mi sono convinto che è una scelta indispensabile per continuare a considerarmi una persona decente. Era da tempo che mi ripromettevo di andarmene, con molteplici e valide motivazioni: tempo rubato alla lettura di libri, dispersione in un flusso superficiale di notizie privo di ogni approfondimento, convinzione sempre più radicata che Facebook sia l’equivalente moderno della televisione come strumento di massificazione, omologazione e devastazione culturale, dipendenza dalle interazioni con gli altri che ti spinge a collegarti ad ogni possibile occasione per seguire “cosa succede di la” con la continua sensazione di perderti qualcosa di imperdibile.
Ma finora avevo rimandato. Facebook era utile per tenermi in contatto con amici lontani, era un canale dove dare sfogo alla mia logorrea compulsiva di scrittore, è un potente strumento di promozione dei libri e delle iniziative che realizziamo nella nostra associazione culturale su www.mamma.am/libri, mi ha aiutato in più occasioni a ottenere informazioni preziose pubblicando in bacheca domande su tutto lo scibile umano, con la sicurezza che per la legge dei grandi numeri almeno uno dei miei cinquemila contatti avrebbe risposto. E rispondevano.
Continuavo a starci come “male minore“, consapevole di tutti i casi in cui avevo visto imbavagliare degli amici con azioni assurde di censura, consapevole delle discutibili regole di utilizzo imposte dall’azienda ai suoi utenti, consapevole che Facebook chiude i tuoi dati in un recinto inespugnabile, e non c’è modo di far uscire da quel sito i dati delle cinquemila persone che hanno voluto entrare in contatto con me, a meno di non voler dedicare una quantità non trascurabile del mio tempo e della mia vita alla trascrizione manuale di quei dati a colpi di copia-e-incolla. Consapevole, si, ma non ancora pienamente cosciente della gravità delle politiche aziendali di Facebook, centrate sul massimo profitto economico, il che non e’ un male in se, ma lo diventa se questo profitto è generato a scapito delle libertà altrui, negando alle persone il controllo sui propri dati, sulla propria “vita online”, sul proprio “diario elettronico”.
Tutto questo sembrava un male minore, fino a quando il mio account non è stato bloccato per tre giorni dopo aver pubblicato il contenuto di una discussione pubblica che si è svolta su una pagina Facebook pubblica collegata a un libro satirico, una pagina gestita da me e dal fumettista Alessio Spataro. Il contenuto “incriminato”, che mi è costato tre giorni di “confino virtuale” era una discussione dove qualcuno faceva l’apologia del neofascismo vantandosi di aver preso soldi dai neofascisti, e chiamava “vermi da tastiera” quelli che criticavano i neofascisti su presupposti libertari e antifascisti. Ma alla fine i soggetti socialmente devianti nel mondo virtuale blu di “big F” siamo stati noi che abbiamo voluto ripetere e mettere in evidenza l’altrui apologia del fascismo, ovviamente per stigmatizzarla.
La trolla Maria Tonale dichiara di aver preso soldi da Forza Nuova, autore Carlo Gubitosa
In altre parole l’azienda chiamata Facebook, che controlla il mio elenco di amici, non ha problemi a bloccare contenuti di una pagina satirica libertaria e antifascista, ne a mettermi un bavaglio su invito di fascisti pagati dai fascisti, il tutto perchè ai fascisti prezzolati, dopo averlo detto pubblicamente, non fa piacere che si sappia altrettanto pubblicamente che hanno preso soldi dai fascisti di Forza Nuova per chiamare “vermi da tastiera” chi critica i fascisti.
Come se questo bavaglio non fosse già grave di per se, mi è stato impedito perfino di inviare messaggi privati ai miei contatti Facebook, privandomi non solo del diritto di espressione pubblica, ma perfino del diritto alla comunicazione privata, come se ai condannati per violazione della privacy fosse impedito di fare telefonate e scrivere lettere, una forma di censura che non sarebbe giustificabile nemmeno se avessi pubblicato i contenuti più scorretti di questo mondo, mentre invece ho solo esercitato i miei inalienabili diritti di espressione e di critica di fronte a contenuti che nel nostro paese potrebbero anche essere perseguiti penalmente. In buona sostanza, quella che ho dovuto subire dall’azienda californiana Facebook Inc. (che nel 2015 ha trasformato in 17 trilioni di dollari di profitti le conversazioni elettroniche di un miliardo e mezzo di sudditi) e’ stata una forma di “confino elettronico”, simile a quello praticato a suo tempo dal regime fascista verso i dissidenti e le persone scomode.
In questa ciber-monarchia, per i servi della gleba non è prevista nemmeno la possibilità di esportare i contenuti delle proprie pagine, e si può solo salvare (e anche parzialmente) la propria attività online (foto, messaggi, status). Per contro, Facebook sequestra le discussioni nate sulla tua bacheca, i commenti e le risposte ai commenti, sequestra le informazioni sui link che hai segnalato, e perfino su chi ti ha scritto messaggi in bacheca (nel salvataggio scaricabile compare solo il messaggio ma non l’autore).
Ecco un piccolo esempio per farsi un’idea di tutta la vita, le parole, gli scherzi, le relazioni sequestrate da una azienda che si attiva su segnalazione dei fascisti per mettere bavagli, ma non si e’ mai attivata su segnalazione degli utenti per liberare i dati sequestrati nei propri server.
Non ho usato a caso il termine “sequestro”: tutta quella vita che rimarrà nei computer di Facebook fino a quando l’azienda lo riterrà conveniente era la MIA VITA DIGITALE, e negarne una copia al diretto interessato per quanto mi riguarda equivale a un vero e proprio “sequestro di persona virtuale”. Fino a quando ci sei dentro, la “mutilazione” del tuo backup non ti sembra così grave, e speri sempre che in un futuro aggiornamento di Facebook si potranno esportare più dati. Ma quando metti un piede fuori dalla porta, e vorresti portare con te tutte le interazioni che hai creato condividendo i tuoi pensieri, ti accorgi che quell’azienda si è impegnata solo ad aggiungere faccine e stati d’animo al semplice “mi piace”, ma non intende affatto impegnarsi perchè tu possa mantenere traccia di quegli stati d’animo anche fuori dalle mura di quell’azienda.
Tremo solo al pensiero dei tanti, troppi esseri umani che verranno calpestati nella loro dignità e nei loro diritti dopo la perdita di una persona cara, e cercando di recuperare il materiale prodotto dai loro parenti scomparsi si accorgeranno solo dopo un lutto che la vita digitale trascorsa su Facebook produce un album di famiglia sequestrato da un’azienda che ha ritenuto conveniente espropriare quella famiglia dei contenuti che ha prodotto, negando e a una vedova o a un orfano il diritto di ottenere una copia integrale dei dati prodotti dai loro cari, dei loro pensieri, delle loro conversazioni con amici e familiari.
In questo immenso Truman Show su scala planetaria, per ironia della sorte (o per conferma delle filosofie orientali che vedono un puntino di bene anche nel male più nero) devo ringraziare per il mio repentino risveglio la doccia fredda subita con la censura praticata da questa azienda su ordine di un fascista vigliacco e incapace di confrontarsi sui contenuti, un gesto profondamente squadrista e violento che mi ha messo davanti a un bivio etico con la giusta dose di insofferenza per scegliere la strada più giusta, con la giusta dose di indignazione per rifiutare ogni sistema di controllo totalitario aziendale sulle informazioni che produco e i pensieri che elaboro, con la giusta dose di forza interiore per abbandonare la strada più comoda percorsa finora, quella in cui regalavo ad una azienda la mia vita elettronica in cambio di gratificanti interazioni sociali elettroniche.
Per tutte le ragioni esposte fin qui credo che la cosa più etica moralmente, anche se è la più faticosa socialmente, sia l’abbandono di uno spazio di comunicazione in cui si pratica la censura fascista, si sequestrano le nostre personalità elettroniche, si monetizzano ed espropriano le nostre relazioni. Sara’ una scelta che penalizzerà le mie connessioni, ma di certo migliorerà le mie relazioni nel mondo reale, aumenterà il numero di libri che leggo ogni anno, ridurrà il numero di scemenze che sono costretto a leggere, ridurrà il numero di stupidi (nell’accezione di C.M. Cipolla) con cui dovrò avere a che fare, ridurrà la mia esposizione all’ anti-cultura di stampo neofascista dilagante sui social network nelle sue varianti fascio-fascista, clerico-fascista, rosso-bruna, fascio-padana e fascio-peppista.
Mi sono convinto che oggi un account Facebook equivale a quello che era la tessera del partito fascista nel secolo scorso: è qualcosa di comodo, che hanno tutti, ti agevola nelle relazioni e nel lavoro, ti sembra indispensabile e ti dà l’impressione di aiutarti a vivere meglio, anche se il prezzo da pagare per questo “meglio” è il sostegno a un potere autoritario, censorio, violento e basato sull’accumulo di dati, sull’accaparramento di risorse, e sull’assenza di rispetto per la vita umana, che nella sua forma “virtuale” è violentata su Facebook tanto quanto lo era dal fascismo nella sua forma fisica.
Per quanto riguarda i miei dati, il mio account Facebook rimarrà attivo anche se sarà inutilizzato, nella speranza che prima o poi possa recuperare integralmente i dati che contiene, e quindi chi è tra i miei contatti potrà facilmente recuperare sul mio profilo Facebook il mio telefono cellulare e la mia email.
Per il futuro, come forma di tecno-resistenza al Grande Fratello Facebook potrò dedicare il tempo liberato dalla sospensione del mio account a sostenere i numerosi progetti già attivi per realizzazione di social network dove gli utenti sono padroni dei propri dati, dove si possono affermare i valori della non violenza e dell’antifascismo con mezzi coerenti ai fini, basati su software libero che mantiene aperti ed esportabili tutti i dati e i formati prodotti dagli utenti. Un altro possibile progetto per la mia nuova vita virtuale dopo aver elaborato il lutto per i dati persi su Facebook grazie a un ricco e capriccioso miliardario, è il possibile lancio di un crowdfunding con cui raccogliere risorse da destinare a un team di programmatori, per la produzione di un software libero capace di estrarre dal nostro profilo Facebook i dati dei nostri contatti, comprensivi di email e numero telefonico qualora disponibili. Se qualcuno è interessato a ragionare su questi progetti si metta in contatto con me.
So che sarà una rottura dolorosa, perchè oggi un pezzo della mia identità è fatto anche dai rapporti e dalle relazioni che ho costruito negli otto anni di permanenza in questo mondo virtuale, ma so che lì fuori non sono da solo, e ci sono altre persone che hanno deciso di dire no al controllo poliziesco, alle censure manipolate e selettive, al sequestro dei dati personali, alle regole del gioco imposte da una azienda, all’enorme concentrazione di informazioni e potere nelle mani di un singolo brand.
Lì fuori iniziano a moltiplicarsi gli eserciti di liberazione da Facebook, le cliniche di riabilitazione da questo mass-media censorio, invasivo e autoritario capace di creare dipendenza, le iniziative di chi ha deciso di far sentire chiaramente il proprio NO: non avrete più il controllo sulle nostre conversazioni, le nostre informazioni, le nostre vite digitali.
Ed e’ li’ fuori che vi aspetterò se vorrete venire a cercarmi, per riprendere il filo delle nostre conversazioni elettroniche, i nostri scambi di idee e informazioni, la nostra ricerca di spiriti affini e compagni di strada nei sentieri del ciber spazio, un luogo della mente che oggi più che mai è un bene comune da difendere contro ogni tentativo di privatizzazione. E va difeso anche se il prezzo da pagare per questa scelta è un “suicidio elettronico” nella propria comunità virtuale di riferimento.
Non sono il primo a dover fare la scelta tra libertà o morte, e in questo caso specifico mi ritengo fortunato perchè la morte da scegliere per essere libero è solo la morte di un Avatar sul quale proiettavano la loro immaginazione cinquemila contatti, mentre la mia vita reale continuerà come prima, forse anche meglio.
Vi aspetto lì fuori, cari “contatti Facebook”, restando a vostra disposizione se vorrete ancora condividere qualcosa con me, per essere amici nel senso più vero e pieno di questo termine e ribellarci assieme ad un sistema che trasforma gli amici in cavie impotenti di un raffinato sistema di controllo, monetizzazione e privatizzazione delle relazioni sociali.
Chi è arrivato a leggere fin qui, se è’ interessato a restare in contatto con me con mezzi diversi da Facebook può segnalarmi i suoi dati cliccando su http://url.gubi.it/amicifb e lo inserirò nell’ indirizzario delle persone a cui invio periodicamente delle email collettive. Se vuoi seguire gli aggiornamenti del mio sito personale aggiungi al tuo news reader il feed http://web.giornalismi.info/feeds/gubi.rss
Benvenuto nel club di “quelli usciti da Facebook”. Io sono fuori da due anni e lo dico come se fossi stato “ingabbiato”. Fuori nel mondo reale va da schifo uguale ma almeno i contatti sono più sani e sopratutto non regali più del tempo a chi si arricchisce dalla tua vita virtuale. Aggiungo un link di un articolo di wu ming pubblicato su giap che trovo molto interessante e congruo al tema.
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5241