II principe nero del Duemila
E in piena guerra tra spioni e controspioni, il 17 aprile 1984 Enrico Mezzani rivelò al giudice Di Maggio di aver appreso da Cattafi che il medesimo nell’estate del 1983 aveva partecipato ad una riunione, “presenti tra gli altri Nitto Santapaola ed un parlamentare democristiano”, in cui si era parlato di una fornitura di armi destinate all’esecuzione di un attentato ai danni dell’allora giudice istruttore Giovanni Falcone.
Secondo De Giorgi, Cattafi avrebbe informato Mezzani pure su Angelo Epaminonda, il personaggio di punta della malavita milanese negli anni ‘80.
Grosso trafficante di stupefacenti, Epaminonda si era inserito con successo nel controllo delle case da gioco del nord Italia, alleandosi con le famiglie mafiose siciliane e con i clan aventi la loro sede operativa nell’autoparco di Milano.
Epaminonda fu il primo a descrivere l’escalation criminale in Lombardia del giovane Cattafi. Interrogato nel dicembre 1984 da Francesco Di Maggio, Epaminonda raccontò che qualche tempo prima si erano presentati al suo cospetto il catanese Salvatore Cuscunà inteso Turi Buatta e Rosario “Saro” Cattafi, per proporgli di cogestire un’attività di cambio assegni presso il casinò di Saint Vincent.
“Dopo i primi convenevoli, nel corso dei quali Saro mi spiegò di essere legato strettamente a Nitto Santapaola, mi feci indicare i termini del progetto. Saro disse che agiva in società con altra persona ben introdotta nei casinò. Trattai gli interlocutori con sufficienza per far intendere che la proposta non era di mio interesse, almeno nei termini della società tra noi. Rammento ancora che Saro mi disse di essere in buoni rapporti con la Guardia di finanza, che era stata messa una taglia per la mia cattura e che avrebbe potuto interferire per avere notizie su come la Finanza si muoveva. Risposi che la cosa non mi interessava, che la Finanza avrebbe potuto fare il suo lavoro tranquillamente, anche perché io avevo da vedermela con altre forze di Polizia. Io temevo che gli emissari del gruppo Santapaola, e tra questi Saro, tendessero a stringere rapporti con me, per poi farmi catturare”.
A Milano, Cattafi poté pure contare sulla fiducia dei rappresentanti delle ‘ndrine (per il collaboratore Franco Brunero il barcellonese era legato ai calabresi facenti capo ai Ruga, “collegati a loro volta a Santapaola tramite tale Paolo Aquilino”) e, contestualmente, degli esponenti di punta della vecchia e nuova mafia palermitana.
Sin dai primi anni ‘70, il capoluogo lombardo era stato scelto quale base operativa e finanziaria dai boss Gaetano Fidanzati, Alfredo e Giuseppe Bono, Gerlando Alberti senior, Enrico e Antonino Carollo. Milano e la Svizzera erano tappe delle missioni d’oltre Stretto di Stefano Bontate, il “principe di Villagrazia”, un’ossessione malcelata per la caccia e le macchine di grossa cilindrata, alla guida della Cupola sino alla sua morte, il 23 aprile 1981, quando fu assassinato dai Corleonesi di Riina e Provenzano.
Nel dicembre 1997, il falsario Federico Corniglia ammise davanti ai pubblici ministeri Alberto Nobili e Antonio Ingroia di essere entrato in contatto con numerosi esponenti della mafia siciliana. “Conobbi in particolare il capo mafia Stefano Bontate, al quale consegnai due false carte d’identità svizzere”, ha raccontato. “In quella stessa occasione notai che il Bontate era in compagnia di uno studente di Barcellona, che si chiamava Saro Cattafi. Era un uomo di fiducia del mafioso palermitano, tanto che si occupò di gestire in qualche modo, un grosso debito che tale Gianfranco Ginocchi aveva contratto nei confronti di quel capo mafia”.
Il Ginocchi, ucciso il 15 dicembre 1978, era un agente di cambio con importanti relazioni con gli istituti di credito svizzeri e aveva compiuto operazioni di riciclaggio per conto della stesso Bontate.
“Ginocchi aveva gli uffici in via Cardinal Federico, proprio alle spalle della Borsa. Cattafi addirittura, si installò a casa di questo Ginocchi perché doveva una cifra a Bontate. Non poteva assolvere però a questo debito e lui era proprietario di una terra edificabile nel comune di Milazzo, dove adesso è stato edificato un grande albergo, e gli cedettero questa terra, cioè sotto minacce, ma proprio fu l’uomo che fu mandato… Il Cattafi era uno di quei soggetti che ho visto poi arrivare delle volte col denaro, nel senso che aveva il compito specifico di trasferire materialmente i soldi all’estero; si trattava, in sostanza, di uno spallone”.
Gli inquirenti accertarono che Gianfranco Ginocchi era interessato a due società finanziarie, la Royal Italia S.p.a. e l’Euro management Italia S.p.a. – International Selective, i cui nomi erano emersi nell’ambito delle indagini sull’omicidio di un altro boss del firmamento di Cosa nostra, Giuseppe Di Cristina, eseguito a Palermo il 30 maggio 1978.
Al momento della morte, Di Cristina era in possesso di due assegni circolari di 10 milioni di lire ciascuno che erano stati negoziati sul conto corrente delle predette società assieme ad una partita di altri assegni circolari per un importo complessivo di tre miliardi di lire. L’allora giudice di Palermo, Giovanni Falcone, appurò che il denaro proveniva da un vasto traffico di droga svolto tra Malta, la Sicilia e gli Stati Uniti d’America dal gruppo mafioso Inzerillo–Spatola-Bontate.
Negli anni del “boia chi molla” e degli assalti dei calabro-barcellonesi all’Ateneo e alla Casa dello studente di Messina, Stefano Bontate e la “famiglia” di Santa Maria del Gesù, così come i Santapaola e gli Ercolano, erano di casa nella città dello Stretto.
Il collaboratore Francesco Marino Mannoia riferì delle preziose amicizie in loco di Stefano Bontate. Il padre, don Francesco Paolo Bontate, fu ricoverato dal 22 agosto 1973 al 25 febbraio 1974, data del decesso, presso la divisione di neurologia dell’ospedale “Regina Margherita” di Messina, di cui era primario il professore Matteo Vitetta e presso la quale lavorava come tecnico Santo Sfameni, il mammasantissima di Villafranca Tirrena.
Alla masseria di don Santo bivaccava la borghesia mafiosa peloritana: giudici, docenti universitari, medici, professionisti, militari, carabinieri, politici del pentapartito, fascisti di vecchia data e ordinovisti. E pure qualche amico e sodale dell’avvocato Rosario Pio Cattafi.