Identificare ed espellere
Indagine medica su un centro per il concentramento (forzato) degli immigrati
A Trapani il Cie di contrada Milo è una polveriera pronta ad esplodere. La struttura è nuova, operativa dal 2011, aperta in tutta fretta per affrontare l’emergenza Lampedusa.
Casermoni nuovi di zecca in cui vengono confinati i migranti che arrivano nelle coste della Sicilia occidentale. A Lampedusa, Pantelleria, Mazara. Ha sostituito l’infernale centro di Kinisia. Ma le condizioni non sono cambiate. E ormai sono all’ordine del giorno i tentativi di fuga dal centro, gli atti di autolesionismo da parte dei rinchiusi, le rivolte. Al momento al Cie di Milo sono rinchiusi circa 130 migranti che non hanno certezze sul loro futuro, chiusi in un limbo in cui le pratiche per l’asilo politico vanno a passo di lumaca. In cui i diritti personali vengono garantiti a singhiozzo.
«Non viene rispettata la nostra religione servendoci pasti a base di maiale», racconta un migrante. Un altro ragazzo tunisino qualche settimana fa ha provato la fuga, non ce l’ha fatta e ha riportato la frattura ai talloni. «Non potevo camminare, non potevo fare niente ed a Milo non c’erano i servizi sanitari necessari per la mia cura», ha raccontato. Ed ha aspettato un mese prima di essere trasferito in un altro centro d’accoglienza più adeguato.
Dall’altro lato anche gli agenti di sorveglianza lamentano la precarietà della struttura: «c’è un’atmosfera insostenibile e noi siamo in pochi». Hanno anche scioperato i lavoratori di Milo, che non percepivano lo stipendio da due mesi.
I Cie in Italia sono 15, e l’associazione Medici per i diritti umani (Medu) ha effettuato un monitoraggio completo di tutte le strutture. I risultati, come era prevedibile, non sono stati confortanti.
Alberto Barbieri e Maria Rita Pega, che hanno effettuato il monitoraggio, non usano mezzi termini dicendo che a Trapani la situazione è esplosiva.
«Da quello che abbiamo visto i Cie si dimostrano delle strutture inefficaci nel contrasto all’immigrazione irregolare e si rivelano tutti inadeguati a garantire i diritti fondamentali e la dignità umana dei trattenuti. Il Cie di Milo non fa eccezione su questo».
Qui infatti la situazione è paradossale: «Abbiamo potuto toccare con mano l’insostenibilità di queste strutture nonostante Milo stato radicalmente ristrutturato lo scorso anno. E possiamo dire inoltre che la maggiore tensione l’abbiamo riscontrata nel Cie di Milo quando il giorno precedente al nostro arrivo c’è stata una fuga di 12 trattenuti e durante la nostra visita, durata circa tre ore, ci sono stati oltre 10 tentativi di fuga».
Cosa porta un migrante rinchiuso a Milo a tentare la fuga, o addirittura atti di autolesionismo?
«La struttura di Milo, come le altre, – racconta Barbieri – genera e alimenta violenza, esclusione e alienazione in quelle persone che non hanno commesso un reato ma che si trovano in una condizione di irregolarità si trovano a trascorrere lì un periodo che può arrivare addirittura a 18 mesi».
Tra l’altro non ci sono attività ricreative o servizi di questo tipo per cercare di affievolire un po’ quella condizione di esclusione nelle persone trattenute.
«Non ci sono attività ricreative. Quindi il disagio delle persone, che sono a tutti gli effetti private della libertà personale, è fortissimo. Tra l’altro siamo estremamente preoccupati perché il nuovo ente gestore si è aggiudicata la gestione della struttura con un ribasso a base d’asta che ha portato il budget giornaliero per trattenuta a 27 euro rispetto ai 38 precedenti. Quindi i servizi alla persona risultano ulteriormente sacrificati e quindi contribuiscono a peggiorare le condizioni di vita».
Le cose che voi avete denunciato visitando il Cie di Milo purtroppo non sono nuove perché sono state fatte anche delle interrogazioni parlamentari. E’ molto difficile però alta l’attenzione su questi temi.
«Noi lavoriamo per cercare di farlo e di ottenere dei cambiamenti. In questo senso prima di visitare i Cie siciliani il mese scorso abbiamo visitato il Cie di Lamezia Terme in cui abbiamo riscontrato delle criticità gravissime e delle condizioni di vivibilità particolarmente sconcertanti. In questo caso fortunatamente il Cie di Lamezia è stato chiuso. Ci auguriamo che con la nuova legislatura ci sia un ripensamento globale sul testo unico sull’immigrazione e anche sui modi di gestire la questione dell’immigrazione irregolare.
Il disagio non è solo nei trattenuti a Milo ma anche nelle forze di sicurezza. Ci sono state delle denunce dagli stessi sindacati della polizia sulle condizioni di sicurezza della struttura. Ma il problema innanzitutto è garantire i diritti fondamentali ai migranti».