giovedì, Novembre 21, 2024
Musica

I nuovi cantautori

La definizione che ne dava lo Zingarelli era quanto mai cauta e sbrigativa: “chi canta canzoni scritte o musi­cate da lui stesso.”

Una banalità, ma era una pubblica­zione del 1971 e il fenomeno, e di con­seguenza il termine, erano ancora in via di formazione, per cui la leggerezza è perdonabile. In realtà la parola “cantautore” nasce e assume un signi­ficato ben preciso già tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, quan­do sull’onda del boom econo­mico e di una più capillare diffusione della tele­visione e della scolarizzazione, si assi­ste al passaggio definitivo dalle tradi­zionali culture popolari regionali e lo­cali a una nazionale unificata.

Nella musica, jazz e rock & roll dall’America e il beat dall’Inghilterra, erano enzimi potenti che venivano ad agitare la rassicurante tradizione melodi­ca del bel canto, e ai nomi di Luciano Ta­joli, Nilla Pizzi e Claudio Villa, si sostit­uivano di prepotenza quelli di Buscaglion­e, Modugno, Celentano e Mina.

In questa ondata di nuovo trovò però spazio anche un filone che più che al rock & roll si rifaceva al jazz, a Dylan, e in Europa a Brel e Brassens. Questi “al­ternativi” per i quali venne coniato il ter­mine “cantautore” si chiamavano Um­berto Bindi, Gino Paoli, Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Sergio Endrigo, Piero Ciampi, Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Fabrizio De André… e in sostanza, furo­no quelli che inaugurarono in Italia il fi­lone della canzone d’autore, quella stessa che, assumendo poi più marcati connotati sociali, conobbe negli anni ’70 il suo pe­riodo di massima espressione ed espan­sione, e fu la voce stessa di quel tempo, autenticamente popolare, ma al contem­po colta e raffinata.

Fu in quegli anni quindi che la figura del cantautore venne definitivamente stigmatizzata e consegnata all’uso dei di­zionari. Gli anni ’70 però come sappia­mo finirono con i successivi e tragici ’80 (di cui paghiamo ancora pesantissime tare culturali e non solo), e tra un aperiti­vo e l’altro i vecchi, noiosi, poetici e ma­linconici cantautori, furono accantonati insieme alle loro introspettive problema­tiche, per far spazio ai nuovi brillanti, emergenti, vuoti e sorridenti cantori rap­presentanti del nuovo.

Dei vecchi, esclusi il “lontano e inaf­ferrabile” De André e pochi altri, quelli che sopravvissero lo fecero a rappresen­tanza di sé stessi, non più di una genera­zione portante. I veri cantautori negli anni ’80, quelli che più fedelmente ne ri­specchiavano la vacuità e ne canta­vano le forme, erano altri, ai quali ne seguiron­o anonimamente negli anni altri ancora. Ma tutti sostanzialmente tali da non lasciare tracce, se non di superficie.

Da un po’ di tempo a questa parte però la situazione sembra essere cambiata, i paletti sono saltati tutti, ed è evidente che per definire realisticamente la figura del cantautore non sono più sufficienti né la vecchia descrizione che ne dava lo Zingarelli, né tanto meno quella relativa ai vari Paoli, Lolli o Guccini.

Ne esistono ancora di quella specie, e anche di raffinati (Gianmaria Testa, Pip­po Pollina, Piero Sidoti, Flavio Giurato, per non dire del prof. Vecchioni e di De Gregori), e tanti altri ne nascono ogni giorno, ma non è più la stessa cosa, le pa­gine che questi autori stanno scrivendo sono individuali, appartengono al prosiè­guo di un percorso divenuto privato e consegnato ormai, nel migliore dei casi, alla classicità.

I veri cantautori di oggi, gli unici forse che hanno davvero qualcosa da dire, che fanno a pugni col presente perché del presente ne fanno un mucchio e lo vedo­no vecchio schifoso e inaccettabile, an­cora una volta sono altri, e ora si chiama­no rapper. Difficile accettarli musical­mente, sgraziati come sono, per chi è in­canutito al docile accompagnamento di una chitarra acustica, difficile perfino sa­perli se li si cerca inseguendo forme ac­cettabili, ancora più difficile scovarli per­ché il tempo ha una sua direzione inconv­ertibile, e loro vivono ancora, per loro fortuna, nell’unico mondo reale pos­sibile, quello dei sogni e delle illusioni.

Ma questo, finché avranno vent’anni, nessun dizionario lo scriverà mai.

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