I morti dimenticati di Alcamo Marina
Intervista al regista Ivan Vadori
Salvo: “Adesso vediamo cosa prevede il programma: distribuzione gratuita di ricotta in ciotole.”
Peppino: “Tutti a pigghiari a ricotta! Tutti a pigghiari a ricotta! A mia! A mia!”
Salvo: “Fermi, fermi: i primi ad essere serviti devono essere i componenti del consiglio comunale.”
Peppino: “A ricotta p’u Sinnicu, pigghia a ricotta p’u Sinnicu!”
Salvo: “Don Tano! Don Tano! Vinissi ccà, a ricotta ppi Don Tano.”
Peppino: “Qua sono, fatemi posto. Grazie, grazie.”
Salvo: “L’amministrazione comunale è stata servita, e ca cci vinissi a tutti un gran cacaruni! Eccoli che scappano! Corrono, corrono! Cos’è successo?”
Peppino: “Oè, si ni stannu iennu a cacari tutti rarrieri u spitalettu. A carta igienica, a carta igienica p’u sinnicu!”
Salvo: “Don Tano, chi ci sta viniennu u cacaruni puri a vossia?”
Peppino: “Stai attento a comu parri, pirchì Don Tanu nun caca e se caca, caca duru.”
Bastano poche battute e la platea esplode in una risata generale. A pronunciarle è Salvo Vitale, uno degli amici e collaboratori più intimi di Peppino Impastato, riferendosi alla trasmissione radiofonica “Onda Pazza”, attraverso la quale Peppino e gli altri autori della celebre “Radio Aut” facevano satira nei confronti dei politici e dei mafiosi dell’epoca.
Salvo Vitale è uno dei dieci interlocutori, protagonisti del film-documentario “La Voce di Impastato”, del giornalista e regista friulano Ivan Vadori, che dopo Milano, Parigi e Agrigento ha fatto tappa anche a Ragusa, all’auditorium del Liceo Fermi.
Durante la proiezione del film, cogliamo l’occasione per avvicinare il regista. Usciamo dall’auditorium e, sebbene la porta si trovi a pochi metri dal grande schermo, in pochi notano la nostra mancanza, tanta è l’attenzione rivolta al film. Fuori dall’auditorium l’aria è meno pesante, saliamo le scale e troviamo posto a pochi metri dall’ingresso del Liceo, nell’androne centrale.
Le parole rimbombano e dalle segreterie vicine fuoriescono tipici rumori d’ufficio. Devo tenere il registratore vicinissimo al mio interlocutore. “Nel 2012 mi stavo laureando in scienze multimediali e ho pensato di fare la tesi attraverso uno dei new media, che è rappresentato dalla radio. Radio, Radio Aut, Peppino Impastato: un’amicizia mi stringe alla famiglia Impastato dal 2006. Inizio le ricerche e vengo a scoprire che tutto l’archivio di Peppino Impastato (nel mio documentario il giornalista Salvo Palazzolo di Repubblica parlerà di dieci sacchi di materiale e documenti) è scomparso la notte tra l’8 e il 9 Maggio ’78.
Durante la ricerca mi imbatto in una cosa nuova: Alcamo Marina, 1976, erano morti due carabinieri ed erano stati arrestati quattro ragazzi innocenti. Uno dei quattro, Giuseppe Vesco, si suicida. Nel 2012 finalmente arriva la sentenza di scarcerazione e di innocenza su Giuseppe Gullotta, che stava scontando l’ergastolo.
Peppino Impastato aveva capito che dietro la morte dei due carabinieri e dietro l’arresto fin troppo repentino dei quattro ragazzi c’era qualcosa di non corretto, per questo aveva raccolto del materiale dentro ad una cartellina, con su scritto: Strage di Alcamo Marina. Quella cartellina, come l’agenda rossa di Paolo Borsellino, non c’è più. Forse, se avessimo ritrovato quella cartellina, il signor Giuseppe Gullotta e gli altri tre ragazzi non avrebbero scontato tutti questi anni di carcere.”
Si parla di processi, quindi non posso astenermi dal chiedere un parere sul caso Impastato. Vadori sottolinea che “il processo Impastato è durato 23 anni. La maggior parte delle persone che hanno cercato la verità sono state uccise (Chinnici, Falcone), mentre la totalità delle persone che hanno depistato (Antonio Subranni, diventato generale dei ROS), hanno fatto carriera. Forse Peppino Impastato aveva toccato degli interessi che non erano soltanto quelli di Tano Badalamenti, forse aveva toccato degli interessi che vanno oltre: parliamo di istituzioni, di forze dell’ordine deviate. Sicuramente in quei dieci sacchi di materiale, c’era qualcosa di ancora più interessante. Non penso che si sia detto tutto di Peppino Impastato e il mio documentario in parte lo dimostra”.
Che ne pensa Vadori del giornalismo in Italia? “Purtroppo viviamo in un Paese che per libertà di stampa è messo abbastanza male, siamo al pari di Paesi sottosviluppati, come Israele, Benin. Dico che il giornalismo, soprattutto quello di inchiesta, non è un lavoro per tutti, ma è una passione che va oltre. Il problema è che i grandi editori sono ammanicati con i poteri forti. La mia speranza sono esclusivamente le nuove generazioni”.
Suona la campanella e il discorso viene interrotto. Dopo qualche istante, però, torna la quiete e Vadori può riprendere: “Io ho ritrovato la speranza con le nuove generazioni. Un ragazzino di Bagheria mi scrive su Facebook: ‘grazie a questo film mi hai dato la speranza’. Ecco, le parole di quel ragazzino, mi fanno credere che questo Paese possa cambiare e quando cambierà questo Paese cambierà anche il giornalismo.”