I cinque passi di Mauro Rostagno
Trentacinque e ventiquattro. Due numeri che hanno segnato la data del 26 settembre, quando nell’aula bunker “Falcone” del Tribunale di Trapani, sono riprese le udienze dinanzi alla Corte di Assise del processo per il delitto del sociologo e giornalista Mauro Rostagno.
Questa è stata la 35ma udienza, ha coinciso con il 24° anniversario dal delitto di Mauro Rostagno. Un processo che va avanti da un anno e 8 mesi, la prima udienza risale al 2 febbraio del 2011.
Imputati sono due conclamati mafiosi in carcere da tempo a scontare condanne per delitti e mafia: l’imprenditore Vincenzo Virga, riconosciuto capo del mandamento di Cosa nostra trapanese, e l’ex campione nazionale di tiro a volo Vito Mazzara, killer di fiducia della mafia trapanese, uno che andava a sparare assieme all’attuale super latitante Matteo Messina Denaro.
Dalla scorsa primavera l’accusa ha concluso l’esame dei propri testi, e per adesso vengono ascoltati i testi della difesa dell’imputato Virga. Il 26 settembre è stata conferita dalla Corte di Assise una nuova perizia sui reperti balistici.
Mauro Rostagno, come ha ricordato in aula la figlia, Maddalena, aveva scelto a Trapani di fare il terapeuta: dentro la comunità di recupero per tossicodipendenti “Saman” da lui fondata assieme alla compagna, Chicca Roveri, e a Francesco Cardella, e lavorando da giornalista a Rtc, occupandosi di una città, Trapani, che era da recuperare per essere stata per tanto tempo terreno fertile di mafia e poteri criminali. Questo suo impegno lo ha portato a suscitare fastidi presso i vertici di Cosa nostra, e l’ordine di morte, come hanno riferito i collaboratori di giustizia sentiti nel processo, partì da Castelvetrano, dal patriarca della mafia del Belice, Francesco Messina Denaro.
A 24 anni dal delitto questa però non è una verità giudiziaria ancora consolidata. Non c’è una sentenza e non ci sarà a breve. E’ però vero che questa è una verità che appartiene oramai alla società civile, a quella società che non esitò alcuni anni fa a raccogliere grazie all’associazione “Ciao Mauro”, 10 mila firme per evitare che l’indagine potesse andare in archivio, e così un poliziotto, brigadiere vecchio stampo, sfogliando nuovamente quelle carte si accorse che chi fino ad allora aveva indagato aveva dimenticato a fare una comparazione balistica, prassi normale per indagini su delitti, prassi dimenticata per l’omicidio di Mauro Rostagno. In quella comparazione saltò fuori la firma di Cosa nostra sul delitto.
A Milano il ricordo del delitto è stato ricordato con una serata dove è stata ribadita la necessità di fare chiarezza sul perché Mauro Rostagno è stato ucciso, si sono messi in evidenza come tante circostanze sono le stesse di quelle che si scorgono negli scenari di quella che può essere definita la “trattativa infinita” tra Stato e mafia.
Le cosche e i killer delle cosche mafiose siciliane spesso hanno fatto da service ad altri poteri compiendo delitti e stragi, l’omicidio di Mauro Rostagno potrebbe starci tutto dentro questa oscura storia del nostro Paese, ma c’è anche un altro dato che emerge e che lo ha ricordato molto bene il giornalista Rino Giacalone tra le pochissime “voci” che raccontano questo processo: “Se Peppino Impastato a Cinisi era a 100 passi dal potere mafioso, Rostagno era a meno di 5 passi, Puccio Bulgarella l’editore della tv dove lavorava era uno di queli che ogni giorno andava a parlare di appalti con Angelo Siino quando questi era il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina.
Dava fastidio Rostagno, lo hanno detto i pentiti di mafia che sono stati sentiti, perché parlava di mafia, appalti, traffici di droga, tutti affari della mafia trapanese e lo faceva dalla stanza a fianco alla quale c’era quella dell’editore Bulgarella, cinque passi e forse anche meno”.
Il processo ha evidenziato l’inesistenza per 23 anni dal delitto di alcun serio lavoro investigativo, i carabinieri e per un periodo anche la Polizia indagarono su “corna” e “gelosie”, i carabinieri dimenticarono che Rostagno aveva la prova della presenza non rara del capo della P2 Licio Gelli nel trapanese a casa di mafiosi, c’è un verbale nel quale Rostagno racconta di questa sua conoscenza, ma nel processo quel verbale è entrato a dibattimento in corso: era finito in altri faldoni.