sabato, Novembre 23, 2024
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Holding ‘ndrangheta l’affare sanità

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Sette ospedali, più Villa Elisa – una clinica privata profumatamente convenzionata dove si muore per un parto – sono l’ossatura, ma è meglio dire lo scheletro della sanità nella Piana di Gioia Tauro. Rosarno. Ospedale di Rosarno. Iniziato nel 1965 e costato decine di miliardi, non ha mai funzionato nonostante fosse pronto. Dotato di eliporto e di sale operatorie attrezzate, arredi e cucine, tecnologie radiologiche e di diagnostica d’avanguardia è svuotato degli arredi, dei macchinari, delle attrezzature, degli infissi, dei servizi igienici. Destinazione attuale? Ricovero per le pecore. Nessuno vede. Nessuno interviene. Nessuno paga. Il 3 agosto 2010, è stata presentata dai deputati: Farina Coscioni, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Maurizio Turco e Zamparutti un’interrogazione al Ministro della salute sulla vicenda dell’ospedale di Rosarno, ubicato su Pian delle Vigne, una importante area archeologica dell’antica città greca di Medma.

Leggiamo: “Nonostante sia stato inaugurato nel 1997 (dopo 24 anni di lavori), l’ospedale di Rosarno, in Calabria, non è stato attivato ed stato lasciato in balia dei vandali, che hanno portato via ogni infrastruttura possibile, e degli animali che vi pascolano liberamente”.

Il primo finanziamento per la sua costruzione risale a 43 anni fa (346 milioni di lire della Cassa per il Mezzogiorno per intercessione del ministro dei lavori pubblici Giacomo Mancini). I lavori sono durati ben 24 anni; “nei successivi 19 la struttura ospedaliera è stata ridotta a quello che non è improprio definire un letamaio, dal momento che dove si dovevano curare i malati, pascolano e trovano rifugio cavalli e pecore; risulta razziata ed asportati abusivamente persino gli ascensori, le ringhiere delle scale e le vasche incassate nella muratura”, si legge nell’interrogazione.

Doveva diventare il gioiello della sanità calabrese, l’ospedale di Rosarno, e invece i lunghissimi corridoi e le camere sventrate sono coperte da “merda di pecora”, montagne di letame, sotto il quale avrebbe dovuto starci la politica regionale. 

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Per aprire la clinica, Crea, nel 2001, utilizzò un miliardo e 100 milioni delle vecchie lire, depositati improvvisamente su un conto corrente intestato ai genitori e poi girati sul conto dello stesso Crea. “Sono soldi – spiegò Crea – che mio padre aveva conservato nel materasso”. Giustificazioni, che i Pm hanno definito “semplicemente grottesche”.

C’è davvero da rabbrividire nel leggere le deposizioni di alcuni testimoni dell’inchiesta e le intercettazioni telefoniche sul turpe trattamento riservato ai poveri anziani malati ricoverati a Villa Anya la clinica-lager fondata da Domenico Crea. Intestata a sua moglie Angela, direttore sanitario il figlio Antonio, amministratore delegato la figlia Annunziata e direttrice amministrativa la nuora Laura. A Villa Anya c’era di tutto: cartelle contraffate, timbri fasulli, data e ora dei decessi falsificate, trasporto illegale di cadaveri, almeno 11 episodi di omissione di soccorso, almeno cinque casi in cui il paziente è morto perché lasciato solo e senza le necessarie cure mediche. Tra i tanti orrori scoperti dalla Dda di Reggio, agghiacciante quello che riguarda un’anziana signora. La paziente sta male. Due dipendenti della clinica chiamano Crea per avvisarlo, ma lui si rende irreperibile. Risponde la moglie Laura che, scocciata, ricorda all’infermiera qual è la prassi da seguire in questi casi.

Sarcastica la risposta dell’infermiera: “Va bene, intanto la facciamo fuori noi, ciao”. Segue risata.

Le condizioni della paziente peggiorano, nessuno chiama il 118, tutti aspettano l’arrivo del dottor Crea, che giungerà in clinica quando la paziente è ormai morta. Senza battere ciglia, Crea dispone il trasporto del cadavere al pronto soccorso spacciando la morta per “malata”, nasconde la cartella clinica e il giorno dopo falsifica la data e l’ora del decesso. 

SCHEDA

‘NDRANGHETA A PAVIA

La ‘ndrangheta non conosce confini e il verminaio del rapporto ‘ndrangheta-sanità si espande da sud a nord. Intercettato nei contatti con Carlo Antonio Chiriaco – direttore dell’Asl di Pavia, potente collettore tra pubblica amministrazione, sanità e ‘ndrangheta – il boss Pasquale Libri è volato giù dalla tromba delle scale dall’ottavo piano dell’ospedale San Paolo di Milano.

“Qua trattiamo tutto, da noi dipendono tutti gli ospedali e i cantieri, diamo noi i soldi, abbiamo una squadra che funziona a meraviglia”. Il gruppo di Chiriaco, scrive la Dia, “ha un controllo quasi completo” del Cda dell’ospedale San Matteo di Pavia caratterizzandosi come “un centro di potere a disposizione della ‘ndrangheta”.

Carlo Antonio Chiriaco – vice direttore sanitario e direttore di presidio presso il Policlinico “S. Matteo” di Pavia, Presidente delle Istituzioni Assistenziali Riunite, direttore sanitario della ASP che riunisce le strutture sanitarie “Pertusati”, “Santa Margherita”, “Gerolamo Emiliani” e della Fondazione Maggi”, direttore sanitario del “Poliambulatorio Medico Odontoiatrico – Centro Dentistico Lombardo” di Mozzo (BG), titolare del “Centro Dentale La Prevenzione”, di Zibido San Giacomo (PV), titolare di studio dentistico in Alessandria – nei primi anni Novanta gestisce, con Pino Neri e Salvatore Pizzata, la discoteca Vertigo collezionando denunce e condanne per estorsione, usura, esercizio abusivo della professione sanitaria, frequenta esponenti della ‘ndrangheta e viene indagato per corruzione elettorale e intestazione fittizia di beni per eludere esecuzioni erariali.

“Chiriaco si è assicurato, per la sua coalizione, l’assegnazione dell’incarico di presidente del San Matteo ad Alessandro Moneta” ex assessore regionale, già sindaco di Milano tre e amico di Silvio Berlusconi. Chiriaco e i suoi compari a Pavia – la sola Asl gestisce un budget annuo che sfiora il miliardo di euro – erano in grado di condizionare l’esito delle amministrative per fare eleggere chi era utile agli interessi della ‘ndrangheta. Lo facevano sia attraverso uomini del PD che del PDL e della Lega Nord, ma anche con liste “civiche”. La ’ndrangheta è trasversale, non si attacca all’ideologia, destra o sinistra è lo stesso. Il fine conta, non i mezzi, e Chiriaco con il suo entourage programmavano il riutilizzo dell’area dell’idroscalo e del gasometro per creare la cittadella, “Europa”, da destinare ad eventi sportivi, mondani, parcheggio, pista ciclabile ed altre strutture per farla fruttare in un ventennio 15 – 20 milioni di euro.

Milano, sanità e ‘ndrangheta. Inchiesta “Infinito”. Pietrogino Pezzano al telefono parlava in libertà: prometteva appalti pubblici in cambio di banali favori ai suoi interlocutori, uomini della ‘ndrangheta. I brogliacci delle intercettazioni sono chiarissimi, e nonostante questo, Pietrogino Pezzano, classe ’47 di Palizzi in provincia di Reggio Calabria, viene nominato direttore generale dell’Asl di Milano, la più grande d’Italia. Nomina voluta dall’ex governatore Roberto Formigoni e dall’assessore alla Sanità, il leghista Luciano Bresciani, dopo che la sua posizione – era stato iscritto nel registro degli indagati per il delitto di cui all’articolo 416-bis – fu stralciata e archiviata dal Gip il 3 dicembre 2010.

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