Holding ‘ndrangheta l’affare sanità
Parentopoli, sanitopoli, nepotismo, clientelismo, affarismo. No, non c’è un termine per definire quello che è stata ed è ancora la sanità calabrese figlia di “Ciccio mazzetta”.
I dirigenti delle Asl calabresi, oggi Asp, hanno osato di tutto e di più. Hanno assunto figli, mogli, cognate, cugini, fratelli. Ma in Calabria è la norma. Egidio Masella al tempo in cui era assessore regionale al Lavoro per Rifondazione comunista, ha assunto come responsabile amministrativo la moglie Lucia. Pino Guerriero, ex presidente sociali¬sta della Commissione regionale anti¬mafia ha assunto come autista il nipote. E il capogruppo dell’Udc Gianni Nuce¬ra, consigliere regionale che si muove agevolmente, ancora oggi, dal centrodestra al centrosinistra e viceversa, tentò il capolavoro: l’assunzione a spese della regione prima della moglie Felicia, del figlio Carmelo, poi del¬l’altro figlio Francesco, ma fu bloccato al novantesimo minuto.
Quando si dice il trasversalismo! A questo stato di cose – come rilevò qualche anno fa Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera – qualcuno si è opposto. Che cazzo, basta con i parenti. Michele Fazzolari, precario all’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, ma con un passato da segretario provinciale della Cisl, chiamato ad occuparsi della stabi-lizzazione dei precari ha istruito e firmato una delibera per stabilizza¬re, con un contratto a tempo indeterminato e la qualifica di dirigente, se stesso. Franco Petramala, diret¬tore generale dell’epoca, ha firmato l’atto in scioltezza. Nessuna obiezione, nessun tentennamento.
Cronaca di una domenica di fine agosto duemilaundici. Eleonora Tripodi aveva trentatré anni ed era al suo terzo parto. La sua bambina non l’ha mai vista, è stata stroncata da una emorragia. Morta durante il viaggio in ambulanza dall’ospedale di Vibo Valentia a quello di Lamezia Terme in un trasferimento deciso per “mancanza di posti liberi nel reparto di rianimazione” dell’ospedale di Vibo Valentia.
Indagati per omicidio colposo i medici che hanno avuto in cura la donna dicono, con il ginecologo Domenico Princi, di “avere fatto di tutto per salvarla”. Un’altra inchiesta, l’ennesima nell’ospedale killer. Parliamo di una Asl con quasi duemila dipendenti tra i quali 386 medici e 680 in sei strutture ospedaliere – l’altra, la settima, Pizzo Calabro, iniziata circa sessant’anni fa, non ha mai aperto – per un totale di 200 posti letto e 191 ricoveri medi.
Duemila dipendenti per duecento posti letto: dieci persone per ammalato!
A Vibo Valentia l’ “ospedale killer” non è un ospedaletto. Le ispezioni dei Nas ordinate dopo la morte di Federica Monteleone, il caso più eclatante di malasanità, hanno denunciato 800 violazioni delle norme che dovrebbero garantire la sicurezza e la salute dei cittadini.
Federica è morta folgorata dalla corrente elettrica in sala operatoria, poi l’amministrazione dell’Ospedale di Vibo è stata sciolta per infiltrazioni mafiose, ma l’ex presidente della Commissione Sanità del Consiglio regionale, Nazzareno Salerno ha sostenuto che la nomina dei commissari non ha determinato l’auspicata discontinuità nella gestione.
E’ l’ospedale di Oppido Mamertina, però l’emblema della sanità calabrese: oltre mezzo milione di euro per posto letto, supera anche Palmi, centro direzionale e culturale della Piana, dove un posto letto costa “appena” quattrocentomila euro. Nonostante gli esuberi tra i 1.758 dipendenti la pulizia dei nosocomi è stata affidata – oltre 3.000 euro al giorno – ad una società esterna e gli oltre trecento ex ausiliari, toltagli scopa e mocio dalle mani, sono transitati a mansioni d’ufficio. A società esterne sono stati appaltati, nel tempo, anche la stesura del bilancio, la compilazione delle buste paga, la lavanderia, (667 mila euro l’anno), la mensa (due milioni di euro e 27 cuochi adibiti ad altre mansioni) ed è meglio tacere sugli sprechi di apparecchiature sanitarie e medicali, in lauto comodato d’uso, dei quali si è occupata anche, raramente per la verità, la magistratura.
Il “sistema” decreti ingiuntivi. I “fornitori” emettono fattura cui segue il decreto ingiuntivo e il pignoramento delle somme. Sembrerebbe tutto regolare. In effetti i “fornitori”, parliamo di quelli reali ché ci sono anche i presunti, emettono la fattura che, puntualmente, non viene liquidata entro i termini di legge. Ne consegue il decreto ingiuntivo con aggravio di interessi e spese legali. Neanche con il decreto ingiuntivo si riesce ad ottenere le somme per cui segue la procedura di pignoramento con ulteriore aggravio di spese. Lo studio legale, ce ne sono alcuni specializzati a Reggio Calabria e in provincia, presenta a sua volta la fattura per le spese legali e di fronte alla puntuale mancata liquidazione ricorre al decreto ingiuntivo e al pignoramento rivolgendosi ad altro legale – meglio se dello stesso studio – il quale a sua volta presenta il conto. Una catena di S. Antonio. Un artifizio che consente di raddoppiare, tra interessi, spese legali e quant’altro le somme delle forniture. Quando ci sono. Le forniture intendiamo. I soldi ci sono sempre. A volte sono stati pignorati, non si sa con quale logica, anche quelli per gli stipendi del personale.
“Il problema del deficit della sanità calabrese sta nell’incertezza del suo ammontare e nell’inattendibilità dei dati forniti. Ma non si possono dimenticare i danni erariali per i contenziosi e le successive transazioni per forniture di beni mai resi” ha affermato Leoluca Orlando, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari e le cause dei disavanzi sanitari regionali.
Commissario ad acta – nominato dal governo Berlusconi – è ancora il presidente della Regione Calabria Peppe Scopelliti, seppure affiancato dalla Guardia di Finanza. Tocca a lui – controllato e controllore – fare luce nello sfascio della sanità in Calabria, in questi giorni ha girato la Calabria in lungo e in largo promettendo finanziamenti, migliorie, ristrutturazioni e potenziamento per tutte le strutture sanitarie regionali in cambio di voti per il Pdl.
I tempi di attesa per una tac o una risonanza magnetica però variano da 250 a 40 giorni così i cittadini, infuriati, aggrediscono a Cosenza il governatore-commissario Peppe Scopelliti in visita all’Ospedale dell’Annunziata. Insulti, urla, spinte, lanci di pietre, vetri infranti. Momenti di concitazione e confusione domate a stento dal cordone di sicurezza. Qualche giorno prima l’ospedale era stato al centro della cronaca, e di una sollevazione politica per una interrogazione parlamentare di Maria Antonietta Farina Coscioni sulla morte sospetta di due donne Rosita Presta e Caterina Loria – 37 e 27 anni – decedute una per emorragia al settimo mese di gravidanza ed una in seguito al parto cesareo.