Holding ‘ndrangheta l’affare sanità
Il “sistema Crea” da Reggio alla Brianza. Mezzo milione un posto letto. Sullo sfondo le inquietanti motivazioni dell’omicidio Fortugno
“Ma che te ne fotte a te cretino dello stipendio di consigliere. Diecimila euro al mese… e che cazzo sono? Quando io a quello storto di B… gli ho detto vieni a farmi il direttore generale che gli volevo dire? Gli volevo dire che di miliardi ne abbiamo 3 mila, 4 mila, 7 mila… con me, Pino, Bruno, Sandro sono diventati tutti miliardari… il più fesso di loro è miliardario”, spiegava l’ex consigliere e assessore della Regione Calabria Mimmo Crea al suo braccio destro Antonio Iacopino, già direttore generale dell’Asl di Palmi e di altre aziende sanitarie calabresi. “Dai Antonio… come budget 7 mila miliardi di vecchie lire, la sanità ha 3 miliardi 360 milioni di euro ogni anno.. cioè uno fa una cosa uno fa un’altra, va nelle Asl e gestisce le Asl, tu hai bisogno almeno di quattro o cinque che siano con te, cinque o sei braccia in questo settore… sempre sugli indirizzi che do io. Mi segui Antò? Oppure parlo arabo io?”
È l’enunciazione intercettata del “sistema Crea” contenuta nell’inchiesta “Onorata sanità” che ha svelato come “una serie di organizzazioni criminali radicate sulla fascia ionica reggina (…) abbiano coalizzato le loro forze dando luogo, attraverso soggetti a essi legati da stretto rapporto fiduciario, a un’unitaria struttura di sostegno alla candidatura di Domenico Crea”, considerato il più adatto “a garantire al meglio gli interessi delle cosche…” e portato, infine, a pesanti condanne per il “politico” calabrese.
L’inchiesta svelava che Mimmo Crea era a capo di una vera e propria cosca politico-mafiosa annidata nelle istituzioni regionali con tentacoli ramificati su tutto il territorio reggino. Capo di un’associazione a delinquere disposta a tutto, ivi compreso il ricorso all’omicidio politico, per accrescere i loschi interessi in campo sanitario. L’ipotesi più agghiacciante avanzata dagli inquirenti, non confermata da riscontri oggettivi, è che Crea sia stato tra i mandanti dell’assassinio di Francesco Fortugno. Anche perché, alle elezioni regionali della primavera del 2005, era risultato il primo dei non eletti nelle liste della Margherita nella provincia reggina ed era stato scavalcato proprio da Fortugno poi nominato vice presidente del consiglio regionale calabrese.
Un’elezione che ha disarcionato Crea e compromesso il piano della ‘ndrangheta. Crea avrebbe cancellato, secondo l’ipotesi investigativa, l’elezione di Fortugno ordinando l’assassinio al fine di prenderne il suo posto nel Consiglio regionale. L’ipotesi secondo i giudici reggini era supportata anche dal fatto che Alessandro e Giuseppe Marcianò, arrestati e condannati in primo grado all’ergastolo come presunti mandanti ed esecutori materiali del delitto erano tra i principali supporter di Crea.
Uno scenario inquietante, un verminaio con il debito della sanità in Calabria che sarebbe circa 870 milioni di euro, sarebbe, perché la quantificazione non è stata mai fatta e forse non è possibile farla.
Troppe sviste, omissioni, coperture, intrallazzi. Un “sistema”, che assorbe l’80% del bilancio regionale, tremila dipendenti in esubero, un’emigrazione sanitaria che fattura 238 milioni di euro annui e ospedali del nord che fanno ponti d’oro ai calabresi. Cavallo di ritorno: la quota procapite destinata per la sanità del sud prende la via del nord. Un business sicuro.
Le mete più gettonate – si dividono il quaranta per cento – in Lombardia sono l’Irccs San Raffaele, l’Humanitas e l’Istituto nazionale dei tumori; nel Lazio il Policlinico Gemelli e l’Umberto I. Un altro venti per cento se lo spartiscono in parti uguali Emilia Romagna e Toscana. Eppure in Calabria le strutture ospedaliere – pubbliche e private – sono 73 e dispongono di 8.874 posti letto. Una disponibilità numericamente sufficiente per i bisogni della regione, ma appena qualificata per gestire, non senza pericoli, l’ordinario, fatte salve le eccezionali, ma ci piace definirle normalità, della cardiologia di Catanzaro ed ematologia di Reggio Calabria che rappresentano l’eccellenza della sanità calabrese.
Una rete ospedaliera, per utilizzare un eufemismo, dove si muore con una drammatica ripetitività e sulla quale ci siamo soffermati in diverse occasioni per casi eclatanti di malasanità.
Tra i piccoli pericolosi ospedali, non adeguatamente attrezzati, ma soprattutto a causa di una esasperata politica di comparaggio e di nepotismo nella nomina dei primari, nelle assunzioni e nelle carriere e per le innumerevoli ingerenze criminali negli appalti e nei servizi, undici strutture sono a rischio sicurezza. Sono quelli con meno posti letto come Palmi (18), Oppido Mamertina (18) e Taurianova (18) e ubicati in un’area a forte incidenza criminale.
Flavio Scutellà aveva dodici anni, stava giocando con i coetanei quando è caduto dall’altalena. Aveva battuto con la testa. Il 118 giunse in ritardo, poi cominciò a girare per tutti i sei ospedali della Piana, Rosarno, il settimo, non ha mai aperto. Nessuno interviene sull’ematoma, che intanto si allarga. Nove ore dopo il ragazzo, simbolo dell’inefficienza sanitaria della Piana, giunge a Reggio Calabria, ma il suo destino è segnato. Muore dopo quel vergognoso viaggio e quattro giorni di agonia. E’ qui, nella Piana, che i costi della sanità, gravati quasi esclusivamente dal personale, sono altissimi e il primato spetta a Taurianova con il 90% di incidenza della spesa per i dipendenti sul costo totale del presidio. Centoquarantanove dipendenti sanitari (8,27 persone per posto letto, ma la media aumenta se si raffronta il dato con i degenti effettivi). Nel 2008, ultimo dato noto, ha speso 9 milioni 950 mila euro dei quali solo il 10% per gestire i 18 posti letto dell’ospedale e i servizi per gli ammalati.
Qui si è visto di tutto. A metà degli anni Settanta il dott. Francesco Macrì padrone politico della città, meglio conosciuto come “Ciccio mazzetta”, che ha poi finito in carcere i suoi giorni, cedette le terre della “Fondazione Principe Serra” – cento ettari di uliveto che valgono, al prezzo corrente, oltre un miliardo di euro – a Giuseppe Barone, pregiudicato poi ucciso in un agguato mafioso, per un canone annuo di tre milioni e cinquecentomila lire. Aveva aperto un vero e proprio ufficio di collocamento “Ciccio Mazzetta”. Per il lavoro si passava da lui e dai suoi fidatissimi procacciatori. Era specialista di piante organiche gonfiate, di falsi attestati professionali, di concorsi truffa. Bastava pagare. Lo aveva ampiamente dimostrato assumendo la sorella Ada come primario a pediatria, la sorella Olga (già sindaco di una giunta sciolta per mafia) ufficiale sanitario, la sorella Antonella medico a psichiatria, il cognato Totò a medicina, il nipote Orlando in dialisi.