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Guerra ai siciliani coi droni di Sigonella

In teoria si annuncia l’adozione di pro­cedure di coordinamento tra autori­tà ci­vili e militari “tese a limitare al massim­o l’impatto sulle attività aeree civili” e “nel rispetto dei principi della sicurezza del volo”, anche se poi si ammette che per le operazioni “connesse a situazioni di cri­si o di conflitto armato”, l’impiego dei droni non sarà sottoposto a limitazio­ni di alcun genere. Nel Mediterraneo cronica­mente in fiamme è come dare illimi­tata li­bertà di azione ai preda­tori del cielo e del mare.

“I velivoli telecomandati rappresenta­no un rischio insostenibile per il traffico civi­le e le popolazioni che risiedono nel­le vi­cinanze degli scali utilizzati per le mano­vre di decollo e atterraggio”, de­nunciano gli attivisti della Campagna per la smilita­rizzazione di Sigonella.

“Negli Stati Uniti d’America il tasso de­gli incidenti agli aerei senza pilota è netta­mente superiore a quello dell’avia­zione generale e di quella commerciale, come più volte sottolineato dalla Federal Avia­tion Administration, l’amministrazio­ne re­sponsabile per la ge­stione delle atti­vità nello spazio aereo na­zionale”.

Il 15 luglio 2010, durante un’audizione alla Commissione per la sicurezza pubbli­ca interna del Congresso, la vicepresident­e della FAA ha espresso forti per­plessità su una “rapida e piena integra­zione” dei si­stemi senza pilota nel traffi­co aereo gene­rale, così come auspicato dal Penta­gono e dal presidente Obama. “Mol­ti dei dati a nostra disposizione arri­vano solo dalla Cu­stoms and Border Pro­tecion (CPB) che pattuglia i nostri confi­ni”, spie­ga la Fede­ral Aviation Admini­stration.

“Essi ci rivelano che i ratei di incidenti degli UAS sono molto grandi. Dall’anno fiscale 2006 alla data del 13 luglio 2010, ad esempio, la CPB ha riferito un tasso in­cidentale grave di 52,7 ogni 100.000 ore di volo, cioè oltre sette volte più alto di quel­lo dell’aviazione generale e 353 volte più elevato di quello dell’aviazione commer­ciale. Non si deve poi dimentica­re che il numero di ore di volo denuncia­to, 5.688, è molto basso rispetto a quello che viene so­litamente considerato in aviazione per fis­sare i dati sulla sicurezza e gli inci­denti…”.

Un recentissimo report di Bloomberg, la maggiore società statunitense di analisi del mercato economico e finanziario, ha mes­so il dito nella piaga droni. Da quan­do sono operativi con US Air Force, Global Hawk, Preador e Reaper hanno subito 129 incidenti in cui i danni hanno comportato una spesa superiore ai 500.000 dollari o è avvenuta la distruzio­ne del velivolo in missione. “Questi tre tipi di UAV sono quelli con il maggior tasso d’incidente di tutta la flotta aerea militare”, scrive Bloomberg. “Insieme hanno cumulato 9,31 incidenti ogni 100.000 ore di volo, tre volte in più degli aerei con pilota”. Il Glo­bal Hawk, da solo, ha un tasso di 15,16.

“Effettivamente il rateo d’incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è in­coraggiante”, ammette il maggiore dell’aeronautica, Luigi Caravita, autore di un approfondito studio sui droni pubblicat­o dal Centro Militare di Studi Strategic­i (Cemis).

“La mancanza di una capacità matura di sense & avoid (senti ed evita) verso al­tro traffico può diventare ancor più criti­ca se associata alla vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra e seg­mento di volo: in più di un occasio­ne un Predator è stato perso a seguito d’interru­zione del data link”, spiega il maggiore. “Ad oggi gli UAS militari non sono auto­rizzati a volare, se non in spazi aerei se­gregati, perché non hanno una banda aero­nautica protetta, non sono an­cora consi­derati sufficientemente affida­bili, non han­no ancora totalizzato un nu­mero di ore di volo sufficiente da costi­tuire un safety case rappresentativo e convincente, non è stata ancora dimostra­ta adeguata resisten­za da attacchi di cy­ber warfare”.

Analoghe considerazioni sono state fat­te dal comando generale di US Air Force nel documento che delinea la vi­sione strategi­ca sull’utilizzo di questi si­stemi di guerra (The U.S. Air Force Re­motely Pilot­ed Air­craft and Unmanned Aerial Vehi­cle – Stra­tegic Vision).

“I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vul­nerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche”, scrivono i mili­tari statunitensi. Per questo Eurocon­trol, l’organizzazione per la sicurezza del traffi­co aereo a cui aderiscono 38 sta­ti eu­ropei, ha stabilito nel marzo 2010 al­cune linee guida per la gestione del traf­fico ae­reo dei falchi globali destinati allo scac­chiere con­tinentale. In particolare, si rac­comanda d’isolare i droni-spia da altri usuari dello spazio aereo.

“Dato che i Global Hawk non possiedo­no certe capacità, come il sense and avoid, è necessario che i decolli e gli at­terraggi avvengano in spazi aerei segregat­i dai li­velli normalmente utilizzati dai conven­zionali aerei con pilota, mentre le missioni di crociera dovranno essere ef­fettuate ad altitudini non occupate da essi”. Nel caso di Catania-Fontanarossa, scalo a meno di una decina di km in linea d’aria da Sigo­nella, le raccomandazioni di Eurocontrol sono solo carta straccia.

Sulle scellerate scelte USA e NATO d’installare i Global Hawk in Sicilia è in­tervenuto uno dei massimi esperti dell’aviazione italiana, il comandante Ren­zo Dentesano, pilota per qua­rant’anni dell’Aeronautica ed Alita­lia, poi consulent­e del Registro aeronau­tico e peri­to per diverse Procure nei pro­cedimenti re­lativi ad incidenti aerei.

“Questi aeromobili militari saranno in grado di partire e tornare alla base sicilia­na dopo aver compiuto missioni segrete e pericolose, delle quali nessuno deve sa­per nulla, onde poter effettuare con suc­cesso i loro compiti di sorveglianza e spionaggio”, scrive Dentesano. “È pur vero che nei loro piani d’impiego è previ­sto che il Comando che li utilizzerà ab­bia tutte le informazioni necessarie in merito al traffico che interessa lo spazio aereo nelle loro traiettorie, invece, le autor­ità ci­vili non sapranno nulla di quan­to program­mato e qualche Controllore avvis­terà sugli schermi radar del traffico che sarà etichet­tato come sconosciuto, del qua­le quindi ignoreranno sia le intenzioni che le mano­vre e le traiettorie”.

“Questo tipo di ricognitori, concepiti ap­punto per missioni troppo rischiose per es­sere affidate a mezzi con a bordo degli es­seri umani, nonostante tutte le misure di security di cui sono dotati i loro ricevi­tori di bordo, possono essere interferiti da se­gnali elettronici capaci di penetrare nei loro sistemi di guida e controllo, in modo da causarne la distruzione”, ag­giunge Dentesano. “Il Global Hawk, come pure il Predator, non risultano in grado di assicu­rare l’incolumità del traf­fico aereo civile. Essi non sono in grado di variare la loro traiettoria di volo in senso verticale, salen­do o scendendo di quota, come la situazio­ne per evitare una collisione pron­tamente richiederebbe. E la sola variazio­ne della direzione di moto, rimanendo alla stessa altitudine, potrebbe non bastare ad evitare un disastro che coinvolga un traffi­co civi­le”.

L’allarme è stato lanciato da tempo ma Governo, Regione ed enti locali non vedo­no, non sentono, non parlano. Il DC 9 ab­battuto da un missile nel cielo di Usti­ca, il 27 giugno di 32 anni fa, è un ricor­do sbia­dito. Con i droni liberi di planare sulle te­ste dei siciliani è scattato il count down per l’ennesima strage di stato.

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