venerdì, Novembre 22, 2024
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Grandina! Evviva, sono miliardi

Da sinistra, l'ex assessore all'agricoltura Giuseppe Aleppo insieme al cavaliere del lavoro Carmelo Costanzo e all'altro cavaliere Mario Rendo. Ascoltano compunti il min. Colombo. La foto risale a due anni fa, quando Aleppo, perso l'assessorato, decise di abbandonare il gruppo di Gullotti e cercò un nuovo "padrino" politico. Ma neanche Colombo gli ha portato fortuna.

«Eppure la legge è molto chiara – ci spiega l’onorevole Pietro Ammavuta, deputato regionale comunista, animatore con esposti, interpellanze e disegni di legge, della battaglia politica che l’opposizione ha condotto contro la gestione democristiana all’assessorato per l’agricoltura – Esiste una normativa precisa in materia di danni, e in base ad essa deve essere dalla la precedenza ai coltivatori diretti ed ai piccoli agricoltori. Invece l’assessore ha voluto privilegiare sempre lo stesso esiguo gruppo di imprenditori siciliani. Centinaia di milioni sono stati erogati perfino in favore di società finanziarie ed immobiliari…»

Centinaia di milioni che rimangono cifre modeste se paragonate a quelle che le stesse grandi famiglie siciliane hanno percepito dall’assessorato all’agricoltura nel quinquennio 76-81 per “la costruzione e l’ammodernamento di impianti collettivi di produzione” (si pensi alle celle frigorifere capaci di contenere centinaia di containers di prodotti agricoli o alle sofisticate distillerie per la produzione del vino o dell’alcool). Il 30% dei 150 miliardi spesi dalla Regione in questa direzione è servito a finanziare il solito gruppo di imprenditori siciliani. Ecco le cifre: oltre 22 miliardi sono stati erogati in favore dell’ “ASA”, dell’ “ARPA” e dell’ “ASAB”, le tre associazioni controllate dalle finanziarie dei cugini Salvo; altri dieci miliardi (su uno stanziamento complessivo di 45 miliardi) i Salvo li hanno ricevuti dal successore di Aleppo, il democristiano Salvatore D’Alia. Sette miliardi e 857 milioni sono andati al “Consorzio Casalgismondo” del banchiere Gaetano Graci, 700 ettari di vigneto a 20 chilometri da Catania. Le aziende modello del gruppo Rendo (la “Costantina”, la “Passo Martino” e la fabbrica di liofilizzati “Agrofil”) hanno ricevuto più di otto miliardi.

Sono solo alcune cifre, le più significative, fra le tante contenute nel dossier che la Guardia di Finanza ha messo insieme dopo aver passato minuziosamente al setaccio l’amministrazione Aleppo. Sul piano giudiziario il lavoro dei finanzieri si è concretizzato in un rapporto alla Procura di Palermo con il quale si ipotizzano precisi reati a carico dell’ex assessore Aleppo e di alcuni imprenditori particolarmente beneficiati da questa pioggia di denaro pubblico. La pratica è ora nei cassetti della scrivania del dott. Pajno, capo della Procura; il magistrato palermitano dovrebbe affidarla ad uno dei suoi sostituti perché proceda nell’inchiesta, ma qualcuno al Palazzo di giustizia parla già di una possibile archiviazione del caso.

«AI di là del seguito giudiziario che potrà avere, resta l’aspetto politico dì questa vicenda – aggiunge l’on. Ammavuta – le aberrazioni della gestione Aleppo potrebbero far ritenere che l’assessorato all’agricoltura oggi spenda troppo denaro: sarebbe un errore. In reallà i finanziamenti pubblici in agricoltura sono insufficenti; il fatto è che urna parte di essi viene speso male» -Per spesa male, intende dire spesa arbitrariamente?

«Non è solo un problema dì clientelarismo: c’è anche una stratificazione di leggi, troppe, che continuano a convivere le une con le altre. Leggi nuove, efficaci, perfino d’avanguardia, create per andare incontro agli interessi dei piccoli e medi agricoltori, che vengono in parte vanificate da vecchie normative ormai superate ma sempre in vigore. Tutto ciò crea troppi canali per accedere al finanziamento pubblico: è impossibile concentrare le risorse su obiettivi comuni ed il denaro pubblico viene disperso in mille rivoli…»

Ammavuta si riferisce alle oltre cento leggi regionali e statali che operano in Sicilia nel settore agricolo. C’è in atto all’Ars il tentativo di accorpare tutte queste normative in modo da razionalizzare gli interventi, ma è un proponimento che si scontra con gli interessi del sistema di potere democristiano.

«Questa Babele legislativa fa comodo – continua Ammavuta – perché consente di applicare arbitrariamente anche le leggi migliori. Mancano soprattutto dei programmi finalizzati con i quali si potrebbero decidere prima i progetti da finanziare, in quali zone, con quali prospettive sul mercato… Ma è il solìto discorso: la programmazione, intesa come serio quadro dì riferimento, la Dc non l’accetterà mai: le va troppo stretta!»

«Non è soltanto un problema di carenza di linee programmatiche – cerca di spiegarcì un funzionario dell’assessorato – saper accedere ai contributi ed ai finanziamenti a tasso agevolato è anche un’arte, sottile e difficile. Le dico questo perché da vent’anni sono alla Regione e conosco perfettamente i meccanismi burocratici di questi uffici: vede, se non si ha a disposizione uno staff di tecnici, di legali e di periti, non si becca un quattrino di contributi. Viceversa, oggi i grandi imprenditori siciliani sono capaci di ottenere, per il medesimo progetto, contributi dalla Regione, dallo Stato e dalla Cassa del Mezzogiorno. È una miscela dentro la quale c’è tutto, abilità, potere, corruzione…»

Il funzionario apre cautamente l’imponente registro che tiene davanti a se, sulla scrivania. È il bilancio della Regione. Lo sfoglia con rapidità e destrezza, sa gia cosa vuole mostrarci:

«Ecco, guardi, alla voce “Contributo annuo a favore dell’Istituto regionale per la vite e il vino”: sei miliardi. Altri 1.800 milioni vanno all’Istituto “…ad integrazione del bilancio”: 600 milioni è il contributo che l’Istituto riceve “…per le cantine sperimentali di Noto e di Milazzo “. Fanno in tutto quasi otto miliardi e mezzo solo nel 1982: servono a rendere più competitivo il vino siciliano sugli altri mercati… La maggior parte di questo denaro va all’Enosicilia. Sa cos’è l’Enosicilia?»

Lo sappiamo. È un consorzio di 24 cantine sociali e fa capo alla famiglia Salvo. Ogni anno I’Enosicilia mette in commercio tre milioni di ettolitri di vino, più di un quarto dell’intera produzione siciliana. «Il rapporto privilegiato che esiste fra l’Istituto regionale per la vite ed il vino e l’Enosicilia – spiega ancora l’on. Ammavuta – non consiste soltanto nella generosità del contributo concesso ogni anno al consorzio dei cugini Salvo. Quando i Salvo hanno deciso di esportare il loro vino neglì Usa, e stato l’Istituto a finanziare una campagna promozionale del vino sicililano negli Stati Uniti…»

I tre cugini di Salemi a queste accuse non rispondono neppure, si limitano a ricordare che loro, il vino, comunque vada lo vendono. E ne vendono parecchio. Meta dell’imbottigliato siciliano (soprattutto il vino “Aurora”) proviene dalle loro cantine. «Vendiamo un milione di ettolitri di vino l’anno anche all’Unione Sovietica – ha dichiarato l’estale scorsa Nino Salvo al cronista di un settimanale – ed è questa la cosa che mando più in bestia i comunisti: i sovietici hanno rifiutato il vino delle loro cantine rosse e preferiscono quello delle nostre cantine».

«Non si tratta soltanto di clientelismo – sostiene il direttore di un’agenzia di informazioni palermitana – il sistell/o di potere creato da questi Gruppi va oltre l’assessorato all’agricoltura o la Regione: gente come i cugini Salvo o i cavalieri del lavoro catanesi ha contatti privilegiati anche a livello ministeriale o di comunità europea. Non a caso il primo finanziamento concesso dalla Cee ad imprese agricole sicilane fu accaparrato dalla “Costantino” di Mario Rendo. E non a caso il cavaliere Rendo era amico fraterno e grande elettore del ministro dell’agricolluro Giovanni Marcora…»

A fare le spese di questo sistema di potere in ultima analisi è soprattutto l’agricoltUra siciliana: inesistenza di una seria programmazione, trasparenza solo fittizia della spesa pubblica, discriminazione tra piccoli e medi agricoltori da una parte e grandi parentati economici dall’altra benchè l’80% della produzione sia in mano a coltivatori diretti. Eppure, fallito il grande sogno industriale, e nella confusa usufruizione del patrimonio turistico, l’agricoltura avrebbe dovuto costituire la base fondamentale dell’economia siciliana. Un’agricoltura, naturalmente che tenesse conto di elementi essenziali quali la improduttività di alcune colture, la meccanizzazione e tecnicizzazione della produzione, le esigenze del mercato comune europeo.

L’agricoltura, insomma, avrebbe meritato un’attenzione politica costante ed appassionala, un impiego di energie economiche molto più vasto, più continuo ed intelligente, in definitiva, il doppio almeno di quelle cenLinaia di miliardi che vi sono attualmente profusi. Ma spesi in modo sicuramente migliore. Insomma, non si fa critica ai massicci interventi ma al modo di articolare gli stessi, con una dissennatezza che ha trasformato le erogazioni per l’agricoltura in sperpero clientelare.

«Ma il pericolo più grave è un altro – ammonisce Ammavuta – non dimentichiamo che una gestione clientelare è il veicolo ideale attraverso cui il sistema politico si compenetra con il sistema mafioso.»

Lo aveva intuito anche il generale Dalla Chiesa quando chiese alla Guardia di Finanza di indagare sui finanziamenti pubblici concessi dalla Regione siciliana. E forse proprio questa intuizione gli è costata la vita.

 

 

didascalia foto:

Da sinistra, l’ex assessore all’agricoltura Giuseppe Aleppo insieme al cavaliere del lavoro Carmelo Costanzo e all’altro cavaliere Mario Rendo. Ascoltano compunti il min. Colombo. La foto risale a due anni fa, quando Aleppo, perso l’assessorato, decise di abbandonare il gruppo di Gullotti e cercò un nuovo “padrino” politico. Ma neanche Colombo gli ha portato fortuna.

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