“Gotica” di Tizian presentato a Roma
«La linea Gotica non è solo geografica, esiste nella società: una linea immaginaria tra legalità e illegalità. L’illusione di cui vive questo Paese è pensare che sia possibile stare al di qua della linea della legalità e considerare l’illegalità una cosa brutta, sporca, che appartiene ad altri. Una cosa, insomma, di Polizia e Carabinieri». Con queste parole Giuseppe Cascini, segretario dell’Associazione nazionale magistrati, lo scorso giovedì sera, ha presentato il libro-inchiesta “Gotica” di Giovanni Tizian. Ci sono diversi modi di restituire il senso di un libro: si può raccontare il contenuto, descriverne la struttura, oppure si può tentare di svelare il non detto. Cascini ha fatto questo tentativo.
Non c’era un solo posto vuoto al teatro Centrale Preneste: grazie alla campagna – promossa dall’associazione daSud – “Io mi chiamo Giovanni Tizian”, il giornalista calabrese emigrato a Modena è diventato un volto noto. Avevi la sensazione di conoscerlo da sempre. Il pretesto era la presentazione nazionale di Gotica, libro inchiesta che indaga l’infiltrazione mafiosa al Nord. Ma non solo: nelle pagine di Tizian c’è la storia di un’Italia diversa. Non più divisa. Il Nord, come il Sud, ferito dalla criminalità organizzata, non più infiltrazione, ma metastasi.
Tizian sceglie le parole, con attenzione, una per una, per raccontarci Gotica, un libro che non si arrende agli stereotipi: «Molti imprenditori al Sud stanno denunciando, stanno alzando la testa. Consapevoli che la mafia sta cambiando volto, riescono ad inquadrare il fenomeno. Al Nord questo non avviene». Ilda Boccassini della Dda di Milano e il procuratore Roberto Alfonso di Bologna insistono: «Dovete denunciare». Perché la ‘ndragheta opera con nuovi metodi, più complessi, più raffinati.
«A Reggio Emilia – spiega Tizian- viene utilizzata una tecnica delle ndrine di Cutro: viene chiesto all’imprenditore di fare false fatturazioni. Questi, avendo commesso anche lui un reato, non potrà denunciare». Questo è solo un esempio, uno dei tanti. La mafia si muove al Nord in modo molto diverso di come fa in Calabria o in Sicilia. Basti pensare al settore della sanità. Gli ospedali in Lombardia non vengono certo gestiti come quelli della Locride. Alla mafia conviene che la sanità al Nord funzioni: i soldi girano e creano il bacino dei voti. La sanità è potere ed è politica. Ciccio Pakistan latitante di San Luca (RC) perché era degente in una clinica di lusso a Pavia? Con quanta fretta è stata cancellata la sagoma del cadavere di Pasquale Libri, dirigente del settore appalti del San Paolo di Milano? Un suicidio da lasciarsi alle spalle. Queste sono le storie che ci ha raccontato Tizian giovedì sera: storie scritte e indagate da una penna precaria. «Sono precari la maggior parte di quei giornalisti che scelgono di parlare delle dinamiche della criminalità organizzata». Lo sottolinea Roberto Natale, Presidente della Fnsi, ricordandoci che l’Italia, nella classifica del 2011 stilata da Report Sans Frontieres sulla libertà di stampa, occupa il sessantunesimo posto. Perché, aggiunge Natale, non sono solo le minacce a zittire i cronisti: «Un giornalista precario è un giornalista meno libero».
Inevitabile pensare alla politica: cosa fanno le istituzioni per aiutare la società civile a riprendersi le parole della legalità? Cosa fanno concretamente per sostenere la lotta alla criminalità organizzata? Ci aiuta Giuseppe Cascini a capirlo. «Nessuno si è posto il problema di fare una riflessione politica sul reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”. Forse la politica dovrebbe porsi il problema delle frequentazioni con certi ambienti. Bisogna fare delle scelte politiche forti: perché mantenere nel proprio territorio un paese off-shore come San Marino, che non rispetta la normativa anti-riciclaggio?».
Cascini, che lavora anche per la Dda di Roma, completa il discorso di Tizian. Le ultime pennellate per disegnare lo Stivale. Come e quanto sono presenti le mafie nella Capitale? «L’unico libro che ci racconta della criminalità organizzata a Roma è “Romanzo Criminale” di De Cataldo. Non esistono studi accurati sulle relazioni tra la criminalità (tradizionalmente coinvolta nell’usura e nel traffico di stupefacenti) e mafie. Nessuna importante analisi su come vengono investiti i capitali mafiosi nel tessuto produttivo romano, contraddistinto da un forte terziario». Solo da poco l’attenzione si è spostata su Roma. Nell’ultimo periodo ci sono stati diversi episodi di chiara matrice mafiosa.
«Omicidi, gambizzazioni fatte per strada – dice – alla luce del giorno fanno pensare alla Camorra. Questi eventi hanno portato all’attenzione il problema. Non si dovrebbe arrivare a questo punto, ai morti ammazzati, per accendere i fari, ma è un primo passo».
Un passo dopo l’altro, un lampione dopo l’altro e forse la speranza che l’Italia si illumini non è poi così vana. Basta pensare che la solidarietà non è sufficiente. Ognuno di noi può fare qualcosa. Giovanni Tizian è sotto scorta dal 22 dicembre: non è un eroe, non vuole esserlo. Chi è in trincea come lui lo sa bene: caricarsi di appellativi così pesanti non da forza, al contrario consuma i nervi. E i nervi di chi lavora con la lucidità e l’analisi devono essere saldi. Giovanni è uno di noi. «Non un simbolo, ma un esempio». La presentazione del suo libro è stata un’occasione per ricordarci di essere insieme. Giovanni da solo non può fare la rivoluzione, e come lui Cascini, i Siciliani Giovani, e tutti coloro che credono nella lotta alla mafia. Insieme possiamo vincere. Insieme sorridendo. Insieme divertendoci. Io mi chiamo Giovanni Tizian.