Giornalismo? E’ vivo e abita qui
“Il giornalismo è morto”: è la frase che ripetutamente sento pronunciare nei piani alti della professione. No futuro, no speranza. Le case editrici non investono, le redazioni si svuotano. “Cambia mestiere che è meglio, va!”.
Provo una grande tristezza nel sentir pronunciare queste frasi. Segno dei tempi, sì: il mestiere di scrivere è in crisi, fra l’effettivo impoverimento del mercato e reality show che spiattellano in prima serata racconti e storie alla ricerca dell’x factor letterario. Ma anche, e soprattutto, segno di disattenzione.
Da due anni, cari miei, l’eccellenza del giornalismo antimafioso si è fatto rivista: ci chiamiamo I Siciliani Giovani, gli scritti di Pippo Fava sono il nostro testamento e i luoghi in cui viviamo (tutta Italia e oltre) il territorio d’azione. Occhi e penna, o meglio occhi e tastiera, le nostre armi pacifiche e taglienti.
Una rivoluzione in corso
Qui è in corso una rivoluzione intergenerazionale, capace di unire nord e sud, lo studente fricchettone che all’università studia sociologia della criminalità organizzata e il magistrato antimafia prossimo alla pensione.
Da una parte la freschezza e l’aggiornamento continuo, dall’altra l’esperienza e un esempio costante. Un giornalismo giovane sulle orme di Pippo Fava, una rete da Milano a Catania, passando per Bologna, Napoli, Palermo.
Una rete di redazioni e associazioni, ciascuna impegnata a smascherare, denunciare e combattere sistemi corrotti e collusioni del proprio territorio. Come un esercito di scribacchini curiosi, determinati e spiritosi, pronto a combattere. E pronto anche a vincere.
Perché i Siciliani Giovani sono consapevoli che la mafia, in tutte le sue accezioni, cosa nostra ‘ndrangheta camorra sacra corona unita e organizzazioni criminali straniere, sono fenomeni umani e come tali hanno un inizio e una fine.
Lo disse Falcone prima della orrifica strage di Capaci, lo ripetono quotidianamente Norma da Roma, Salvo da Bologna, Giorgio da Torino, Pietro da Modica, Sara dalla Spagna e Antonio da Messina.
Se lo ripete Valerio passando ogni giorno col treno lungo la linea ferroviaria di Rho che da Milano centro porta in provincia: i vagoni fluttuano veloci sui binari, fuori dai finestrini i cantieri di Expo 2015.
Prima era campagna, poi ci furono gli scavi, infine è arrivato il cemento. Tutti vedono, i pendolari se la raccontano incuriositi: chissà quali innovazioni, quali benefici porterà l’esposizione universale?
Ma Valerio vede di più. Le immagini scorrono veloci, come diapositive si imprimono nella memoria fotografica del ragazzo. Torna a casa, scrive ciò che vede. Sa che quel cemento è cibo della ‘ndrangheta, sa che i subappalti sono i figli minori e prediletti delle cosche.
Grazie ai Siciliani la notizia arriva alla redazione di Telejato a Partinico, risale lo stivale toccando i raccoglitori d’arance di Rosarno, passa fra le accademie universitarie di Bologna e le pagine di Diecieventicinque. A Modica c’è un gruppo di amici: qualcuno studia all’università, qualcuno lavora. Tutti scassano i cabbasisi ai politici locali: fanno nomi e cognomi, pubblicano i loro volti sulla copertina del loro giornale.
I piccoli maestri del “Clandestino”
Modica è una città bellissima, la luce rischiara le facciate bianche dei palazzi di pietra, la gradinata della chiesa invita il passante a fermarsi, sedersi, contemplare l’esistente. Da quando quel gruppo d’amici ha fondato il giornale il Clandestino Modica è ancora più bella. E più libera. E più informata. Da quando Il Clandestino fa parte della rete de I Siciliani anche il resto d’Italia – quella rete consapevole e attenta – conosce ciò che accade in quell’angolo di trinacria: il Muos, i reati ambientali, le vittime di estorsioni mafiose, il desiderio di vita degli immigrati. Prima delle grandi televisioni, prima dei quotidiani nazionali.
Questi sono i Siciliani, questo siamo. Da Nord a Sud. Chi non ci vede è perché non ci ha voluti vedere, chi non ci legge e si lamenta è colpevole di miopia e di scarsa percezione dei tempi.