Giornali “a sinistra” all’ora dell’aperitivo
Due
Piero è stato un gran capo cronaca, se lo ricordano ancora i sopravvissuti de L’Unità degli anni ’80 e ’90. Mica uno che non sapesse fare il suo mestiere.
Anzi. Uno che si era formato per strada facendo il cronista. Attento, bravo. Poi fu un fantasioso direttore a Liberazione, se lo ricordano ancora disoccupati e precari che sotto di lui cercarono di fare un giornale. Io all’epoca, per un anno prima di essere assunto a Left, collaborai con quel giornale, in particolare col supplemento settimanale. Una bella esperienza, in quella fase, che poi si concluse male. Anzi malissimo. E ora l’epilogo della liquidazione. Che per un giornale è una roba drammatica. Per chi ci lavora e per chi per anni lo ha letto.
Alla fine il nostro Piero approdò a Calabria Ora, facendo il garantista con la ‘ndrangheta e liquidando l’esperienza di Paride Leporace e della scuola di cronisti che fece grande quel piccolo e innovativo giornale. Anzi, la fase iniziale della sua direzione del quotidiano calabrese è stata segnata da una sistematica campagna per isolare e poi trombare tutti i cronisti che si occupavano degli intrecci fra politica, affari e ‘ndrangheta. Una strage di penne. Questo ha messo in atto il garantista ex direttore di Liberazione. E mentre quei cronisti erano sottoposti a un’offensiva mafiosa basata su attentati, minacce e intimidazioni di ogni genere.
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Ora fonda Paese, che è la riproposizione in veste minore, ma non minoritaria, di quel grande giornale che fu Paese Sera che insieme a L’Ora di Palermo dimostrò la forza culturale e politica della cronaca: il racconto sociale, una specie di rivoluzione. Sparisce la “Sera” sostituita dal salotto annoiato e smosciato romano fra Bertinotti e Zingaretti, Bettini e l’imprescindibile Anubi e un po’ di residui di un Ulivo Bis mai nato.
E mi domando, anche. Dove minchia ha trovato i soldi per fare un quotidiano oggi il nostro barbuto Piero? E perché un quotidiano mentre altri chiudono e c’è chi ha dimezzato vendite e entrate pubblicitarie in meno di un anno? Ha un’idea nuova? Un progetto rivoluzionario? O sta solo macinando un altro contenitore da rivendersi poi per ottenere qualche spazio televisivo a La7 che ormai non si nega a nessuno?
Sansonetti Piero, oltre al capello sbarazzino e la barba che più anni settanta non si può, si vende bene in Tv, e non ci sarebbe da stupirsi a vederlo gestire uno spazietto editoriale da sinistra radicale normalizzata. Si, ce lo vedo bene a La7 Piero, e anche a mettere in piedi l’improponibile Paese. Il mondo va così. Di salotto in salotto, di comparsata in comparsata, di marchettona in marchettona. Amen.
Tre
Telese me lo sono tenuto per ultimo. Perché la sua panzetta (non ci accomuna solo aver transitato tutti e due per l’agenzia Dire) e il suo baffetto/mosca primo novecento me lo rendono simpaticamente insopportabile. Ma l’uomo è furbo nonché un fior di spregiudicato professionista. E Luca ha pelo sullo stomaco. Tanto per fare un esempio per aver fatto il cronista politico per Il Giornale di Paolo Berlusconi all’epoca diretto da Belpietro prima di fondare Il Fatto, la testata più anti Berlusconi che si può. Poi per aver fatto salti mortali per conquistarsi spazi e visibilità televisive fino ad avere contenitori a sua forma e immagine. Ammetto che ho tifato per lui recentemente per la sua rottura con Il Fatto (che aveva fondato con altri) e in particolare con Marco Travaglio e la linea grillina che ha assunto ciecamente il giornale dopo che l’editore e socio di Grillo (la Casaleggio associati) ha acquisito una gran parte della casa editrice Chiarelettere che è di fatto uno dei pacchetti di peso del quotidiano non-diretto da Antonio Padellaro (visto che è evidente che lo dirige lo stizzoso Marco). Che abbia lavato i panni sporchi in pubblico sulla vicenda de Il Fatto gli fa onore. Però. C’è sempre un però.
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Dopo quei numerosi passaggi “destrorsi”, oggi si lancia nell’avventura di un nuovo quotidiano, Pubblico, di area progressista che guarda un po’ al Pd, un po’ a Idv e un po’ di più a Sel e con azionisti Lorenzo Mieli e Fiorella Mannoia. A guardare la squadra, oltre alcuni provenienti da Il Fatto, ci sono nomi che fanno ben capire a che salotto (più che a quale area politica) il nuovo giornale fa riferimento: Francesca Fornario da L’Unità, Tommaso Labate dal Riformista e Stefania Podda da Liberazione. Senza parlare delle “firme” di peso come Ritanna Armeni, Corrado Formigli, Mario Adinolfi, Marco Berlinguer e Carlo Freccero. Ma che, l’organigramma lo ha suggerito Antonio Polito, il dalemanissimo ex direttore de Il Riformista e oggi editorialista al Corsera dopo un passaggio parlamentare? Solidarietà di baffetti?
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Delle tre operazioni, devo ammettere a malincuore, quella di Telese mi sembra la più solida e reale. Anche per la spregiudicatezza di Telese. Mi sbaglierò, ma dopo i rimescolamenti post Vasto del centro sinistra il progetto di Pubblico mi sembra quello che garantisca meglio il megafono alla salottiera sinistra radical chic capitolina che non disdegna le furbate del sempiterno Massimino (e pure qui il baffetto c’entra). Come si dice: un giornale con i baffi. Sperando che la peluria che sovrasta il labbro tenga lontana i grembiuli.