Franca Rame amore e vita
Il palcoscenico come giustizia e bellezza
Franca Rame è una di quelle donne la cui vita è difficile da descrivere a parole.. La sua è una storia che si racconta da sé. Una bravura e un talento che possono essere solo ascoltate in silenzio attraverso le sua voce. Chi è Franca Rame può raccontarlo solo il palcoscenico.
Solo il teatro, infatti, riesce a rendere giustizia e bellezza alla sua persona. Sì, giustizia e bellezza allo stesso tempo, in un connubio indissolubile e drammaticamente reale. Lei è l’esempio di un amore spietato verso l’arte e la recitazione, talmente vero e profondo che le permette di raccontarsi oltre che di denunciare il suo tempo.
Un monologo che esprime esattamente tutto questo è Lo Stupro, che scrive nel 1975. Racconta la storia vera di una donna che subisce violenza sessuale per mano di cinque neofascisti che la caricano su di un furgoncino e abusano di lei, in una Milano indifferente degli anni ’70. La donna poi viene scaricata giù, seminuda, e lasciata sola. Uno stupro punitivo, perché quella donna aveva idee di sinistra, era una femminista, attiva, un po’saccente, brillante.
Quella era la notte del 3 marzo 1973. E quella donna era Franca Rame.
L’Italia degli anni di piombo
Il modo in cui viene annientato l’animo e l’essere di una donna che subisce una violenza sessuale può essere compreso da chi vive tutto questo in prima persona. Sulla propria carne. Sono ferite che segnano solchi profondi, acuite dall’indifferenza di una società distratta, da una giustizia che va in prescrizione, da uno Stato assente, o forse presente in maniera sbagliata. Negli anni di piombo, Franca Rame non era un personaggio casuale, ecco perché il palcoscenico è giustizia e bellezza nella sua vita.
Un’antica stirpe di attori
Inizia a recitare all’età di tre anni andando a bottega dalla sua stessa famiglia, un’antica stirpe di attori. Porta l’utopia dell’ideologia sessantottina in palcoscenico, con spettacoli di controinformazio – ne politica, pungenti e feroci, come Morte accidentale di un anarchico che riprende il caso della morte dell’anarchico Pinelli, col gruppo di lavoro La Comune.
In prima fila a partire dagli anni ’70 nel movimento femminista italiano, in Tutta casa, letto e chiesa racconta la condizione della donna in una brillante chiave ironica. Geniale, comica, profonda si addentra nell’analisi intelligente e sottile della schiavitù sessuale, della vita matrimoniale, della società. Sottolinea l’insoddisfazione e il peso della vita domestica, la solitudine di questa e l’impossibilità di comunicare all’esterno le frustrazioni dell’incomprensione familiare. “Una donna sempre pronta, una donna zitta, basta che respiri.” Cinquemila repliche in diversi anni.
“Parlare del mio tempo, del nostro tempo è naturale, parlare e denunciare il quotidiano, quello che vive la gente, dal lavoro precario all’operaio sfruttato. È naturale perché è uguale ovunque”.
“Io quello che ho avuto nella mia vita, che è tantissimo, l’ho avuto nonostante me”. È così che si descrive. E parla del suo amore incondizionato per il marito, Dario Fo, un compagno di vita con il quale condivide ogni cosa: l’amore per la vita, per il teatro, la recitazione, la scrittura.
In un’intervista racconta del giorno in cui venne consegnato a Dario Fo il premio Nobel e un’amica le regalò cinquecento rose rosse e un biglietto con scritto “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, che lei ripiegò delicatamente, leggermente offesa, e corresse con “al fianco”.
“Non occorrono altre parole”
“Il padre eterno si rivolge ad Adamo:
-Preferisci l’eterno o preferisci scoprire l’amore con il suo inizio e la fine?
– Ho qualche dubbio, ma sono molto curioso di scoprire questo mistero dell’amore, anche se poi è la fine.”
È con questo monologo che Dario Fo la ricorda il giorno del suo funerale il 29 Maggio scorso.
“C’è una regola antica nel teatro, che quando è concluso, non c’è bisogno che tu dica altra parola. Saluta e pensa che quella gente se tu l’hai accontentata nei sentimenti, nell’affetto e nel pensiero te ne sarà riconoscente”.