Fra stragi ed ecomafie: la mafia grigia
Ciancimino, Tronci, e altre storie
Dodici milioni di dollari depositati in una banca svizzera. Apparterrebbero al tesoro di Vito Ciancimino l’ex sindaco di Palermo, capo indiscusso dell’ala politica dei corleonesi di Cosa Nostra sino alla morte avvenuta a Roma, il 19 novembre del 2002.
Li ha scoperti la guardia di finanza nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Dda di Palermo. Sarebbero nella disponibilità del figlio di don Vito, Massimo Ciancimino, teste chiave nelle indagini sulla trattativa stato- mafia, indagato per mafia, esplosivi e calunnia nei confronti del sottosegretario ai Servizi, Gianni De Gennaro. Avviata la rogatoria internazionale per ottenere il sequestro e la confisca del tesoretto dei Ciancimino.
L’indagine patrimoniale della Finanza punta comunque al colpo grosso: nel mirino degli investigatori una massa monetaria di almeno trecento milioni di euro frutto del coinvolgimento di Massimo Ciancimino e uno stuolo di colleti bianchi negli affari delle ecomafie. Ciancimino jr. già condannato in via definitiva per riciclaggio con i suoi soci occulti avrebbe gestito la discarica di Gline, la più grande d’Europa, alle porte di Bucarest.
Ciancimino replica: “Soldi miei in Svizzera o Romania? Regalo tutto ai terremotati dell’Emilia”. Poi aggiunge: “vogliono bloccare la mia testimonianza sulla trattativa”. Argomento sul quale Ciancimino non ha detto tutto e non tutto quel che ha detto è vero.
In una perquisizione della Dia a Milano appare un appunto «L’argomento è sempre la strage Falcone-Borsellino legata alla più grossa azienda ecologica in Romania». La frase è tra le carte della messinese Santa Sidoti, collaboratrice di Massimo Ciancimino moglie del faccendiere Romano Tronci.
L’ingegner Romano Tronci da decenni nella black list di chi indaga sulle ecomafie, citato più volte nelle audizioni dei magistrati di fronte alla commissione sul ciclo dei rifiuti, è il protagonista delle tangenti verdi monitorate dalla procura di Palermo alla fine degli anni ’90 per la discarica di Bellolampo a Palermo.
Romano Tronci sbarca in Sicilia grazie a Vito Ciancimino, Vincenzo Virga e Angelo Siino. Allora capi indiscussi dell’ala politica, militare e imprenditoriale dell’Onorata Società.
Il connubio tra politica e mafia nella gestione delle ecomafie che (non) fatturano ogni anno affari per decine di miliardi di euro dura da sempre.
E’ noto l’interesse dei clan mafiosi e camorristici per grandi appalti come il porto di Gaeta o la Tav.L’ingresso di Cosa Nostra nel Lazio è sancito dai rapporti non occasionali con la banda della Magliana.
Torniamo a Catania. Pendici dell’Etna. E’ il mese di settembre del 1998.
“Signor Sindaco, c’è il presidente del Parco del’Etna”. Il sindaco rimane interdetto. Poi sbotta al centralinista: “Ma non era in carcere?”.
Era in carcere, sì. Dal 7 luglio quando i finanzieri bussano alla porta della sua terza casa di Nicolosi. Raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere spiccata dai giudici di Palermo che lo accusano di associazione di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Filippo Urzì, dirigente in pensione dell’assessorato Territorio e ambiente, avrebbe intrattenuto legami con il boss trapanese Vincenzo Virga; curato gli interessi della De Bartolomeis, società citata nei rapporti internazionali delle organizzazioni ambientaliste sulle ecomafie.
“Filippo Urzì cosa faceva? Era quello che predisponeva i finanziamenti per le varie province siciliane – afferma l’ex ministro dei Lavori pubblici di Cosa Nostra siciliana, Angelo Siino – e Romano Tronci della De Bartolomeis se lo prese in casa. Lo fece dimettere perché era prezioso, perché sapeva…”.
Siino spiega l’ingranaggio politico. “Romano Tronci quando venne da me, venne con l’input di Ciancimino. Ho accettato di sponsorizzarlo di buon grado perché sapevo che dietro di lui c’era il Partito Comunista. Almeno lui diceva e anche Lima me lo aveva confermato che c’era il Partito Comunista”.
“L’Urzì di cui parla Siino – commentano i pm di Palermo -ha avuto un preciso ruolo come dirigente della De Bartolomeis, nell’acquisizione con turbativa d’asta, degli appalti di Bellolampo e nella vicenda riguardante i rapporti d’affari intrattenuti da Romano Tronci con il capo della famiglia mafiosa di Trapani, Vincenzo Virga.
Decadute le esigenze cautelari per il cessato rischio di inquinamento delle prove, Filippo Urzì torna in servizio. Chiama i sindaci dei venti comuni che compongono il il consiglio del parco dell’Etna. Filippo Urzì, infatti, è stato nominato presidente in un quadro di efficientismo tecnocratico. “E’ un vero esperto di leggi ambientali”. Su questo non c’è dubbio. Lo ammettono anche i pentiti. I boss si rivolgono a Filippo Urzì per eludere le leggi sull’ambiente.
“Urzì era il rappresentante della De Bartolomeis in Sicilia – ricorda il collaboratore Salvatore Lanzalaco – e si occupava di tutti gli aspetti tecnici amministrativi della De Bartolomeis per la discarica di Bellolampo e altri lavori. Stava sempre in via della Croce Rossa”.
Pm. “Urzì era a conoscenza dei patti che vi erano stati…?”. Lanzalaco risponde, secco: “Sì, di tutto, di tutto, di tutto. Di tutto perché si incontrava spessissimo con Biondolillo, con Muscaglione, con Gorgone, con tutti”.
Angelo Siino conosce Urzì andando insieme all’imprenditore Romano Tronci nella sede dell’assessorato “nel periodo in cui era stato individuato come referente mafioso – si legge nel provvedimento cautelare – e assumendo che proprio Urzì si era occupato su richiesta del Tronci e dello stesso Siino, di curare la pratica relativa al finanziamento della bonifica del torrente Nocella, cioè di quell’appalto che qualche anno dopo sarebbe stato aggiudicato per volontà dell’associazione mafiosa a un raggruppamento di imprese composte dalla Termomeccanica, dalla De Bartolomeis e da imprese direttamente riconducibili all’associazione mafiosa fra cui la Cosmo sud srl di Brusca e la ditta di Giovanni Mazzola, oggi collaboratore di giustizia”.
Angelo Siino incontra nuovamente Filippo Urzì “insieme a Nicolino Burriesci e Romano Tronci in un periodo in cui l’indagato, dimesso il ruolo di funzionario dell’assessorato regionale, aveva assunto anche formalmente l’incarico di dirigente della De Bartolomeis”. Angelo Siino commenta. “Romano Tronci si era appropriato di Filippo Urzì, aveva avuto questo diritto di primogenitura…”.
I pm gli danno credito, tanto da chiedere l’incriminazione di Romano Tronci e Filippo Vittorio Urzì, congiuntamente “anche per avere con più azioni del medesimo segno criminoso promesso e successivamente versato a Franz Gorgone, Giuseppe Biondolillo, Turi Lombardo, Manlio Orobello, Francesco Martello e Liborio Muscaglione somme di denaro corrispondenti complessivamente al tre per cento dell’importo (oltre otto miliardi di lire per i lavori di ampliamento della discarica di Bellolampo) e altre utilità come l’assunzione del figlio di Muscaglione presso aziende di Romano Tronci”.
Le tangenti verdi servivano “affinché essi stessi e altri pubblici ufficiali competenti nella procedura di gara compissero atti contrari ai doveri d’ufficio favorendo l’associazione di imprese di cui faceva parte la De Bartolomeis.
Solo nel marzo 2010 arriva la sentenza d’appello per l’inchiesta Trash: Romano Tronci non è colpevole, così come il superboss Bernardo Provenzano, il catanese Pasquale Costanzo e l’ex assessore regionale democristiano Franz Gorgone. Tutti e quattro erano stati condannati in primo grado, a pene comprese tra i quattro anni di Provenzano e Costanzo, i quattro e mezzo di Gorgone e i dieci di Tronci. Assolti Salvatore Biancorosso, Gaetano Traficante, Mario D’Acquisto (ex segretario di Gorgone, omonimo dell’ex presidente della Regione) e Francesco Martello, condannati in prima istanza dal tribunale. Le tangenti vi furono ma cadono in prescrizione. Dell’intervenuta prescrizione gode insieme ad altri sette imputati Filippo Vittorio Urzì. L’associazione per pilotare gli appalti con l’aggravante mafiosa riconosciuta in tribunale cade in secondo grado.
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Vent’anni dopo l’avvio della prima inchiesta, emerge la pista romena. La Dda di Palermo non demorde, spronata dal gip Pier Giorgio Morosini che rifiuta una richiesta di archiviazione, indaga sulle importazioni di gas dall’est e sul ruolo dell’irresistibile duo Tronci-Ciancimino (jr). Fra le loro carte rinviene l’inquietante pizzino Stragi&Affari. Il cuore della trattativa Stato-Mafia.
(Da La mafia grigia, in libreria dal 27 agosto)
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