Fra politica e borghesia mafiosa
Un modello “italiano: affari, riciclaggio e conoscenze eccellenti
Se con la globalizzazione le economie nazionali sono sempre più interconnesse le une alle altre, è anche vero che l’apertura dei mercati e lo sviluppo del commercio mondiale hanno permesso alle organizzazioni criminali di fare massicci investimenti nell’economia legale, laddove le condizioni legali ed economiche risultano più favorevoli. Uno dei paesi in cui le organizzazioni di stampo mafioso hanno trovato una seconda casa è la Spagna.
Perché la Spagna? Anzitutto va ricordato che per quasi quarant’anni la Spagna ha vissuto sotto la dura repressione della dittatura franchista, che ha impedito lo sviluppo di una criminalità locale, a eccezione dei Gallegos Lancheros in Galizia. La controversa transizione spagnola, avvenuta con la morte di Franco dal 1975, ha aperto un vuoto in cui si sono inserite le organizzazioni criminali di diversa nazionalità: russe, cinesi, albanesi e italiane.
In secondo luogo bisogna tener conto della posizione geografica della penisola iberica, nodo nevralgico per il transito di droga proveniente dall’America Latina e dal nord dell’Africa. E qui, dunque, le organizzazioni criminali cercano di controllare territori strategici per il traffico di droga, di cocaina e hashish: non è un caso che molti narcos sudamericani, così come latitanti italiani, si siano rifugiati per la latitanza e per i loro affari lungo la Costa Brava, in Galizia o a Tenerife.
Già nel lontano 1983 Pasquale Pirolo, luogotenente di Michele Zagaria e braccio destro di Antonio Bardellino nel settore del reimpiego dei capitali illeciti, veniva arrestato con quest’ultimo a Barcellona.
La lista degli arresti in territorio iberico, tuttavia, è lunga: secondo il giornalista e storico Joan Queralt, autore del libro La Gomorra di Barcellona, dal 2000 al 2009 sono stati arrestati 65 affiliati alla Camorra, 24 in Catalogna e 41 nel restante territorio spagnolo. La pervasività delle organizzazioni mafiose italiane è documentata anche dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta antimafia presieduta da Francesco Forgione dal 2006 al 2008, che accerta la presenza di clan camorristici attivi a Barcellona, Badalona, Valencia, Saragozza, Madrid, Toledo, Malaga, Marbella, Ceuta e Granada ma anche di ‘ndrine presenti a Barcellona, a Palma, Algeciras, Madrid e Malaga.
Non solo droga
Se da una parte, dunque, la Spagna può essere considerata un vero e proprio catalizzatore delle rotte della cocaina e rifugio ospitale per molti latitanti, è altrettanto vero che essa costituisce un mercato inesplorato e di facile penetrazione, vista l’assenza nell’ordinamento penale spagnolo del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso (esiste solo il reato di organizzazione criminale, introdotto dalla Ley Organica 5/2010) e di un regime penitenziario speciale in riferimento ai detenuti per reato mafioso che ha permesso loro il mantenimento di relazioni con gli affiliati e la gestione degli affari dietro le mura del carcere.
Inoltre esiste una legislazione in materia di perquisizioni particolarmente garantista, poiché le forze di polizia non possono svolgere perquisizioni durante le ore notturne. Queste condizioni giuridiche ottimali, unite all’assenza di una severa legge sul riciclaggio del denaro (la legge di prevenzione del riciclaggio dei capitali e del finanziamento del terrorismo è stata introdotta solo nel 2010) hanno permesso alle organizzazioni criminali di compiere massicci investimenti nella penisola iberica, tanto è vero che nel 2006 in Spagna vi era la più alta concentrazione europea di banconote da 500 euro, usate dai criminali per loro comodità.
Notai, avvvocati, banchieri, brokers…
I settori in cui la criminalità organizzata ha reinvestito ingenti capitali – grazie alla presenza di una borghesia paramafiosa compiacente fatta di notai, avvocati, banchieri e brokers – sono quello immobiliare e turistico, quello della ristorazione, il settore ittico e della distribuzione alimentare.
Un esempio è la società creata a Barcellona a fine del 2002 da Raffaele Amato, La Mer Vacanze Immobiliare S.L, intestata alla moglie Elmelinda Pagano e finanziata con i soldi provenienti da una società offshore con sede nelle isole Vergini britanniche, il cui proprietario era Gaetano Pezzella, titolare di una fabbrica di salumi e impresario attivo nel campo della produzione e commercializzazione di alimentari nonché addetto al riciclaggio di denaro sporco del clan degli Scissionisti.
Il gruppo si avvaleva di un promotore finanziario della Banque Monégasque de Gestion di Monaco e di un consulente di affari della società Moores Rowland di Montecarlo. Numerose tuttavia sono le operazioni giudiziarie negli ultimi anni che dimostrano l’enormità del potere economico della mafia italiana; nel 2012 e nel 2013, rispettivamente con l’operazione Laurel VII e VIII, vengono sequestrati più di 175 appartamenti, 141 garage, 43 imprese tra hotels, negozi e ristoranti e 19 ville riconducibili al clan camorrista di Giuseppe Polverino, arrestato proprio in Spagna a Jerez de la Frontera, cittadina in cui viveva anche Raffaele Vallefuoco, latitante a sua volta da dieci anni.
Solo attività economiche? No. L’operazione Pozzarro ha accertato il tentativo del clan camorristico dei Nuvoletta di infiltrarsi nella politica locale di Adeje, cittadina situata nell’isola di Tenerife, attraverso la candidatura di Domenico Di Giorgio, giovane avvocato e consigliere di Giuseppe Felaco, capoclan nelle Canarie.
Di Giorgio, arrestato nell’operazione Pozzarro era inserito nella lista dei candidati del Partido Popular ed è stato persino fotografato insieme a Mariano Rajoy, leader del Pp e attuale primo ministro spagnolo.