“Fatti e non parole” Antimafia divisa fra spot e drammi
“Nessuno finora ci ha dato un segnale di solidarietà”. Rosario Puglia, vittima dell’usura, non ce la fa più a combattere: “Mi hanno lasciato solo”
È una bella giornata di sole di quelle che il Sud regala mentre il resto d’Italia gela al freddo, una giornata piena di luce in cui il sole si riflette sulle viti arrampicate sull’Etna: sono i filari delle Cantine Don Saro, di Rosario Puglia, un uomo che nel suo cuore non ha la stessa luce che fa buoni la sua uva e il suo vino.
Rosario è una vittima dell’usura e nel 2008 ha deciso di denunciare i suoi aguzzini, nel silenzio generale di un paese dove tutti sanno ma nessuno fa nulla, dove vige il valore assoluto del “non esporsi”: chi è nelle forze dell’ordine, nella magistratura, nella politica locale – fatte salve rare eccezioni – non interviene.
Rosario, insieme ad altri due imprenditori di Linguaglossa, Letterio Giuffrida e Franco Ragusa, non mangia dal 25 gennaio scorso per protestare contro chi li ha lasciati soli nella loro lotta contro il racket. C’è voluto lo scatto di dignità di tre imprenditori ultrasessantenni per dare una speranza di riscatto a Linguaglossa.
Letterio Giuffrida e Franco Ragusa, ormai, non hanno più un’azienda da portare avanti. La mafia ha distrutto per ritorsione la rivendita di ricambi Giuffrida e gli autobus della ditta Ragusa. Ma loro non si sono lasciati intimidire, e hanno messo i cinque bus incendiati nella piazza centrale, monito alla cittadinanza che non vuole sapere, non vuole vedere, non vuole sentire.
«Corriamo il pericolo di essere ammazzati perché abbiamo parlato troppo – ha dichiarato Rosario Puglia – Io smetterò lo sciopero della fame quando otterremo le carte definitive per i contributi che ci spettano, l’assistenza e la solidarietà delle istituzioni. Dobbiamo avere certezze concrete».
Perché oggi questi tre imprenditori rischiano su un doppio fronte: la loro vita è in pericolo perché si sono ribellati al racket; le loro aziende perché non arrivano gli aiuti dallo Stato per ripartire. Sono come pesci che cercano di risalire il fiume controcorrente: i danni causati da incendi e danneggiamenti, la crisi e la burocrazia farragginosa sono ostacoli altrettanto pericolosi.
Per questo Rosario, Letterio e Franco ce l’hanno soprattutto con l’antimafia delle parole. Sono delusi e scoraggiati perché nessuno fino a oggi ha dato loro un segnale di solidarietà. I riflettori dell’informazione nazionale sono accesi altrove mentre la loro battaglia va avanti.
“L’antimafia è una bandiera da sventolare, ma quando si tratta di passare ai fatti e di mettere in collegamento i buoni propositi alle azioni, tutto diventa più difficile”. E così Rosario non riesce a far ripartire la sua azienda, che produce vini di qualità con un mercato che arriva fino negli Stati Uniti, non riesce ad avere una sospensione dei pagamenti dalla sua banca.
La politica che si dice antimafia non bada a lui. Antonio Turri, dell’associazione “I cittadini contro le mafie e la corruzione”, ha tentato invano di fare arrivare una telefonata del presidente della Regione Crocetta a Saro: un atto simbolico per comunicare la vicinanza delle istituzioni a chi lotta contro la mafia. Un gesto troppo difficile da organizzare, che a tutt’oggi non è stato fatto.
Nella zona ci sono dieci aziende della grandezza di quella di Rosario, la metà è andata a fuoco. Lui ha già tentato più volte il suicidio, ma sta resistendo.
Il perché lo ha scritto in una lettera: «Con l’aiuto di bravi psicologi ho capito che suicidarsi è un comportamento da vigliacco. Quindi ho deciso di mettermi a disposizione della collettività più debole».