Fateli partire
La nave Sea Watch inchiodata a Catania.
“Noi viviamo un momento della storia di cui verrà ricordato da che parte ci siamo schierati. Io non voglio stare tra quelli che hanno lasciato che questa discriminazione avvenisse, voglio invece essere ricordata per aver resistito attivamente contro questo stato di cose. È veramente frustrante che ci sia gente che annega mentre noi siamo bloccati in questo porto di Catania, ma allo stesso tempo la società civile ci supporta e non siamo soli. Il porto di Catania si è rilevato il più aperto di quelli dove siamo stati”.
Dice Haidi, l’addetta stampa della nave Sea watch, ancora ancorata al molo di levante del porto di Catania. Bloccata dalle autorità italiane e olandese da più di dieci giorni.
Accanto a lei un marinaio, dal volto scavato dalla salsedine, la barba incolta e occhi grandi e generosi, si chiama Cristian., ci stringe la mano e ci ringrazia “Siamo felici di aver avuto tanta solidarietà dalla società civile catanese”
L’equipaggio della Sea Watch è intervenuto all’assemblea di presentazione del “tendone solidale”, uno spazio che decine di associazioni hanno voluto al centro della città. “Catania aperta e solidale” campeggia nello striscione in piazza Stesicoro. Con una grande foto di un ragazzo migrante un po’ nitida, un po’ sbiadita: simbolo di una condizione umana precaria, di una società profondamente spaccata.
Il tendone di piazza Stesicoro si colora degli striscioni, della bandiera della Sea Watch, delle tante iniziative: momenti di riflessione sull’emigrazione, sul decreto sicurezza di Salvini, con le mostre fotografiche, spettacoli musicali e teatrali, e infine, la raccolta firme per contrastare l’ordinanza “antibivacco” del sindaco Pogliese, insomma, tutto ciò che è possibile per far conoscere tutto sull’emigrazione.
Ma mentre la Catania solidale, costruisce, una coscienza antirazzista, la guardia costiera italiana e le autorità olandesi, sono impegnate a trovare cavilli tecnico – burocratici per trattenere la Sea Watch, nel porto cittadino. E così gli emigranti che sono imprigionati nei lager libici e quelli che i trafficanti imbarcano su fatiscenti gommoni, una volta scoperti prendere il mare, vengono “soccorsi” dalla guardia costiera libica, “sostenuta” economicamente dal nostro governo fascista. Sequestrati e riportati nei campi di concentramento libici dove ritroveranno fame, torture e morte. Ammesso che le motovedette libiche arrivino in tempo, prima che i gommoni affondino.
La nave Sea Watch era uno dei pochi occhi sul genocidio in corso nel Mediterraneo, l’unica speranza di salvezza per centinaia di donne, uomini e bambini. Per questo la nostra comunità civile e antirazzista lancia lo slogan ” lasciateli partire! Dategli la possibilità di salvare!”