Estate ’14
I mostri e i nuovi mostri. Il mondo visto da quaggiù
L’Europa, come sapete, è morta ammazzata esattamente cent’anni fa. E’ ancora un argomento di moda (quand’ero giovane io era addirittura sexy), ma ahimè solo fra i più benestanti o più colti, la crema.
Per il comune europeo, l’Europa non è che uno dei tanti nuovi mostri – i marchionni, i blairthatcher, i renzaletti – che, ognuno per la sua parte, gli strappano ferocemente quel po’ di società e di benessere che s’era pur conquistato dopo cinquant’anni di scannamento.
Non è che sia granchè furbo, l’europeo: vota per chi sbraita più forte, oppure per chi gli mette due monete in mano; oppure, più di frequente, non vota affatto (paesi interi, come la Polonia, alle elezioni europee di fatto non hanno partecipato; la maggioranza galattica, qui in Italia, comprende appena un quarto della gente).
In Sicilia, a Catania – che noi ci ostiniamo a considerare, con apparente arbitrarietà, centro del mondo – ha vinto direttamente un giornalista crumiro, della corte di Ciancio; di Ciancio e di Cuffaro, il cui braccio destro – il famoso Leanza – è stato lo stratega della vittoria. Di mafia, a queste elezioni, non se n’è parlato; il che non manca, al solito, di stupire i turisti provenienti dai paesi civili.
(“Ma come, in una regione con un presidente in galera per mafia e uno inquisito?”. “Che debbo dirle, herr Goethe. Pensi che qua gli assessori di questi presidenti continuano tranquillamente ad assessorare, e magari a proclamarsi antimafia”).
La noiosa faccenda di Ciancio
Che altro si può raccontare, su Catania? Ancora, noiosamente, la faccenda di Ciancio che ospita gli Ercolano, discute con loro di come far cronaca, pubblica le loro lettere (e loro, nell’indifferenza generale, progettano di far fuori Claudio Fava)? O dello stesso Ciancio inquisito per mafia ma riverito e ossequiato da tutti i politici isolani, dai vociferanti Crocetta e Bianco al distrattissimo Ingroia? La Città e l’Ateneo (quest’ultimo illustrato da luminari come Tino Vittorio, a suo tempo sostenitore dell'”omicidio non mafioso” di Fava) hanno finito di accogliere, in pompa magna, l'”ambasciatore” nazista di Bandera, della 14. Waffen-Grenadier-Division der SS.
Meglio passare direttamente alla lontana Italia, dove l’imprenditoria milanese solidarizza fieramente (sul Corriere”) col mafioso Dell’Utri, fondatore del partito che ha governato l’Italia per vent’anni e anzi – sostengono i pignoli – lo co-governa ancora, col suo pilatesco ma decisivo appoggio al governo, anzi al Partito (come ora si definisce) della Nazione. E’ in atto un dibattito per stabilire se tale appoggio continuerà o verrà sostituito da quello dell’opposizione oppure, italianamente, da tutt’e due insieme. L’opposizione, in un tale paese, è ovviamente rappresentata (come d’altronde il governo) da un ex-democristiano, finalmente spostatosi, dopo molte urla, all’estrema destra britannica: Lord Grillo.
Si dibatte, fra le altre cose, sulla Costituzione da “riformare” (Berlusconi la definì senz’altro “comunista”). Per ora verrà abolito il Senato (ridotto a refugium peccatorum per le varie formigonate e cuffaraggini), più avanti si passerà al resto. Fra “riforme”, abolizione delle liste libere e regi poteri dell’ex Presidente-garante siamo già al “torniamo allo Statuto” sonniniano del 1897, che alla fine permise a S.M. il Re e aspirante Imperatore di proclamare arbitrariamente la guerra, nel lontano (ma non tanto) 1915; e siamo tornati in tema.
La guerra borbotta già (“Guerra in Europa? Ma è impossibile!”) ai lontani confini. I diplomatici si affannano, si parla di “iniziative europee” (allora, di “concerto delle nazioni”).
Ma le iniziative politiche, oggi come cent’anni fa, contano quanto il due di coppe a briscola (quando la briscola è denari) di fronte ai poteri economici: il gasdotto, il petrolio, la ferrovia Berlino-Bagdad, il complesso militare-industriale, le nuove (nel 1913) corazzate a nafta, i droni.
In Italia, in particolare, la politica riguarda ormai solo l’ordine pubblico, dal momento che la sequenza Marchionne (Pomigliano-Mirafiori-FCA), di ormai due anni fa, ha largamente deciso sulle questioni sostanziali. Un vero e proprio colpo di stato sociale, che aiuta a spiegare perché bisognava mettere il più possibile fra parentesi, in questi anni cruciali, la democrazia.
La Costituzione da “riformare”, l’abolizione delle liste libere, l’attribuzione di poteri regi a quello che una volta era il Presidente-garante: non è un percorso del tutto nuovo, e già una volta fu usato per “salvare la patria” in tempi d’emergenza…
La distanza fra società e palazzo
La concezione personalistica del partito, che aveva risparmiato solo il Pd, si è estesa (e con più virulenza che altrove) anche a quest’ultimo, in termini decisamente non tradizionali. La distanza fra società e pa- lazzo si è ulteriormente allargata e il rapporto è tornato quello pre-democratico, fra monarca e massa: questa rassegnata o urlante, quello accigliato o sorridente, o- gnuno nel suo balcone o nella sua piazza.
L’autorità, qualunque autorità, è impopolare: quasi tutti i sindaci uscenti alle ultime elezioni sono stati sconfitti clamorosamente. La partecipazione al voto è ormai quella che è, tanto da convalidare con una certa difficoltà la legittimità dei poteri. Questi ultimi sono ormai soprattutto mediatici, campagne-stampa mirate e sondaggi forzati avendo ormai preso il posto, nella vita politica, di comizi, bar-sport, piazze e sezioni di partito.
Si è ristretto lo spazio pubblico, ma non la complessità (e la fragilità) del comando. Le opposizioni esistono ancora, ma non più in parlamento bensì a Corte.
Dei famosi centotré congiurati che appena un anno fa fecero fuori l’ultimo notabile democratico, Prodi, si parla ormai – per esempio – coi toni dei memorialisti di Luigi XIV, e per allusioni comprensibili solo a chi vive a corte. Eppure si tratta della più potente lobby della Repubblica, e della post-repubblica anche…
L’equilibrio italiano
Questa saggezza consisteva essenzialmente nell’equilibrio. In una società come quella italiana, divisa geograficamente e socialmente, sarebbe stato impossibile andare avanti senza garantire a ogni componente uno spazio preciso di rappresentanza e di gestione possibile del bene comune. All’interno di questo equilibrio la “sinistra” (qualunque ambito si voglia dare a questo termine: dai romanzi di Italo Calvino al Consiglio di fabbrica della Breda) aveva una funzione essenziale che seppe adempiere degnamente.
Senza mai rinunciare del tutto alla difesa degli interessi popolari, e spesso anche alla lotta di classe, essa riuscì a farsi carico – come si dice in politica – non solo dei propri stretti interessi, ma anche di quelli nazionali. Questi ultimi in certi momenti erano davvero drammatici (ad esempio sparare sui tedeschi o garantire lo sviluppo industriale), ma non vennero nel complesso mai abbandonati.
Quando la sinistra entrò in crisi – il che non avvennne per motivi ideologici, ma per semplice stanchezza dei ceti medi che avevano finito per costituirne l’ossatura) – non furono solo gli interessi delle classi povere ad essere abbandonati: lo furono, in larga misura, anche gli stessi elementi costituitivi della nazione.
Una sinistra forte non avrebbe certo permesso i licenziamenti politici degli operai o la riduzione drastica dei salari reali; ma non avrebbe soprattutto permesso la pura e semplice eliminazione della Fiat dall’economia del Paese, la delocalizzazione selvaggia di praticamente tutta l’industria italiana, e la conseguente condanna del Paese a uno stato di crisi strutturale permanente. Nessuno ha lottato più per gli interessi collettivi.
Sono sorte, sì, lotte meritorie e vincenti sul piano dei singoli episodi, a volte addirittura (queste, anzi, con più fora di prima) sul piano dei diriti umani. Ma sulla struttura materiale del Paese, sulla sua configurazione complessiva, nessuno – da un certo punto in poi – ha lottato più. Finché è svanita nella nebbia la stessa elementare percezione del problema.
Una cultura politica “americana”
La sinistra, così, o ciò che continuava a vedersi come tale, ha finito con l’assumere una cultura politica ”americana”: vivacità intellettuale, reazione ai casi singoli, attenzione – non sempre – a ogni grossa lesione dei diritti umani, ma sostanziale abbandono della lotta politica di massa. Un “partito repubblicano” (ma più autoritario e classista di quello americano) di milionari e poveri bianchi, un “partito democratico” (che ha finito per chiamarsi proprio così) di notabili e interessi consolidati, qualche partitino simbolico comunista, ecologista, trockista e chi più ne ha più ne metta, e il potere reale alle corporation (fra cui, da noi, Cosa Nostra e ‘ndrangheta) sempre più presenti non solo solo nell’economia ma anche sul territorio.
Lo scontro più diretto col Sistema
Poteva andare diversamente, potrà andare diversamente? Certamente sì. Personalmente, da molto tempo ritengo che le carte da giocare vadano cercate nel terreno della società civile (o “movimenti”, o “volontariato”: chiamatevla come volete, anche se fra un termine e l’altro ci sono sfumature); e, all’interno di essa, nell’antimafia sociale, che per sua natura deve affrontare gli scontri più radicali diretti col sistema di potere, di cui la mafia ormai è una componente vitale.
Certo, faccio attenzione anche a quel che succede nella politica tradizionale: ultimamente, qualcosa d’interessante (ma con una certa rozzezza, fra dirigenti vecchi e intellettuali “nuovi”…) s’è visto nella campagna elettorale di Tsipras, per quanto infelicemente condotta. Ma è ovvio che una formazione politica, dal nostro punto di vista, non può mai essere esaustiva, visto che un partito-cardine, onnicomprensivo, verosimilmente (e per fortuna) non esisterà mai più.
Il mio modello resta quello, sconosciuto e efficientissimo, dei ragazzi di Modica del “Clandestino”, dei catanesi del “Gapa”, dei napoletani di “Monitor” e di tutti gli altri gruppi “politici” che trovate sulla home dei Siciliani giovani).
Ci aiuta molto il fatto di essere, oltre che dei militanti civili, anche dei giornalisti. Partire da un lavoro preciso, da una cosa precisa da fare e non da semplici discorsi, probabilmente di questi tempi è anche un fattore politico importante.
Del resto, da costruire c’è quasi tutto: ma non è una cosa strana né una gran novità visto che molto spesso, nel corso della storia, alla sinistra è toccato di guardarsi allo specchio e reinventarsi daccapo, ripartendo pazientemente dal lavoro.
* * *
“Le mafie non sono solo bande di gangster che non sopravviverebbero oltre quarant’anni – dice Caselli, il più coraggioso combattente del periodo Andreotti – Resistono in Italia da oltre due secoli grazie a tutto un apparato di relazioni esterne con consistenti pezzi della politica, dell’economia, della società civile, un sistema di coperture, collusioni e complicità che non permette di affrontare il problema come andrebbe affrontato”.
Scheda
COME FARE SALTARE PER ARIA UN MONDO
Guerre. Perché è scoppiata la prima guerra mondiale? Più ci studio, e più mi rendo conto che in realtà non è riuscito a capirlo ancora nessuno. Le ipotesi più coerenti, ai due estremi, sono quella di Nicola Lenin e Winston Churchill. Il primo era convinto che i capitalisti dovessero prima o poi scatenare una guerra globale per i mercati. Il secondo che il casino fosse nato dalla gara
di potenza navale fra tedeschi e inglesi. Quasi tutti gli altri storici oscillano fra l’una e l’altra di queste posizioni.
Non leggevo Lenin da molto tempo. Dell’Imperialismo malattia infantile del capitalismo (o la malattia infantile era quella dell’estremismo? boh: questi libri si assomigliano tutti) mi ricordavo più che altro una splendida copertina rossa. Rileggendolo ora, sono colpito dalla profluvie di dati minuziosi e “cattivi” su produzione, mercati, affari ecc. e soprattutto dal tono di lucida ostilità con cui essi vengono schierati. Tutto sommato, c’era la Bella Epoque, allora, e i compagni europei in fondo erano delle gran brave persone che tutto s’immaginavano fuorché rivoluzioni e guerre…
Ecco: questo tono di estraneità, di gelida sfiducia in qualsiasi possibilità di evoluzione “buona”, è ciò che, in quel libro, più colpisce adesso. Suppongo che, per l’epoca, questo fosse un sintomo abbastanza preciso, molto più impressionante delle cifre e i dati. Forse il sistema è collassato anche perché non riusciva più ad ispirare alcun senso di interlocuzione a uomini come il sig. Lenin.
Del quale non riusciamo a conoscere il nome e l’indirizzo attuali: personalmente immagino che sia da qualche parte dell’Africa, ma queste cose si vengono a sapere sempre dopo.
Il libro di Churchill (“La crisi mondiale”) invece è semplicemente affascinante. Churchill non era ancora quel vecchio politicante ‘mbriagone che a un certo punto gl’inglesi chiamarono (con elfica genialità) a salvare la merry England e tutto il mondo. Era un giovane ex ministro con buone competenze nel campo della marina (i suoi dati navali sono ottimi) e ottime frequentazioni nei club di Londra. Noi inglesi, dice in sostanza, non potevamo farci superare in mare perché altrimenti per difenderci avremmo dovuto farci un grosso esercito e così saremmo diventati non più dei lord eccentrici ma dei militaristi. Ed elenca con garbo il numero delle corazzate, le le decisioni drammatiche prese all’Ammiragliato fra un tè delle cinque e l’altro; i (duri e cortesi) retroscena.
E’ molto più coinvolgente, sotto questo profilo, del suo rivale. Ci sono chicche splendide: si parla per esempio del nome da dare a un nuovo (nel 1912) cacciatorpediniere; ed ecco che viene fuori una vecchia canzone marinaresca su una fregata dei tempi di Nelson, la “sfrontata Arethusa”, dalle tette al vento della polena.
Tuttavia, anche qui, c’è qualcosa che non torna. Questo mondo di garbo diplomatico e di sigari al club,di gentlemen’s agreements e di sorrisi civili: che mai poteva aveva a vedere col sanguinoso macello di pochi anni dopo? Davvero la radice della barbarie era nascosta là nei club, fra i bicchierini di Porto? Lenin, uomo feroce, sghignazzava: non c’era il minimo dubbo che quei signori, di nascosto, fossero dei cannibali.
(s.l.)
Termometro
NOTIZIE ALLA RINFUSA
Maggio. Intercettato un piano della famiglia Ercolano per un attentato contro Claudio Fava, dopo una sua interrogazione sulla condizione carceraria di Ardo Ercolano.
Distratte reazioni del mondo politico.
Maggio. Crisi. Secondo l Censis i duemila italiani più ricchi dispongono di un patrimonio complessivo di 169 miliardi di euro. Statisticamente, lo 0,003% della popolazione possiede quindi una ricchezza pari a quella del 4,5%. I dieci italiani più ricchi, da soli, possiedono circa 75 miliardi di euro, pari al reddito di circa 500mila famiglie comuni.
Maggio. Santa Croce di Camerina. Un bracciante di origini tunisine ricoverato per lesioni: bastonate del caposquadra perché si era allontanato qualche minuto per espletare le proprie funzioni biologiche.
Giugno. Londra. Triplicato (14-33%) il tasso di povertà in Gran Bretagna dall’83 a oggi.
Giugno. Roma. Secondo la Corte dei Conti: l’economia sommersa in Italia ammonta al 21% del Prodotto interno lordo.
Giugno. Disoccupazione giovanile al 46%.
Giugno. Al via la privatizzazione di Fincantieri. Interessato un pool di banche fra cui Imi, Credit Suisse, Morgan, UniCredit, Citigroup, Deutsche Bank, Goldman Sachs.
Giugno. Il 50% della Marmi Carrara al gruppo finanziario saudita Bin Laden.
Giugno. Crollo delle nascite in Italia (515mila nel 2013, minimo storico). Aumenta l’emigrazione all’estero (+68mila), diminuisce l’immigrazione (-42mila).
Trame
COMMEDIA ALL’ITALIANA
“Ehi, guarda un po’ là… Ma non c’era la Fiat, laggiù?”. “Vero… E dov’è finita la Fiat?”. “Me la sono portata”. “Ehi! Ma è cent’anni che ci facciamo un mazzo cosi per la Fiat! E noi come facciamo senza fabbriche?”. “E che me ne frega. Io sono il padrone e ne faccio quello che voglio. L’ha detto pure il governo”. “Ma io… ma noi…”. “Arrivederci”. “E dove va?”. “A Londra, alla nuova sede della ditta”. “A Londra? E che c’entra la Fiat con Londra?”. “Per non pagare le tasse a voi fessi italiani”. “Ma… non è possibile… non è giusto…”. “Giusto? Mi dispiace. Ma io so’ io, e voi nun siete un c…”. (Sipario)
Promemoria
Dieci obiettivi dell’antimafia sociale
- Abolire il segreto bancario;
- Confiscare tutti i beni mafiosi o frutto di corruzione o grande evasione fiscale;
- Assegnarli a cooperative di giovani lavoratori; aiuti per chi le sostiene;
- Anagrafe dei beni confiscati;
- Sanzionare le delocalizzazioni, l’abuso di precariato e il mancato rispetto degli accordi di lavoro;
- Separazione di capitale finanziario e industriale; tetto alle partecipazioni nell’editoria; Tobin tax;
- Gestione pubblica dei servizi pubblici essenziali (scuola, università, difesa, acqua, energia, strutture tecnologiche, credito internazionale);
- Progetto nazionale di messa in sicurezza del territorio, come volano economico soprattutto al Sud; divieto di altre cementificazioni;
- Controllo del territorio nelle zone ad alta intensità mafiosa.
- Applicazione dell’art.41 della Costituzione.
Articolo 41:
“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Caro Riccardo, grazie per il bellissimo, lucido articolo; solo qualche punto di dissenso.
Tu scrivi:
“Quando la sinistra entrò in crisi – il che non avvennne per motivi ideologici, ma per semplice stanchezza dei ceti medi che avevano finito per costituirne l’ossatura)….”
Io credo, invece, che lo sbriciolamento di quella tragedia che è stata il muro di Berlino sia una spiegazione, quale causa della crisi della sinistra italiana, molto più credibile della stanchezza cui tu ti riferisci.
Ed ancora:
“Ma è ovvio che una formazione politica, dal nostro punto di vista, non può mai essere esaustiva, visto che un partito-cardine, onnicomprensvo, verosimilmente (e per fortuna) non esisterà mai più.”
Mi sembra, invece e purtroppo, che la costruzione di questo “partito cardine” sia già in atto: e che cosa sarebbero, altrimenti, le cosiddette “larghe intese” praticate con la bufala di “salvare l’Italia”(o, più credibilmente, affossarla in maniera definitiva)? Dobbiamo soltanto sperare che, nella discussione in corso, le truppe sparse dell’opposizione riescano a vincere il progettato omicidio del senato elettivo e tutti gli altri “combinati disposti”.
Ed infine, tu scrivi:
“Guerre. Perché è scoppiata la prima guerra mondiale? Più ci studio, e più mi rendo conto che in realtà non è riuscito a capirlo ancora nessuno. Le ipotesi più coerenti, ai due estremi, sono quella di Nicola Lenin e Winston Churchill. Il primo era convinto che i capitalisti dovessero prima o poi scatenare una guerra globale per i mercati. Il secondo che il casino fosse nato dalla gara
di potenza navale fra tedeschi e inglesi. Quasi tutti gli altri storici oscillano fra l’una e l’altra di queste posizioni.”
Anche su questo non sono d’accordo! Infatti, le due ipotesi, che citi, sono forse in contrasto, o in opposizione l’una dell’altra? Non lo credo. La spiegazione della terribile I guerra mondiale, fonte di tutte le disgrazie e le tragedie che hanno insanguinato il XX secolo, c’è, mi sembra chiarissima, e l’hai scritta tu stesso: la spiegazione suddetta è l’amplissimo ventaglio dei fatti , contenuti tra le due suddette ipotesi, che si sono manifestati e sviluppati nel quarantennio circa che intercorre tra la fine del sistema bismarckiano e il funesto 1914.
Grazie per l’attenzione, cordiali saluti e…in gambissima!