sabato, Novembre 23, 2024
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“Essere solo un cronista”

Intervista ad Arnaldo Capezzuto

Arnaldo Capezzuto è un giornalista napole­tano, classe 1970. Ha collaborato con i quoti­diani La verità, Napolipiù e Il Napoli (Epolis). Attualmente collabora con varie testate, tra cui il mensile L’Espresso Napoletano e dirige l’on-line ladomenicasettimanale.it che fa parte del progetto de I Siciliani Giovani.

– Quando e perché è nata la passione per il giornalismo d’inchiesta?

– Non lo so se sono un giornalista d’inchiesta. Non so se, in generale, mi è nata una passione. Dico davvero. Mi sento molto distante dal lavoro che cerco di fare. Mi sembra quasi naturale di occupar­mi di fatti vivi, avvenimenti, storie e rac­contare in modo laterale. Si, perché occor­re dare un punto di vista. Ecco il cronista è vero che riporta i fatti ma gli dà una an­golazione. Diffido dai giornalisti che sono solo medium. Riportare i fatti senza mi­schiarli con le opinioni è la regola ma il giornalista ha una propria storia. Voglio dire se dovessi andare solo con un micro­fono in mano a raccogliere la solita “poe­sia”, farei altro. Al “mestieraccio” mi sono avvicinato quasi in modo indotto, provengo da studi di sociologia, il giorna­lismo per me è un’applicazione sul dal campo, una ricerca continua per capire.

– Esiste oggi un’informazione libera e non censurata?

– E’ un tema caldo. Oggi ci sono più mezzi a disposizione rispetto a dieci anni fa. C’è sicuramente più spazio di manovra ma diffido dal credere che abbiamo un’informazione più libera, l’assenza della censura e dei bavagli. La moltiplicazione dei canali dei media è una garanzia di un accesso più diretto e libero da parte di tut­ti, ciò non significa avere più libertà d’informare. Si sa tutto di tutti, ma siamo sicuri di avere un’informazione libera?

Come è possibile? Non voglio fare ana­lisi troppo approfondite, applicare para­digmi filosofici. Faccio una semplice con­statazione : c’è tanto conformismo infor­mativo che anestetizza il lettore. Non c’è un vero coinvolgimento del lettore e poi ci sono troppi sepolcri imbiancati, notizie che ad arte non si danno perchè qualcuno vuole che non si diano.

Il ruolo del giornalista

– Quale ruolo ha avuto il giornalista e quale ruolo svolge oggi nei confronti della libera informazione?

– Questa domanda si collega alla prece­dente. Il giornalista se viene svuotato del­la sua indipendenza e autonomia, se viene precarizzato e sottomesso a chi detiene la proprietà dei mezzi della produzione dell’informazione sarà, per definizione, una persona non libera. C’è poco da fare. Ho vissuto anni e anni nelle redazioni dal­la piccola testata alla grande: la libertà è solo una continua contrattazione che quo­tidianamente devi fare con i tuoi superiori e con il proprietario della testata rispetto alle notizie da mettere in pagina. Non è proprio un fatto drammatico, a volte devi turarti il naso per fare il cronista.

La camorra oggi

– Cos’è oggi la camorra?

– Vive d’ improvvise fiammate di cru­deltà e violenza. Ha una storia criminale impressionante e una media consolidata di circa 110 morti ammazzati all’anno. Ci sono ampi pezzi della città che sono con­trollati dalla camorra, per non parlare dei comuni dell’hinterland di frequente sciolti per infiltrazioni malavitose. Napoli è una città camorrizzata, la logica criminale ha invaso ogni ambito della città. E’ una sub­cultura dominante che ha attecchito e con­diziona ampi strati della popolazione. Questo non significa che si strizza l’occhio al boss – sia chiaro – ma il modus operandi ha contaminato il territorio. Lo Stato, le sue articolazione sul territorio dovrebbero dare forti segnali di rottura. Non è sempre così.

– Qual è la situazio­ne del siste­ma ma­fioso a Napoli? La ca­morra è in crisi?

– Tutta la criminalità organizzata made in Naples è soggetta ad una frammenta­zione. Non è un fenomeno di questi gior­ni, ormai la deriva e la polverizzazione di famiglie e clan risale a cinque anni fa. E’ in corso una lunga fase di assestamento degli equilibri interrotta dall’azione della magistratura e forze dell’ordine, ma anche dai disegni egemoni di neo gruppi senza storia. I clan non riescono più a stabilizza­re un ordine costituito, dove ci sono pochi al comando. Tutto è saltato. E’ una guerra per bande : tutti contro tutti. Tradimenti, scissioni, terze file che scalzano le prime.

E’ una corsa alla leadership camorristica finalizzata al potere per fare i soldi. Para­dossalmente più deboli sono i gruppi cri­minali e più sono aggressivi e spregiudi­cati. Predicano il controllo totale del terri­torio. Chi vince la “guerra” s’insedia. Oc­cupa case, esercizi commerciali e control­la in proprio tutte le attività illegali. Que­sti interregni durano davvero poco. L’età media dei camorristi si è molto abbassata. Prima occorreva una “stagionatura” per aspirare a far parte di un gruppo criminale di un certo livello. Adesso non è più così. Siamo in una fase di assedio delle camor­re nei territori.

La vicenda di Scampìa, la faida, i “girati”, la guerra agli scissionisti nasconde un segreto. Questi gruppuscoli che si fronteggiano sognano in grande. Usciti vincitori, assicuratisi il polmone fi­nanziario delle piazze di spaccio puntano alla conquista dei fortini dei vecchi padri­ni. A rischio il rione alto di Napoli e il co­mune di Marano, storiche roccaforti dei boss Giuseppe Polverino e Lorenzo Nu­voletta vicini a Cosa nostra.

– Cosa significa oggi fare il giornalista d’inchiesta nel territorio napoletano?

– Napoli non è una città “normale”. – Napoli non è una città “normale”. Se vuoi fare davvero il cronista devi stare sui fatti e ciò ti porta inesorabilmente a esporti.

Accade di finire in ospedale per un ag­gressione, beccarti minacce, intimidazio­ni, avvertimenti. Accade che qualcuno non gradisce il “pezzo” e comincia ad in­fastidire. Ecco, un giornalista che vuole fare davvero e seriamente questo mestiere deve mettere in conto queste difficoltà ambientali. Inutile nascondersi, questi condizionamenti esistono e il cronista non deve abituarsi, non deve considerali “im­previsti del mestiere” occorre denunciare a viso aperto. Recarsi negli uffici preposti e sporgere denuncia. Il diritto d’informare va difeso come la propria libertà da tutto e tutti.

– Un cronista minacciato è spesso vit­tima d’isolamento e solitudine. Ti sei mai trovato in questa situazione?

– E’ cambiato molto ed in meglio. Forse prima il cronista veniva isolato oppure si isolava. Adesso ci sono strutture interne alla professione che attivano una sorta di “scorta mediatica”. Parlo ad esempio di Ossigeno per l’informazione e le notizie oscurate, un osservatorio presieduto da Alberto Spampinato che tutela i cronisti e non solo. Uno strumento importantissimo che in quattro anni di vita ha fatto passi da gigante.

Ogni anno produciamo un rap­porto che poi viene consegnato al presi­dente della Repubblica. Quest’anno, come due anni fa, sono stato proprio io a parlare con il capo dello Stato di questi temi ed ho tro­vato un Giorgio Napolitano molto sensibi­le e fattivo.

– Hai mai ricevuto intimidazioni?

– A parte la vicenda di Forcella e le mi­nacce di morte che mi sono giunte anche in altre occasioni sono stato oggetto di pe­santi aggressioni e intimidazioni. In 15 anni di attività giornalistica sono stato ri­coverato al pronto soccorso ben otto vol­te. E’ un primato di cui non vado molto fiero. Proprio a luglio insieme ad altri col­leghi, sono stato ascoltato dalla commis­sione parlamentare antimafia che ha dedi­cato una serie di audizioni su questi pro­blemi per capire se ci sono spazi per ela­borare leggi a tutela dei giornalisti nell’esercizio delle proprie funzioni.

– Ci puoi raccontare come si sono concretizzate le minacce e perché, se­condo te, hanno deciso di “colpire” pro­prio te?

– Mi sono occupato del caso dell’omici­dio di Annalisa Durante, appena 14 anni e vittima innocente nel corso di una spara­toria tra camorristi a Forcella. Sulle pagi­ne di Napolipiù ho cominciato a racconta­re e svelare i meccanismi che si nasconde­vano dietro quel fatto di sangue. Merito sicuramente delle fonti che avevo a dispo­sizione, riuscivo a svelare e ricostruire vi­cende che nessuno conosceva. Un giorna­lismo con il fiato sul collo. Alla fine gli articoli hanno prodotto effetti importanti come la messa a nudo di una strategia da parte dei clan volta alla continua pressio­ne sui testimoni del processo. Le nostre inchieste hanno contribuito a far aprire al­tri filoni d’indagine. Lo stesso procuratore aggiunto Raffaele Marino del pool antica­morra acquisì tutti i miei articoli.

– Esiste una strategia per combattere la camorra senza mai ar­rendersi?

– La camorra si combatte in un modo molto semplice: ognuno deve fare il pro­prio dovere fino in fondo… Ma sono pes­simista: Napoli è troppo compromessa.

Un raccapricciante imbarbarimento

Non penso che debellare la camorra sia un orizzonte prossimo futuro. Constato un progressivo e raccapricciante imbarbari­mento e peggioramento della criminalità partenopea. Ci sono zone come alcuni co­muni del casertano che sono ormai fuori controllo. Anzi gli onesti, quelli che vo­gliono coltivare una speranza per il futu­ro, devono lasciare quelle terre. Per acce­lerare un processo di liberazione si do­vrebbero recidere i rap­porti tra camorra, politica, colletti bianchi e finanza. Non è più tollerabile che perso­naggi come Nico­la Cosentino stiano in Parlamento.

– Dirigi Ladomenicasettima­nale.it, un periodico d’informazione con inchieste, reportage, cronaca, storie, in­terviste, cultura: perché hai sentito il bisogno di fondare questo giornale?

– La Domenicasettimanale nasce, per la verità, a Siena quando ho incontrato un redattore del giornale d’inchiesta “I Sici­liani” (lo fondò Pippo Fava, ucciso dalla mafia negli anni Ottan­ta). A Napoli manca un giornale d’inchiesta che racconti le cose. Penso alla vicenda dell’imprendi­tore-prenditore Alfredo Romeo, condan­nato a due anni per corruzione e maggior partner del sin­daco Luigi De Magistris. La Domenica­settimanale ha posto il pro­blema, ha fatto le pulci, ha chiesto, ha fat­to le domande. La risposta è stata una mi­naccia di querela da parte dell’assessore al Patrimonio Tuc­cillo. Altre inchieste sono state quelle sui parlamentari inquisiti op­pure sottoproces­so; la babele targato Tea­tro San Carlo; i delitti di camorra.

Ecco, questo è il perio­dico che dirigo e con i piccoli mezzi a di­sposizione cerchia­mo di fare informazio­ne vera, diretta, sen­za in­chini al potere. La Domenicasettima­nale aderisce a “Fare rete”, un network di testa­te nazionali che hanno nei “Siciliani gio­vani” la testata ca­pofila.

E’ vero, l’editoria è in cri­si: però c’è da dire che a volte (quasi sem­pre) visti i contenuti dei giornali ti chiedi: perché dovrei comprar­lo?

www.info.oggi.it

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