Entra nel cerchio se hai paura
C’è l’assessore, lo scout, il pensionato, il cattolico, lo studente, il sindacalista, il precario, il lavoratore. Questi sono i vivi che ricordano i morti, messi in cerchio, facendo la fila con Libera per leggere al microfono i nomi della gente ammazzata dalle lupare e i kalashinkov.
E il rito va fatto tutti insieme perché a piazza Cappuccini c’è poca luce, perché lì di fronte c’è l’ufficio anagrafe dove i mafiosi Laudani di Acireale dieci anni fa si stampavano i documenti da soli; perché almeno uno fra noi ha avuto debiti con quei strozzini dei Fichera; perché in un famoso bar del centro fino agli anni novanta arrivavano le ferrari rosso sangue e si sedevano ai tavolini con i borghesi e i negozianti compiacenti e se ne sono andate via da lì solo a colpi di ergastolo.
Ma ancora non ci sentiamo al sicuro perché fra noi c’è il consigliere che compra i voti a cinquanta euro: chi glieli dà quei soldi se è magro come una resca? E se l’ex sindaco Roberto Barbagallo ricatta i fruttivendoli per le prossime elezioni; e se il carabiniere avvisa il boss che davanti casa sua ci sono le telecamere: da che parte sta la mafia, dove lo stato?
Allora stiamo in cerchio che ci sentiamo meglio, facciamo leggere ai bambini e le bambine i nomi dei morti ammazzati perché noi abbiamo paura e magari loro coi calzoncini corti capiscono che qui in Sicilia, come a Malta e in Colombia, per la verità e il lavoro le auto prendono fuoco e si muore ancora prima del tempo.