Emilio Di Giovine, boss fra le donne
Un eroe dei nostri tempi…
Nel parco di Pioltello, in provincia di Milano, tra banchetti e umidità, c’è una donna che parla seduta davanti a una piccola platea. Capelli corti e occhiali da vista. Lo sfondo è un festival sull’antimafia, il primo da queste parti, che ha per oggetto principale la ‘ndrangheta al nord.
È straordinario pensare a quante cose si possono apprendere stando per qualche ora sullo stesso posto. Da una parte si parla di pizzo, ti sposti di qualche metro e si parla di gioco d’azzardo, vai lì e parlano di beni confiscati. Poi però ti devi sedere da qualche parte. La donna con i capelli corti e gli occhiali si chiama Ombretta Ingrascì e sta presentando il suo secondo libro, Confessioni di un padre. Il padre in questione è Emilio Di Giovine, boss del clan Serraino-Di Giovine collaboratore di giustizia dal 2003. Per circa tre anni, due o tre volte all’anno, dal 2008 al 2011, Ombretta ha incontrato Di Giovine e da questi incontri è nata in seguito l’idea del libro. Si tratta di una vera e propria confessione di Emilio alla figlia.
L’azione del clan Serraino-Di Giovine si è concentrata prevalentemente in Lombardia, a partire dagli anni ’60.
Maria Serraino, madre di Emilio, proveniva da una famiglia molto importante nell’ambiente ‘ndranghetista. Si sposò con Rosario Di Giovine, trafficante di sigarette e a Milano, dove si erano trasferiti nei primi anni ’60, iniziò la parabola della famiglia Serraino-Di Giovine. Maria diventa in poco tempo la capa del clan, una vera e propria cosca che fa della ricettazione e del traffico di droga, specialmente eroina, i pilastri di un’economia virtuosa.
I capitali accumulati vengono poi reinvestiti nel traffico di armi, sempre a Milano.
È interessante notare come una donna possa aver avuto così tanto peso all’interno di un’organizzazione di questo tipo, diciamo, di “stampo maschile”. Basti osservare il ruolo della “femmina” nei tanti esempi di realtà mafiose in generale o nei film di mafia.
Una madre-comandante insomma, una figura che ha inciso particolarmente nella vita del proprio figlio Emilio, altra figura certo non priva di fascino, protagonista del libro di Ombretta. Emilio, infatti, attraverso il suo carisma, la sua competenza e, specialmente, i suoi contatti all’estero, svolgerà un ruolo decisivo per le sorti della seconda guerra di ‘ndrangheta (1985-1991), rifornendo di armi la famiglia giù in Calabria. Di Giovine, bisogna dirlo, è un boss che tecnicamente non si è mai affiliato all’organizzazione, perché lui non ha mai voluto dipendere da nessuno. Emilio, infatti, non è mai stato “iniziato”.
La sua vita è fatta di lusso, belle donne, viaggi, ville sfarzose in diverse città d’Europa, tanti vizi insomma che, a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90, rappresentavano i guadagni di un’attività intensa. Il traffico di droga misto a quello delle armi ha fatto sì che il clan Serraino-Di Giovine si affermasse con prepotenza nell’ambiente milanese ed Emilio poteva contare su una fitta rete di contatti in paesi come Marocco, Inghilterra, Olanda, Spagna e, ovviamente, Colombia.
Di Giovine ad ogni modo vuole essere uno indipendente. A lui le regole non piacciono, preferisce vivere la sua vita da uomo libero. Libero di amare tante donne, libero di spendere i suoi soldi in costosissime cene a base di aragoste e champagne, protagonista pure di un’evasione. Un boss sui generis, lontano dalla figura del tipico boss che l’immaginario collettivo ha contribuito a costruire.
D’altronde Emilio lo aveva detto ad un cronista: «Ma chi me lo fa fare? I mafiosi fanno una vita pazzesca, piena di regole: e non fare questo, e non fare quello. Io sono una testa matta, un avventuriero».
A questo proposito Ombretta, ad un certo punto, si ferma a riflettere su una parte del testo, quella cioè in cui il protagonista parla della sua infanzia. Il piccolo Di Giovine, un giorno, assistette ad una contesa e lo zio gli chiese chi fu a provocarla; così Emilio disse subito chi era stato il responsabile, ma lo zio lo punì immediatamente colpendolo con uno schiaffo e raccomandandogli che la prossima volta avrebbe fatto meglio a pensarci su due volte, prima di “parlare”. valore dell’omertà.
Il piccolo Emilio è poi cresciuto, ha messo in piedi un suo impero e ha anche avuto dei figli. Dopo l’arresto e dopo sette anni di 41/bis, tutto “si è sciolto come neve al sole” ed è arrivata la scelta di collaborare con la giustizia. Sicuramente c’è convenienza in questa decisione, manco a dirlo, ma vi è anche un elemento di svolta che è rappresentato da una donna. Sì, una donna.
D’altronde si era già parlato della particolare posizione di Maria Serraino nella vita di Emilio, ma in questo caso parliamo di una donna molto più piccola, e cioè della figlia dello stesso Emilio. La figlia che non è riuscito a conoscere, la stessa a cui è rivolta questa confessione. “I giovani si devono rendere conto”, dice Emilio.
La parabola della famiglia Serraino-Di Giovine terminerà a metà degli anni ’90, con le operazioni condotte dalla polizia Belgio 1, Belgio 2, Belgio 3 e la stessa Maria Serraino verrà condannata all’ergastolo.
Questo boss, che non faccio fatica ad immaginare seduto sul sedile di una fuoriserie a fianco di una donna bella e ingioiellata, è ora un pentito, uno che ha parlato, un traditore. In passato ha avuto tutto quello che voleva, soldi e potere, eppure “puoi avere tutto, ma alla fine resti solo”.
La storia di questa famiglia, di queste persone è anche la storia di una città e di un Paese. Storie di droga, armi e delitti, ma anche storie di uomini e di donne. Le seconde, in questo caso, hanno prevalso.