Emergenza rifiuti in Sicilia
L’involuzione del “sistema”
“La responsabilità nella gestione dei rifiuti del governo della regione è chiarissima, per inadempienze, effetti economici e disastri gestionali e ambientali”
Questo il lapidario commento del professor Aurelio Angelini davanti alla “ennesima” situazione di “emergenza” rifiuti che in queste ore impazza sui media isolani.
Angelini, docente di Sociologia dell’ambiente presso l’Università di Palermo, e curatore di diverse pubblicazioni scientifiche sul tema dell’emergenza rifiuti e sulle connessioni criminali dell’intero sistema, da anni denuncia lo stato di “non gestione” ad opera delle istituzioni regionali, di qualsiasi colore politico.
«I provvedimenti “emergenziali” che in questi giorni sono stati adottati da Crocetta – si legge in un lungo post pubblicato su un noto social -, autorizzando nel continuare il conferimento di rifiuti in discarica, in deroga alla norme di legge, e quindi, in danno alla salute e all’ambiente, avviene con la compiacenza degli organi di controllo, che rilasciano pareri favorevoli a tali provvedimenti, senza emettere una valutazione puntuale e motivata, sull’incidenza della gestione delle discariche in deroga alle norme ambientali, potevano essere evitati, compresi i gravosissimi costi economici per i cittadini.»
Dalla prima dichiarazione dello stato di emergenza, risalente al lontano 1999, fino al governo del “rivoluzionario” Crocetta cosa è stato fatto? si interroga il docente.
«Nulla! Anzi il quadro complessivo si è ulteriormente aggravato». – il suo giudizio, tranchant, senza appelli.
«È aumentato il debito, è aumentato l’inquinamento, si è aggravata la condizione igienico sanitaria in tantissimi comuni. Il caos nella gestione è generalizzato e per molti aspetti -nei tempi brevi e medi- incontrovertibile. Immutabile invece rimane destinazione finale dei rifiuti: sotterrati nelle discariche. Non a norma e in quantità sempre maggiori ma remunerate come se lo fossero.»
Impietosa anche l’analisi sull’operato di Rosario Crocetta. «Il presidente della regione nella campagna elettorale del 2012, promise all’elettorato e successivamente ottenne, l’approvazione di una norma che assegnava la gestione dei rifiuti ai sindaci. Si trattava di una proposta scellerata, diametralmente opposta alle migliori pratiche europee e nazionali e finora ha sortito l’effetto di lasciare tutto immutato per altri quattro lunghissimi anni. Scelta stupida quando onerosa, quella di dare più poteri ai sindaci per “gestire direttamente i rifiuti”. Eppure in tanti gli diedero credito e lo votarono e lo stesso fecero i parlamentari approvando una norma che ha contribuito al fallimento gestionale, i cui costi verranno pagati dai cittadini, seppur teoricamente imputabili dalla Corte dei Conti, a specifiche responsabilità politiche e gestionali, per questo caso e per tanti altri.»
Per Angelini la gestione diretta dei sindaci, attraverso i cosiddetti ARO (ambito di raccolta ottimale, ndr), «ha rappresentato un nuovo e rilevantissimo tassello della strategia di “disarticolazione sistemica” della gestione dei rifiuti. Un “incredibile e doloso immobilismo”, ci ha portati fin qui. In questi due decenni è stato impedito un cambio di rotta nella gestione dei rifiuti in Sicilia.
Cosa si sarebbe dovuto fare e non si è fatto?
«Bisognava passare “dallo svuotamento dei cassonetti in discarica” alla “raccolta differenziata”, che recupera materia, genera lavoro e impresa, togliendo la “centralità” gestionale alla discarica. Invece nulla è cambiato, tutto ancora va in discarica in condizioni malsane, con il timbro apparente della “legalità”.
Nel corso di questi vent’anni, in cui in Europa e l’Italia si è costruita la gestione dei rifiuti basata sul riciclaggio, riuso e riduzione, la Sicilia è stata e continua ad essere, un buco nero nella galassia dei rifiuti. Una galassia questa, popolata da faccendieri, mafiosi e corrotti. Un sistema organizzato in modo funzionale per “garantire” che i rifiuti vadano in discarica.»
Nell’analisi del docente palermitano il sistema rifiuti nella quasi totalità è lo stesso di vent’anni fa, con l’aggravante che in questi quattro lustri, sono stati abbancati -con un onere per i cittadini e un guadagno per i gestori di 5 miliardi – dentro e fuori dalle discariche 50 milioni di tonnellate di rifiuti, in più di 1000 siti e nessuno di questo è stato mai bonificato, nonostante centinaia di milioni sono stati spesi per questa finalità.
«Ma ciò che trovo strabiliante – continua – è il fatto che il governo della regione, continuando e perpetuando nella stessa omissione di cui erano resi responsabili i suoi predecessori, è ancora alle prese con il Ministero dell’Ambiente, per la definizione del “Piano emergenziale” del 2012, predisposto dal commissario Raffaele Lombardo. Quando con una semplice delibera di giunta e senza nessuna “intesa” con il ministero dell’ambiente, potrebbe adottare un proprio Piano di gestione.»
Il “Piano” sul banco degli imputati
Il motivo di tale defaillance e omissione, va ricercato nel fatto che «il Piano di gestione “ordinario” non può “derogare” da quanto previsto dalla legge, che ne dispone i contenuti. L’assenza di questo strumento d’indirizzo politico-gestionale e organizzativo, ha favorito il nascere il consolidarsi di un grumo di interessi affaristici e mafiosi che tiene in scacco tutto il sistema dei rifiuti, che vale un miliardo (le sole discariche “alleggeriscono” i contribuente per 300 milioni l’anno).»
L’adozione del piano regionale e tutti gli atti successivi e connessi, all’interno di un quadro giuridico e gestionale certo, che metta insieme territori, impianti, risorse, per realizzare un sistema basato sulla solidarietà territoriale, l’efficienza economica e ambientale, è stata la prima azione che tutte le regioni d’Italia hanno posto in essere nel corso del 1997 (anno del decreto Ronchi, ndr).
Le uniche che non si dotarono di un “Piano”, fondamentale per costituire un quadro economico, organizzativo e impiantistico, sono state le regioni del Sud, che fino a tre/quattro anni fa condividevano con la Sicilia, percentuali di raccolta differenziata ad una cifra.
Ma, abbandonata la lunga stagione dei commissariamenti, troppo spesso luoghi ideali di corruzione e immobilismo, oggi regioni come Sardegna e Campania, improntando la gestione sulla raccolta differenziata, attraverso un quadro organizzativo e una migliore impostazione tecnico-economica, hanno raggiunto percentuali del 50%.
La Sicilia, invece, staccata di parecchio dalle altre regioni, che fa?
«Chiede il commissariamento, che dovrebbe rappresentare un affronto per chi governa, in quanto atto d’imperio che certifica l’incapacità di chi governa, invece, con sfrontatezza, viene invocato per poter “esercitare nella legalità” azioni meretrici in deroga alle leggi, in nome e per “conto” dell’emergenza.
Questa direzione “ostinata e contraria” alla pianificazione e all’adozione delle migliori pratiche -in linea tecnica ed economica- ci ha fatto precipitare nel baratro. Cosa c’è in fondo al baratro? La buca, la discarica, accompagnate nei momenti più alti della crisi, dagli inceneritori, come promessa e ricetta da sbandierare per superare l’emergenza di cui ci si è resi responsabili.»
Ma quali conseguenze comporta la mancata approvazione del Piano rifiuti?
Per Angelini il Piano dei rifiuti regionale «deve solo individuare “le aree idonee e non idonee”, in cui è possibile realizzare gli impianti, e demandare ai soggetti territoriali, il compito di scegliere e di realizzare gli impianti necessari per assicurare l’autosufficienza gestionale».
«In sostanza – scrive – la regione non è il soggetto decisore (come surrettiziamente avviene), ma svolge un ruolo di mera programmazione. Ebbene, il punto 1, innesca l’ipotetica possibilità che per affari lucrosi, come quelli delle discariche, altri soggetti, in seguito alle mappature delle “aree idonee” si offrono per realizzare impianti di smaltimento, proponendo tariffe competitive, rompendo o riducendo i lucrosi affari dei monopolisti delle discariche. Il punto 2, toglierebbe alla regione il ruolo di arbitro per la realizzazione degli impianti, quindi, si sgretolerebbe quel aggregato di “bravi” (manzonianamente) funzionari che in questi anni hanno fatto ciò che non avrebbero potuto fare in punta di diritto.»
«Nel primo caso, si romperebbe il monopolio e nel secondo, verrebbe meno il ruolo di manovra/controllo esercitato in regione.»
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