Ego te absolvo in nomine Pilati
Sentenza Dell’Utri. Sono uscite le motivazioni. E una volta di più vien da pensare che siamo nell’era di una nuova letteratura giudiziaria. Quella delle sentenze chirurgiche. Funziona così. Il giudice non se la sente più di procedere ad assoluzioni scandalose nei confronti degli esponenti del potere. E questo è un buon segno.
Vuol dire che non ce la fa a sfidare frontalmente la storia, a piantare il suo nome nel grande libro nero dei complici della mafia o della grande corruzione che ha devastato il Paese. E quindi si ingegna di salvare insieme la propria poltrona (intesa come status di relazioni presenti e future) e la propria onorabilità davanti ai posteri.
E’ un esercizio difficile, complicato. Bisogna essere un po’ Pilato e un po’Azzeccagarbugli. Dunque prima di tutto si fa la cosa che coincide il più possibile con i desideri del potente. Oggettivamente, si intende. Non per interesse, ma per moto interno dell’animo. Il potente non viene condannato.
Attenzione: non è che venga assolto. Semplicemente non viene condannato. Nel senso che il processo va rifatto. Oppure si trascina il processo fino al momento in cui “purtroppo” scatta la prescrizione. Oppure si concedono giusto quelle attenuanti (anche le più comiche) che fanno scattare sempre Santa Prescrizione. Insomma, si evita l’effetto “assalto al giudice”, tipo quello che toccò a Caselli.
Poi però, ed ecco la botta di indipendenza, nelle motivazioni si scrive che i fatti imputati sono sostanzialmente tutti veri. Certo il reato – che so, l’associazione mafiosa – è durato fino al 4 ottobre del 1991, mentre già dal 5 ottobre, oplà, non si può più dire (è la chirurgia, bellezza…).
La sentenza così può essere usata a difesa delle proprie ragioni da tutti e due gli schieramenti: quello dell’imputato, che reclama l’innocenza del proprio beniamino; e quello avverso all’imputato, che sottolinea la veridicità dei fatti.
Il guaio è che i due schieramenti hanno una potenza di fuoco mediatica molto diversa. E quindi la tesi dell’innocenza sarà la tesi che entrerà con più facilità nelle teste degli italiani. Insomma: il giudice, chiamato a chiudere una partita, non fa che riaprirla e affidarla ai rapporti di forza sociali. Che è il contrario della giustizia. O no?