E ti senti per sempre un po’ cambiato
Facile diventare bolognesi, qua dove “non si perde neanche un bambino”
Lucio Dalla e Francesco Guccini erano gli antenati, i Mani musicali del periodo classico i cui vinili ispiravano gli strimpellatori di note, a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Vasco invece è arrivato dopo, monopolizzando gli anni ottanta, quelli del chic e dell’eccessivo, quelli contaminati dal disimpegno e dal barbarismo crauto, pater tanto dell’avanguardismo quanto dell’elettro dance tamarra.
Negli anni novanta c’è stata l’ondata del tortellini pop. Il periodo post classico ha visto l’affermarsi di cinni in vespa, di boy band debitrici di costumi e sonorità sassoni, e di hit che dagli Appennini sono celermente scese a valle, risuonando nei walkman e nelle audiocassette di tutto il suolo Italico.
Parallelamente a tutti questi periodi si sviluppava la scena underground che, badate, in tutte le sue molteplici forme non ha mai avuto un percorso separato ma invece, scevra da pregiudizi, si è spesso concessa a situazioni di amichevole promiscuità con la scena pop, intesa come popolare, e viceversa.
La Storia della musica italiana è anche la storia di una città, insomma. Bologna e l’Emilia, sono il crogiolo che spartanamente ha forgiato le schiere di artisti che, in ogni tempo, hanno lottato per mantenere alta la qualità delle canzoni nostrane. Del resto, pensandoci bene, quale se non la città italiana del comunismo-ma-di-buon-senso, della cultura e della controcultura, organizzata ma che ogni tanto vuole atteggiarsi ad anarchica, poteva essere un’incubatrice più perfetta?
Lucio sarebbe stato Dalla senza le sue passeggiate domenicali in piazza Grande, mentre cresceva stimolato dalla città in cui non si perde neanche un bambino? Oggi, attraversando i giardini di piazza Cavour, può capitare di ascoltare un paio di tizi con voce vagamente rotta, dire “ Lì abitava Lucio Dalla” indicando il lungo piano di un palazzo borghese. È passato un anno dalla sua morte, e i bolognesi quel signore tappetto, busone, ricoperto da una consistente peluria che tradiva le sue origini terrone e dotato della voce più bella che abbia cantato la lingua italiana, lo ricordano ancora con l’affetto ma soprattutto con la devozione che solo agli eroi mitologici veniva elargito.
E di lui infatti la città ne parla come di un eroe o di un dio pagano. Il grande jazzista, il grande autore, il grande cantante, il grande scopritore di talenti…Per Bologna tutte queste qualità, e la musica leggera in generale, sono cose troppo importanti per non farti elevare, soprattutto dopo la morte, allo status di semidio.
Qualcuno considererebbe tale caratteristica come un segno di una società diversamente laicizzata, io credo che la radice vada piuttosto ricercata nell’amore che Bologna nutre per la bellezza, in tutte le sue arti, in tutte le sue forme. Ed esserne fonte, tanto basta per farti ricevere dalla città rispetto e gratitudine. È questo che rende il capoluogo emiliano speciale. Perché con le sue mille identità che la rendono inconfondibile, Bologna non colpisce a prima vista. A un turista di passaggio apparirebbe l’ennesima graziosa città del centro nord, in stile gotico- romanico- rinascimentale che, come le altre della zona, ha toccato il suo splendore nell’età comunale. Bella, ma non come Firenze; caratteristica, ma non più di Siena o Perugia.
Bologna però conquista gradualmente, il tempo necessario a cogliere quell’aria di libertà, tolleranza e sperimentazione e soprattutto di abituarsi alla meravigliosa idea che stia sempre per succedere qualcosa. Perché Bologna è una città in divenire, qui tutto si crea e tutto si distrugge: mode, tendenze, ideologie. Cose che passano come molte delle persone che vi vivono. È una città in divenire, perché parte della sua gente lo è. Ogni anno, col finire dell’estate e l’inizio dell’anno accademico, si ripete da mille anni circa a questa parte il rituale della semina di nuove idee, nuove passioni, nuove personalità. È questo il suo segreto, svelato il suo miracolo. E per gente che arriva e che renderà Bologna un po’ diversa, c’è gente che parte, per sempre un po’ bolognese e un po’ cambiata, rispetto a quando era arrivata.