E Parmalat si sente un boss
L’immagine mafiosa aiuta a vendere? Secondo certi pubblicitari, si direbbe di sì. E pur di vendere…
#OGGIMISENTO un boss. E’ lo slogan della nuova campagna pubblicitaria Parmalat. L’azienda, al cui nome a più di dieci anni di distanza fa ancora eco il “crac del secolo” scoperto nel 2003, una voragine di 14 miliardi di euro e truffa a 38mila risparmiatori, ha deciso di lanciare il concorso a premi “Oggi cinema” in questo modo: “Oggi ti senti un boss? Condividi sui social la tua foto con la bottiglia e l’hashtag #OGGIMISENTO un boss: potrai vincere un anno di film on demand”.
Il tutto corredato dalla riproduzione stilizzata sull’etichetta del volto di un uomo con sigaro in bocca, occhiali scuri da sole in testa, cravatta nera e barba incolta che rimandando all’immaginario della mala italo-americana fa tanto scena del crimine. Il caso ha fatto scalpore fra alcuni consumatori ed è stato segnalato allo IAP, l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria. Commenti di dissenso sono arrivati anche da nomi noti dell’antimafia.
“E’ un messaggio offensivo”, dichiara Nando dalla Chiesa, professore di sociologia della criminalità organizzata all’Università degli studi di Milano. “Non sempre le imprese si impegnano nel contrastare culturalmente i modelli mafiosi”, afferma il senatore Franco Mirabelli (Pd) della Commissione parlamentare antimafia.
Un concorso a premi
Del resto la Parmalat è una delle aziende più importanti nella produzione di latte, la bottiglia in questione con boss e sigaro da gangster è finita sulle tavole di molte famiglie italiane e la polemica fra consumatori attenti era inevitabile. “Pubblicità ignobile”, “E’ disgustoso”, “Ti cadono le braccia se non altro”: sul web utenti non passivi commentano così le immagini della campagna a premi, diffusa sui social come chiesto dal regolamento stesso.
Ma perché la scelta del boss? “Non so darle informazioni in più a riguardo – risponde al telefono una gentile centralinista Parmalat con voce pacata – il concorso è stato lanciato il 20 gennaio ed è valido fino al 10 maggio 2015 con un montepremi di 26mila euro. I prodotti promozionati sono Latte Parmalat da un litro Parzialmente scremato, Intero e Magro con gusto. Ma sulla scelta di pubblicità e marketing non posso aiutarla e non saprei chi indicarle”.
E se per insegnanti e istituzioni è già difficile educare la cittadinanza alla legalità, lo è ancor più quando a colazione con caffelatte e biscotti è servito l’invito a paragonarsi a un boss che, in Italia, è il termine con cui si indica il capo mafia: il boss di cosa nostra, il boss della cosca, il boss della malavita.
“Una pubblicità del genere mi sembra di pessimo gusto – commenta Nando dalla Chiesa – perché uno potrebbe dire oggi mi sento un leone, potrebbe usare altri termini per dire che oggi sono in grado di spaccare le montagne. Invece qui è stato deliberatamente scelto un termine che nella nostra cultura non è il soprannome di Bruce Springsteen, ma indica il boss di cosa nostra o della ‘ndrangheta. Ed è un po’ offensivo, per una storia come quella italiana, che una grande impresa pubblicizzi l’immaginario del boss”.
Un nomignolo con cui oggi ci si riferisce, anche, per indicare personaggi furbi e dominanti, influenti in azienda e “malandrini” in politica.
Erano considerati boss i corleonesi Totò Riina e Bernardo Provenzano, è considerato boss il latitante siciliano Matteo Messina Denaro, la primula rossa di Cosa nostra; è boss a Reggio Calabria l’anziano capocosca Giuseppe Mazzagatti di Oppido Mamertina omaggiato la scorsa estate durante la tradizionale processione religiosa con l’inchino della Madonna delle Grazie davanti alla sua abitazione; era boss della Lombardia fino a luglio del 2009, prima di essere ammazzato, compare Carmelo, capo dei capi della ‘ndrangheta padana ucciso a San Vittore Olona, in provincia di Milano, dal a sua volta boss 39enne Antonino Belnome, il primo padrino di ‘ndrangheta nato, cresciuto, affiliato ed infine pentito al Nord, in quella “Brianza felix” per troppo tempo ingenuamente ritenuta immune dall’infiltrazione mafiosa. E quella bottiglia di latte è arrivata anche lì: a Corleone e Palermo, a Oppido Mamertina in provincia di Reggio Calabria, a Milano e nel resto d’Italia.
I boss veri e quelli della pubblicità
E’ soprannominato “il boss belli capelli” Eugenio Costantino della cosca Di Grillo- Mancuso condannato recentemente giorni a 16 anni di carcere per sequestro di persona, personaggio chiave dell’inchiesta che ha portato allo scioglimento per mafia del Comune di Sedriano (Milano): per gli inquirenti nel 2010 avrebbe venduto un pacchetto di 4mila voti per 200mila euro all’ex assessore regionale Domenico Zambetti (Pdl) della giunta Formigoni.
“Non basta che il parlamento e le istituzioni si impegnino a migliorare le norme per il contrasto se poi non c’è sforzo da parte di tutta la società civile e delle imprese nel contrasto dei modelli mafiosi.
“C’è poco da scherzare”
E’ evidente che proporre la figura del boss come immagine a cui aspirare è un dato negativo: affronta con superficialità e rende leggero un tema che invece per gran parte del nostro Paese significa Terra dei fuochi, usura, violenza; significa il venire meno della libertà personale e inquinamento della vita democratica. L’idea che il personaggio boss e più in generale la mafia si possano ridurre a uno scherzo è sbagliato”, dichiara Mirabelli.
Una promozione arrivata in tavola con una bottiglia di latte, quella della Parmalat, e percepita come un’offesa per coloro che la mafia nella propria famiglia l’hanno vissuta (e combattuta) e che disgusta quanti oggi si impegnano nel promuovere nelle scuole una cultura della legalità che non lasci spazio alla legittimazione di tutto ciò che possa essere anche solo vicino all’immaginario mafioso.
Scuole a cui la stessa Parmalat in occasione di Expo 2015 rivolge un concorso premi sulla nutrizione, tema legato all’esposizione universale: “Un nuovo concorso a premi dedicato alla riscoperta e alla valorizzazione dei prodotti tipici del nostro paese. Per partecipare scegliete un prodotto locale tipico della vostra zona e cucinate questo ingrediente in modo innovativo, unendolo al latte. Partecipate anche voi insegnanti con le vostre classi e stupite la giuria con piatti creativi e originali, in grado di trasmettere i sapori e le tradizioni del vostro territorio. Avete tempo fino al 15 aprile 2015!”, si legge sul sito scuole.parmalat.it. Latte in bottiglia, quelle da un litro parzialmente scremato, intero e magro con gusto, le stesse del #OGGIMISENTO un boss.
Non è il primo caso di aziende legate all’alimentazione o alla ristorazione che utilizzano nomi e termini che rimandano alla caricatura dell’italiano tutto pizza e mandolino. E mafia.
“La mafia se sienta a mesa”
Un uso deviato dei termini che in alcuni casi è la fortuna di locali e ristoranti anche all’estero: di pizzerie “Corleone”, “Don Corleone” e “Al Capone” la Polonia è piena, con pizze e insalate chiamate “Soprano” e “Don Carlo”.
Il caso spagnolo è ben analizzato da Mauro Fossati, studente di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, che ai ristoranti iberici ha dedicato la sua tesi di laurea magistrale in comunicazione pubblica e d’impresa: relatore il professore Nando dalla Chiesa, ne “La mafia se sienta a mesa”.
Legittimazione subliminale
Fossati, che attualmente lavora a Dublino come Account Executive per un’azienda americana, studia la legittimazione subliminale dell’organizzazione criminale attraverso la ristorazione.
Analizza i brand legati all’immaginario italiano legato allo stereotipo mafioso, dall’iconografia interna ed esterna dei locali (logo aziendale, arredamento che riprende la scenografia del film Il padrino, quadri di boss italo-americani appesi alle pareti) al menù proposto a tavola: le materie prime arrivano dall’Italia e con dieci o al massimo tredici euro si mangia la pizza “Margherita La Mafia” o la pasta “Don Vito”.
Il vino è naturalmente il ‘Sangue di Giuda’, non perché sia più buono di un Tocai friulano o di un Gutturnio piacentino ma perché il nome fa scena, stimolando così l’immaginario del consumatore.
Una strategia di marketing
Lo stesso titolo della tesi “La mafia se sienta a mesa” è ripreso da una catena di ristoranti presenti in tutta la Spagna. Come se mafia, coppola e lupara fossero indice di convivialità e cibo buono. Il tutto all’interno di una precisa strategia comunicativa e di marketing.
“La ringraziamo per averci scritto – risponde lo staff dello IAP, l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria, alla segnalazione della pubblicità Parmalat – la nostra procedura prevede che le segnalazioni relative a messaggi in diffusione siano vagliate dal Comitato di Controllo, al quale il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale affida il compito di intervenire a tutela degli interessi dei cittadini-consumatori. Al termine dell’istruttoria, il Comitato delibera le iniziative da assumere. Provvederemo senz’altro a sottoporre nel più breve tempo possibile la sua segnalazione al Comitato e La terremo informata sull’esito del caso”.
I consumatori attendono risposta, aspettando il giorno in cui qualche grande marchio italiano avrà il coraggio di lanciare l’hashtag #OGGINONMISENTO un boss.