domenica, Novembre 24, 2024
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E ora l’attacco a Ingroia

Viterbo: la Procura lo indaga per le sue di­chiarazioni al processo

La Procura di Viterbo iscrive nel regi­stro degli indagati l’ex pm per alcune dichiarazioni rilasciate durante l’udien­za preliminare al processo per la morte del giovane urologo di Barcellona P.G.

Palermo. “Mostruosità giuridica”. Non usa mezzi termini l’avvocato della fami­glia Manca, Antonio Ingroia (che lavora in team col collega Fabio Repici). A Viter­bo il pm Renzo Petroselli lo accusa di aver in­colpato ingiustamente il dirigente della Squadra Mobile di Viterbo, Salvatore Gava, di falso ideologico per la sua infor­mativa relativa alla morte di Attilio Man­ca, trovato morto nella sua casa di Vi­terbo nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2004.

Le accuse di “depistaggio” con costru­zione di prove false secondo Petro­selli sono state pronunciate nell’udienza preli­minare del 3 febbraio scor­so, unica impu­tata la ro­mana Monica Mi­leti, accusata di aver ce­duto la dose di eroina che ha cau­sato la morte di Manca. Ingroia sottolinea l’evi­dente anomalia dell’avviso di garan­zia: è la prima volta che un avvocato viene in­criminato per ca­lunnia per ciò che ha di­chiarato in udien­za. Bisogna essere “anal­fabeti del diritto” – ribadisce – per non co­noscere che l’art. 598 del codice pe­nale prevede una specifi­ca causa di non punibi­lità per le offese contenute negli scritti e discorsi che le parti, pm e di­fensori, rendo­no davanti all’Autorità giu­diziaria..

Il 9 gennaio il giornalista di Chi l’ha vi­sto Paolo Fattori aveva confrontato il ver­bale della Mobile di Viterbo, gui­data all’epo­ca da Salvatore Gava, coi re­gistri dell’ospedale “Belcolle” dove Atti­lio Man­ca lavorava. Dal confronto emerge che non era in ospedale nei giorni del ri­covero di Bernardo Provenzano a Marsi­glia.

Date in contrasto

Un fatto incontrovertibile che si scon­trava – e si scontra – con la relazione fir­mata dallo stesso Gava nella quale veniva scritto invece che l’urologo siciliano era di turno all’ospedale nei giorni in cui il boss si trovava in Francia per sottoposti ad un’operazione alla prostata. I giorni in cui è segnata la mancata presenza del giovane urologo sono quelli tra il 20 e il 23 luglio 2003, poi dal 25 al 31 luglio 2003 e infine nei giorni del 25, 26 e 31 ottobre 2003 (il 30 se ne era andato via intorno alle 15:30, prima quindi che terminasse il suo turno).

Il dott. Manca era quindi rientrato in ser­vizio la mattina del 1° novembre. E pro­prio i giorni in cui l’urologo era assente dal lavoro coincidevano con il pe­riodo nel quale Provenzano (tra esami pre­paratori, intervento alla prostata e succes­sivi esami di controllo) si trovava in Fran­cia.

I protagonisti

Salvatore Gava è lo stesso pubblico uffi­ciale già condannato a 3 anni, in via defi­nitiva, per un falso verbale all’epoca delle violenze alla scuola Diaz. La sua informa­tiva sul caso Manca è stata quindi smentita dal confronto con i registri dell’ospedale dove lavorava Attilio Manca. Perché mai in quella relazione si leggeva che la pre­senza di Attilio Manca sul luogo di lavoro era stata appresa “in via informale” quan­do “formalmente” i fogli dell’ospedale di­cevano tutto il contrario? Dove sono quin­di i presupposti di calunnia da parte di An­tonio Ingroia? Il pm Petroselli è lo stesso magistrato che, dopo svariate richieste di archiviazione sul caso specifico, ha chie­sto e ottenuto l’esclusione della famiglia Manca, quale parte civile, dal processo che si sta celebrando a Viterbo nei con­fronti di Monica Mileti. Per motivare la sua decisione Petroselli ha affermato che i genitori e il fratello di Attilio non sono sta­ti danneggiati dalla morte del loro familia­re. Probabilmente basterebbero queste sue poche parole per qualificare la caratura morale del magistrato.

Strane manovre

Quello che vuole essere fatto passare come un suicidio per droga nasconde in realtà un bieco tentativo di occultare qual­cosa di molto più terribile. Resta da cri­stallizzare il ruolo di Cosa Nostra all’inter­no di quello che a tutti gli effetti appare come un omicidio. Così come il ruolo di determinati apparati investigativi. Durante la conferenza stampa lo stesso Ingroia an­nuncia di voler denunciare il pm Petroselli al Csm o anche per via penale. Per l’ex pm è del tutto evidente che non si voglia arri­vare alla verità sul caso di Attilio Manca. E questo perché secondo la ricostruzione del legale della famiglia Manca quella strana morte è collegata alla trattativa Stato-mafia in quanto la copertura della la­titanza di Provenzano – garante di quel patto – rientrava in determinati accordi. Attilio Manca sarebbe stato coinvolto in­consapevolmente nella cura dell’anziano boss e poi, una volta resosi conto della sua reale identità, sarebbe stato eliminato at­traverso la più classica delle manovre fir­mata dalla mafia in sinergia con apparati “deviati”. Ingroia traccia quindi un filo che unisce i misteri di questo omicidio con l’isolamento del pm Nino Di Matteo. “Non è un caso – ha ribadito l’ex pm – quello che si sta verificando per la nomina del nuovo procuratore di Palermo”. Per In­groia il rischio dell’arrivo di un procurato­re “normalizzatore” ostile al processo sulla trattativa che isoli ulteriormente Di Matteo è tutt’altro che peregrino. L’ex magistrato si appella quindi alla Presidente della Commissione antimafia, Rosy Bindi, che poche settimane fa ha definito il caso Manca “un omicidio di mafia”, affinchè mantenga la promessa di istituire al più presto un’apposita commissione a tema. “Chiedo di essere sentito dal procuratore facente funzione Leonardo Agueci – con­clude l’ex magistrato – in quanto ritengo che ci siano le condizioni per aprire un fa­scicolo a Palermo sulla morte di Attilio Manca in quanto questo fatto è collegato alla latitanza di Provenzano e alle indagini sulla trattativa”.

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