È nato TeleJunior: il canale dei giovani giornalisti
Canale due-sette-cinque, Telejunior. Che cos’è? Una strana simbiosi di scuola, circo e macchina acchiappamafiosi
“Chi è stato l’ultimo a farsi la doccia?”. “Io Nico”. “Miché c’è un lago, prendi lo straccio và…”- Una grande camerata, una decina di letti sfatti, valigie aperte, giornali per terra, giornali nella vasca da bagno, giornali ovunque.
Sono le otto, non fa ancora troppo caldo: un gruppo di ragazzi a Partinico si prepara per una giornata di lavoro. C’è odore di caffè appena fatto, la signora del piano di sopra cala il cesto dal balcone, dentro la caffettiera bollente: “Ragazzi giornalistiiiii vi dispiace se vi preparo la colazione?”.“
– No, Signò. Non ci dispiace…”
Alle nove tutti davanti al bar della piazza principale, la piazza del Giorno della Civetta, proprio quella dove un tempo c’era un antico palazzo poi demolito grazie alla collusione tra la mafia e la politica di un tempo. Un altro caffè e si parte per andare a fare i servizi.
C’è chi va in redazione, chi compra i giornali, chi si mette in macchina e arriva fino a Trappeto per un’intervista.
Si impara velocemente qui a Partinico, i ragazzi di Telejunior lo sanno. È la fretta di fare che ti toglie la paura, quella paura strana di non essere all’altezza di un mestiere tanto importante. C’è così tanto da fare che il tempo per pensare arriva solo di notte, col fresco.
Capita di ritrovarsi prima di andare a dormire su una panchina fuori dalla casa che ci ospita, ci si scambia i pensieri, le motivazioni che ci hanno portato qui. C’è chi è arrivato da Bologna, chi da Roma, qualcun altro da Bergamo, Ancona, Parma, Perugia.
Abbiamo preso un aereo e siamo venuti qui a fare “i giornalisti ragazzini”. Ognuno ci crede a modo suo, ma quell’aereo l’abbiamo preso tutti e tanti ancora lo prenderanno.
Ogni giorno qualcuno riparte e qualcun altro arriva: è un mosaico di valigie diverse, una mescolanza di dialetti. Pino parla veloce, un siciliano stretto stretto, la faccia di Claudia – arrivata da Bergamo – è come quella di un francese in Cina.
Fabio, siciliano, parte con la traduzione simultanea. “Ma non ci metti la stessa enfasi”: lo rimprovera Pino. “Ma le traduzioni sono così, come il navigatore: svoltare a destra. Ti pare ca ci metta enfasi?”
La magia è questa, basta poco e alla fine ci capiamo tutti. A TeleJunior si parla una lingua sola e si ride tanto. Si lavora molto e ci si dimentica di essere diversi.
L’idea è un po’ quella di costruire una casa: una casa sempre piena di gente che ci viene a trovare, si alza le maniche e si mette a raccontare insieme a noi.
Un giorno il nostro direttore ci disse che un giornale per essere un giornale vero a tutti gli effetti deve avere “l’atmosfera”, insomma, deve essere come una persona, con i suoi odori, con le sue mancanze, con i suoi spigoli.
TeleJunior non è un giornale, o meglio non solo, è un canale tv che nasce con l’unione di due forze antiche dell’antimafia: TeleJato e i Siciliani Giovani. Dai suoi genitori ha preso in eredità la forza e la totale incapacità a rassegnarsi. Non ce la si può proprio fare: abbiamo troppa voglia di ritagliare un pezzo di mondo colorato in mezzo al grigio che c’è.
Una piccola grande rivoluzione
Forse è proprio questa l’anima di Telejunior: immaginate un muro bianco e tanti ragazzi con dei secchi di vernice. I colori sono diversi, fra loro con tutta probabilità non c’entrano niente, ma c’è qualcosa nel loro modo di stare insieme su quel muro bianco, che li rende una specie di opera d’arte. Tipo una di quelle opere d’arte contemporanea che se tenti di spiegarle hai perso in partenza.
Le capisci solo con la pancia.
Quella di TeleJunior è una piccola grande rivoluzione nel panorama giornalistico nazionale. In Italia sembra regni l’idea che “diventare giornalisti” sia un lusso di pochi. Specie di quelli che possono permettersi di pagare una delle scuole di giornalismo convenzionate con l’Ordine.
Molti giovani sono già scoraggiati in partenza: vedono davanti a loro anni di precariato – che va ben al di là della con-sueta gavetta – tinti a dovere con l’avarizia di chi dovrebbe insegnare e crede invece che “darsi” significhi mettere in discussione la propria autorità.
È facile demordere e il risultato è uno solo: il Bel Paese si ritrova con pochi giornalisti giovani, tutti formati nelle scuole avallate dall’Ordine, giovani a cui manca solo il codice a barre sulla fronte.
Non v’è dubbio che vi saranno delle eccezioni, ma l’intento è evidente: formare automi, tecnicamente super preparati, ma con gli occhi chiusi sulle strade che percorrono. Un giornalista con gli occhi chiusi non vale niente.
TeleJunior si pone quest’obiettivo: diventare col tempo una scuola di giornalismo, che formi esseri umani capaci di senso critico, che insegni la tecnica ma anche il coraggio di un mestiere a cui il tempo e gli eventi stanno togliendo l’allegria. Pino Maniaci, direttore di TeleJato, ci crede tanto nei suoi ragazzi: “TeleJunior, il giornalismo sul territorio che diventa una scuola per i giovani, è sempre stato il sogno che volevo vedere realizzarsi prima di andare in pensione. Sta succedendo davvero”.
Mancano pochi giorni e i tecnici permetteranno l’accensione del canale 275. Il nostro canale.
In un pomeriggio di luglio, quattro ragazze stanno sdraiate sul letto; sono appena tornate dal mare. È domenica, ci si è permessi il lusso di una mattinata in spiaggia. Fuori ci sono 40 gradi.
Stanno preparando le domande da fare a Domenico Gozzo, il procuratore aggiunto di Caltanissetta. Si parla di antimafia e crema solare, di trattativa e fidanzati lontani.
“Ragazze presto, tra cinque minuti tutte pronte, bisogna essere in redazione”. Fatidica telefonata che arriva puntuale nei momenti di relax.
Si entra in bagno in due alla volta, e mentre una si lava i denti e un’altra cerca le scarpe sotto al letto, si tenta di fare un riepilogo delle domande per l’intervista. “Ma io c’ho paura, e se mi sbaglio a fare la domanda?” fa Francesca, emozionata già due ore prima dell’incontro col magistrato. “Francè respira, respira profondo che sei brava”.
Respiriamo profondo e cerchiamo di essere bravi.
Tuta bedda, nu’ ti facire problema – te lo dico nel mio dialetto, il leccese: ci nenzi faci, nenzi sbagghia. Le domande “giuste” sono formulate solo dai giornalisti automi, quelli con la mordacchia, che intervistano ma senza mettere in difficoltà l’intervistato – in genere un personaggio “importante”, l’uomo politico, il calciatore o l’oca giuliva di turno; perciò concordano in anticipo le domande. Gli altri, i giornalisti veri, sbagliano perch’è nella natura degli esseri umani sbagliare. Se il procuratore è umano anch’egli, capirà: in caso contrario, capirai soltanto tu. In ogni caso, le cose andranno per il meglio.
Stefano