Due partiti privi di coraggio
I giudici fanno giustizia. E i politici? Fanno pastetta…
È incredibile che anche dopo la condanna definitiva di Silvio Berlusconi a quattro anni di reclusione la risposta del centrodestra sia stata ancora quella di stringersi intorno a lui, ricorrendo alle consuente iniziative (piccoli raduni sotto il balcone di via del Plebiscito o davanti al Tribunale di Milano) e alle stesse parole (“una sentenza politica”, “la magistratura rossa vuole condannare dieci milioni di elettori”) con cui l’ha difeso in tutti questi anni.
Incredibile non tanto perché il gruppo dirigente del Pdl e i grandi “pensatori” dei quotidiani che lo sostengono dimostra un’obbedienza la più cieca che si possa immaginare, quanto perché il momento sarebbe stato propizio per cominciare a smarcarsi e dimostrare lungimiranza politica.
La parabola politica di Berlusconi è terminata e mai come questo momento, mentre il centrosinistra è spaccato al punto che si parla addirittura di un nuovo partito renziano, i dirigenti del Pdl avrebbero l’occasione per la costruzione di un soggetto politico che affondi le radici, non solo a parole, nella tradizione liberale e prefascista.
Ma le cose non vanno in questa direzione. Mentre il treno giunge al suo capolinea, la proposta più acclamata è ancora una volta quella del boss, una proposta di cartapesta, come i carri di Viareggio: riproponiamo Forza Italia. Come se bastasse per ripartire e cancellare anche le sentenze della Cassazione.
È vero che il Pd non si è spinto più in là di un timido “le sentenze vanno applicate” per non mettere in difficoltà Letta, ma sta al Pdl decidere della propria leadership nel momento in cui la presenza di un Berlusconi condannato non è più soltanto imbarazzante, ma un indiscutibile ostacolo: più il centrodestra lo tiene in vita con le macchine artificiali, più si allontana e si fa complesso il momento del ricambio.
Sono forse tutti venduti, tutti ricattati, tutti conigli? È molto probabile. Nessuno, neppure coloro che hanno più esperienza per la passata militanza nel Psi o nella Dc ha immaginato di dire: “Dobbiamo voltare pagina, dobbiamo pensare al dopo”.
Al contrario, il gruppo dirigente del Pdl vuole morire con lui, tanto è vero che si parla di dimissioni dei ministri in caso di un sì del Senato alla decadenza da senatore del “boss” di Arcore, come ha detto lo “statista” Schifani. Per non dire della pasdaran “vuittoniana”, Daniela Santanché, che ha sfoderato un paradosso altamente comico: “Escludo che i nostri ministri vorranno sedersi allo stesso tavolo con chi ha deciso che Berlusconi deve stare in cella”.
Ma di questione morale, nel Pd, nessuno ha osato parlare, nessuno si è chiesto se un’alleanza di governo con un partito guidato con piglio assolutista da un criminale non apra un problema, prima che di opportunità politica, squisitamente etico. La qual cosa dimostra che, nel corso del ventennio berlusconiano, gli italiani sono stati sottoposti a una vera e propria mutazione antropologica, mentre D’Alema & company non opponevano la minima resistenza. Al contrario.
Ora il gioco è fatto, la malattia è più forte di qualunque farmaco esistente. Uno dei primi compiti della politica del futuro dovrà essere quello di trovare un antidoto al virus. Oggi, come ha detto lo psichiatra Andreoli ad Andrea Purgatori, “l’Italia è un malato di mente grave, da ricovero”.