Due giorni nella storia di questa città
Milano ricorderà il 10 (e l’11) settembre 2012 come si ricorda qualcosa di estremo e ambivalente: la viva riscossa contro le fiamme mafiose, da un lato, e la nera insicurezza color polvere da sparo dall’altro.
La storia di Loreno Tetti ci racconta che aveva ragione Falcone quando diceva che “la mafia è un fenomeno umano”. Cosa c’è di più umano della codardia mafiosa che dà fuoco all’autonegozio di chi non vuole stare alle regole del suo gioco violento? E cosa c’è di più umano del coraggio di chi a quelle imposizioni si sottrae, rivendicando il diritto al libero esercizio della propria professione, il diritto ad una vita felice, rispettosa e rispettata?
Dalla mattina di lunedì 10 settembre, Loreno ha ripreso la sua quotidianità, è tornato in via Celoria 16, dagli studenti di Città Studi; a “tenerci compagnia”, ha dolcemente sottolineato uno studente di Fisica durante la trasmissione “L’Infedele” a cui Loreno è stato invitato, supportato da molti universitari e alcuni rappresentanti di associazioni milanesi.
E molti sono stati i cittadini milanesi che, con la loro presenza al presidio di lunedì mattina in via Celoria, hanno teso la mano a Loreno: gli hanno assicurato che non è solo nella sua dignitosa battaglia contro i Flachi (il clan di ‘ndrangheta colpevole di aver dato alle fiamme il suo furgoncino, la notte tra il 17 e il 18 luglio); gli hanno assicurato che non è solo a combattere l’omertà di quei suoi colleghi ‘paninari’ che, anziché confermare, hanno ritrattato le proprie dichiarazioni e, non contenti, hanno preso a dargli dell’ “infame” perché non doveva denunciare; doveva invece starsene zitto, come hanno fatto loro, nascondendosi dietro alla memoria corta o ad improbabili scuse.
“Io non ho paura”
“Io non ho paura”, ci tiene a ribadire in più occasioni Loreno, con quell’aria da gigante buono. Ma pretende, il sig. Tetti, che il Comune lo protegga: “non hanno installato nemmeno una telecamera nella via dove lavoro”. Loreno ora attende risposte; la Giunta, che comunque ha già fatto molto indicendo sua sponte il presidio di sostegno, gliele dia.
Ma c’è altro a Milano che aspetta di essere chiarito: la sparatoria di lunedì sera in via Muratori, zona Porta Romana. Massimiliano Spelta, un commerciante italiano di 43 anni, incensurato, e la sua compagna, Carolina Pajano, 22enne di origini dominicane, sono stati chirurgicamente freddati in mezzo alla strada.
Dalle indagini emergerebbe che la donna sia stata il primo bersaglio degli assassini; inoltre, nella loro casa milanese di via Mecenate sono stati ritrovati 47 grammi di cocaina purissima, il che ha aperto agli inquirenti una nuova pista investigativa. Fortunatamente, all’esecuzione dei suoi genitori è sopravvissuta, illesa, la loro bambina di appena un anno e mezzo, che ora è stata affidata alla zia paterna.
Ventiquattro ore dopo, martedì 11 settembre, via Giacosa, nei pressi di via Padova, è stata teatro di un’altra sparatoria. Diversi colpi di arma da fuoco sono stati esplosi da un’auto in direzione di una seconda vettura, non provocando comunque nessuna vittima. Non lontano, in viale Monza, il 31 luglio 2011 un incendio di natura dolosa ha danneggiato un locale, il “Cappados”, chiuso tempo prima dalla Questura in seguito ad una sparatoria che aveva ferito un cittadino albanese con precedenti.
Scorre il sangue nella ricca Milano. E si spargono, copiose, la polvere da sparo e la benzina . Se si pensa che la sparatoriaè avvenuta in una via adiacente al luogo in cui, solo tre giorni prima, era stato dato alle fiamme un bar, la sensazione che nella nostra città qualcosa, davvero, non vada, ti assale forte; acre, più dell’odore del sangue, più del puzzo di benzina.