Dove finisce la mafia, dove comincia la Lega
La finanza occulta del cassiere leghista
La bufera che si è scatenata nella Lega Nord a seguito delle indagini condotte dai magistrati di Reggio Calabria, di Napoli e di Milano – cui si aggiungono mentre scrivo tre filoni anche a Reggio Emilia, Bologna e Genova – dice due cose importanti sul tema del rapporto tra mafia e politica nel nostro paese. Prima cosa, se non era abbastanza chiaro, la Lega c’è dentro fino al collo.
Ora si può dire, senza timore di smentita, dati i chiari collegamenti tra uomini della ‘ndrangheta ed esponenti del partito di Umberto Bossi. Secondo – segno di un cambiamento ormai consolidato nei rapporti tra le due forme di potere, mafia e partiti – non si tratta più solo di un legame basato sullo scambio (tu mi procuri i voti necessari alla mia elezione, io ti procuro appalti, prebende e ti garantisco impunità), ma di una relazione saldata dal comune interesse a occultare e riciclare capitali.
Per essere chiari, stando a quanto sta emergendo, la scandalosa quantità e qualità (denaro facilmente reimpiegabile) di finanziamento pubblico ha creato nei partiti la necessità di gestire enormi capitali. C’è chi, come nel caso Lusi, si è affidato “ingenuamente” – volendo credere al leader dell’ex Margherita Francesco Rutelli – a tesorieri ladroni che hanno intascato milioni di euro senza colpo ferire. C’è chi, come emerge dall’inchiesta del pm reggino Giuseppe Lombardo sulle cointeressenze tra Lega e ‘ndrangheta, si sarebbe affidato ai broker della criminalità organizzata per gestire il rimborso elettorale. Probabilmente assieme alla criminalità organizzata.
L’inchiesta parte a Reggio Calabria nel 2009, la Dda indaga sulle operazioni di riciclaggio del clan reggino dei De Stefano, uno dei più potenti, “vincitore” di quella guerra di mafia che nei primi anni novanta ha messo a terra quasi mille morti. La testa di ponte al Nord è il boss Paolo Martino. I capitali della ‘ndrangheta sono ingentissimi: «Sappiamo bene che il giro di affari delle mafie ammonta nel 2011 a 138 miliardi di euro – ha dichiarato a commento dell’inchiesta il pm Lombardo – è chiaro che quei proventi devono essere in qualche modo ripuliti per essere ricollocati nel mercato».
Una parte di questi denari è “ricollocata” grazie a Romolo Girardelli, finito sotto inchiesta nel 2002 con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso assieme al boss Martino per «aver messo a disposizione dei clan le sue competenze finalizzate alla monetizzazione di “strumenti finanziari atipici” di illecita provenienza». Un procacciatore di affari della famiglia De Stefano, insomma, per la quale avrebbe anche espatriato capitali.
Lo stesso lavoro (Tanzania e Cipro) Romolo Girardelli avrebbe fatto per la Lega, il cui tesoriere Francesco Belsito – uomo intorno al quale gira l’inchiesta sulla Lega – è da almeno un decennio in affari col figlio di Girardelli, Alex, assieme al quale ha dato vita ad una società immobiliare a Genova.
Nel giro di finanza occulta del cassiere leghista, ci sarebbero anche l’imprenditore veneto Sergio Bonet e l’avvocato Bruno Mafrici, nominato consulente della commissione parlamentare per la Semplificazione normativa proprio grazie a Belsito, e fotografato dai Ros nel centro di Milano assieme a un imprenditore calabrese e al già citato boss ‘ndranghetista Paolo Martino.
Ai primi di aprile è ancora presto per stabilire con certezza se la chiara vicinanza tra uomini della Lega e affaristi mafiosi abbia portato a una comune gestione di capitali, provenienti dal narcotraffico da parte ‘ndranghetista, e dai rimborsi elettorali da parte leghista. Ma le recenti perquisizioni, una delle quali ha riguardato la segreteria nazionale della Lega in via Bellerio, hanno messo a disposizione dei magistrati antimafia una gran mole di reperti che li fanno essere fiduciosi su un esito dell’inchiesta in questa direzione.
In questo caso, il cambiamento dei rapporti tra mafia e partiti che emergerebbe sarebbe di grande portata, frutto di un mutamento più generale intervenuto in ambito economico e politico. Oltre che la prova definitiva di una trasformazione del ruolo dei partiti all’interno della democrazia (da rappresentante di interessi di una parte di cittadini a holding politica-affaristico-finanziaria), il caso Lega aprirebbe nuove prospettive di interpretazione sulla natura del sistema mafioso, da sempre costruito sui comuni interessi di killer, imprenditori e politici, ma che oggi si presenterebbe più strettamente intrecciato, oltre che da ragioni di scambio elettorale, soprattutto da criminali operazioni finanziarie.