Donne di ‘ndrangheta Boss nell’ombra
Nel villone in stile Scarface del boss latitante Michele Bellocco, arrestato a novembre dello scorso anno nell’ambito dell’inchiesta “Blue Call”sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nei call center milanesi, sono stati rivenuti dei dipinti di donne che imbracciano dei mitra. Probabilmente un omaggio alle donne d’onore della ‘ndrangheta.
La ‘ndrangheta è l’unica mafia ad avere un carica sociale riservata alle donne, “la sorella di omertà”. E’prevista un’affiliazione al femminile che diventa automatica nel caso in cui si nasca in una famiglia ‘ndranghetista. Altrimenti è necessario dimostrare la propria affidabilità per potervi accedere. Senza peraltro aspirare a far carriera.
La donna di solito coadiuva l’uomo nelle attività illecite, supporta l’organizzazione e apparentemente non svolge funzioni di comando o comunque fondamentali alla vita della cosca. Ma agisce nell’ombra. Conserva la memoria. Educa i figli alla cultura mafiosa e tiene in vita la sua ‘ndrina tutelandone l’onore. E’la donna che alimenta la vendetta serbando nel cuore i morti e pretendendo che il sangue venga lavato con altro sangue.
Gli elementi emersi dall’operazione “Blue Call”, condotta dalla squadra mobile di Reggio Calabria e coordinata dalla Dda reggina in collegamento con le procure di Palmi, Milano e con la procura federale svizzera, confermano che il ruolo della donna nella ‘ndrangheta non è affatto marginale e soprattutto che le donne sono spietate quanto i loro uomini e non fanno sconti a nessuno.
In un’intercettazione telefonica, Maria Teresa D’Agostino, madre di Umberto Bellocco, rampollo della potente cosca di Rosarno al centro dell’indagine, discute col figlio di una probabile faida che vedrebbe contrapposta la loro famiglia a quella dei Pesce, storici alleati della cosca. Sono stati uccisi due affiliati al clan e i sospetti ricadono sul clan amico. Si paventa l’inizio di una faida, tanto più che il giovane Bellocco, piccato, afferma: ”Rosarno è nostro e deve essere per sempre nostro sennò non è di nessuno”. La madre replica:“Una volta che partiamo, partiamo tutti, una volta che siamo inguaiati, ci inguaiamo tutti…dopo, o loro o noi, vediamo chi vince la guerra, dopo… pure ai minorenni… Pari pari, a chi ha colpa e a chi non ha colpa, non mi interessa niente…e femmine”.
Ad innescare la miccia della vendetta è la donna che insinua nel figlio propositi funesti. Lei l’ha educato e l’ha cresciuto secondo i dettami della mafia. E sarà sempre lei, la madre, a decretare la sua sposa. Nella ‘ndrangheta, spesso, i matrimoni vengono utilizzati per stipulare delle alleanze più forti o per ricomporre delle faide. Ma non sempre i figli recepiscono l’insegnamento delle proprie madri e accade che, soprattutto se crescono in luoghi diversi dalla terra d’origine, si emancipino e vogliano addirittura rispettare le leggi.
Saveria Strangio, appartenente ad una delle più antiche famiglie di ‘ndrangheta di San Luca, rimproverò i suoi figli, milanesi d’adozione, perché avevano osato pagare le bollette. “Ma siete pazzi? Come sarebbe a dire che avete pagato le bollette? Io non vi ho educato per farvi spendere soldi per l’acqua e la luce”. I ragazzi provarono a spiegare alla madre che non vivevano più in Calabria ma in Lombardia e che le bollette andavano pagate, ma la donna non voleva sentir ragioni
Le microspie sparse in casa di uno dei due figli seguitarono a raccogliere l’indignazione di Saveria. Pagare le bollette o le tasse, dare soldi allo stato, ad enti che erogano dei servizi, è impensabile in una logica mafiosa. La ribellione poi non è tollerata. Le donne lo sanno perché lo imparano sin da piccole. Loro non appartengono a loro stesse bensì alla famiglia. E’la ‘ndrina che governa le loro vite e per i figli valgono le stesse regole.
Nessuno può liberarsi dai tentacoli della ‘ndrangheta. La famiglia controlla persino i matrimoni. Merce di scambio, istituzione di potere, da contrarre solo ed esclusivamente con i cognomi amici per mera utilità. Una donna di ‘ndrangheta, ormai radicata al nord, confida ad un’altra di aver ostacolato il rapporto sentimentale del proprio figlio con una ragazza del Nord. Sacrilegio.
Le unioni le stabilisce la ‘ndrina. E se, come in questo caso, il boss-padre in carcere ha dato ordine a sua moglie che il figlio dovrà sposare un determinata fanciulla di buona famiglia mafiosa, l’altro matrimonio non s’ha da fare.
Le donne entrano con facilità in carcere, prendono ordini dai loro compagni e mandano avanti gli affari nei periodi di detenzione dei boss. Le donne di ‘ndrangheta sono al corrente dei traffici e dei business del clan e partecipano in prima persona alle attività. Lo dimostrano le conversazioni telematiche delle sorelle di Giovanni Strangio, condannato in primo grado all’ergastolo con l’accusa di essere stato l’organizzatore e esecutore materiale della strage di Duisburg (15 agosto 2007).
Teresa e Angela avevano creato dei nickname per comunicare sul web. Parlavano di armi, droga e facevano spesso riferimento all’episodio di Duisburg e al coinvolgimento del cognato Giuseppe Nirta, altro presunto autore della strage.
Dagli atti dell’indagine Fehida III, in seguito alla quale le due sono finite in carcere insieme con l’altra sorella, Aurelia Strangio, moglie di Nirta, apprendiamo che le due signore nel 2008 si trovavano nel sobborgo di Amsterdam, dove poi verranno acciuffati sia Giuseppe Nirta che Giovanni Strangio. Teresa, moglie Franco Romeo finito in manette nella capitale olandese insieme con i cognati, risulta essere la reale proprietaria di due pizzerie a Kaarst, intestate al fratello.
La ‘ndrangheta che investe il denaro sporco a volte indossa la gonna. Le donne di ‘ndrangheta finiscono in carcere e sanno, se vogliono, come uscirne. Sono maestre nel depistare, fanno attenzione a cosa dicono in casa o al telefono. Sanno di essere ascoltate e inventano linguaggi cifrati. Gli inquirenti, indagando sul narcotraffico di alcuni clan ‘ndranghetisti nel 2007, si erano convinti che appartenesse ad una donna l’idea di dare dei nomi femminili ai paesi destinatari dello stupefacente.
Le donne di ‘ndrangheta non sono affatto delle ingenue o delle sprovvedute. Sanno sempre come muoversi e come comunicare. Se è necessario, scendono persino in piazza per chiedere giustizia.
Le signore Strangio parteciparono ad una manifestazione antimafia per sostenere l’innocenza del fratello Giovanni, allora latitante. Dicono di essere brave persone. Poveri abitanti di paesino di montagna dimenticato dal sole. Vivono in case apparentemente modeste. Di solito incompiute, non intonacate, con i mattoni a vista. Ma poi si scopre che il loro tenore di vita è altissimo, basta varcare l’uscio per immergersi nel lusso.
Le donne in ombra, le donne vestite di nero, “col lutto di sempre” canterebbe Rino Gaetano, il 1 settembre si ritrovano a Polsi, nel cuore dell’Aspromonte, al cospetto di un’altra donna, la Madonna della Montagna, che per molti è diventata la madonna della ‘ndrangheta perché, secondo gli inquirenti, durante la sua festa, si svolgerebbe la riunione annuale dei massimi esponenti della ‘ndrangheta, compresi nella “Provincia”, il vertice della mafia calabrese.
Vengono dal Nord Italia, dal Canada, dall’Australia e dalla Germania e si riuniscono nei dintorni del piccolo santuario in pietra incastonato nella roccia. Protetti dalla natura, gli ‘ndranghetisti informano il capo crimine, considerato la massima autorità del sodalizio, su quanto accade nei loro territori. Comunicano il numero di affiliati, se c’è una faida in atto da far rientrare, e chiedono consiglio sulle decisioni da prendere nel corso dell’anno.
Gli uomini si riuniscono in gran segreto, mentre le loro donne pregano in ginocchio davanti all’effigie della Madonna. Una donna ruvida con i tratti del volto contratti le guarda dall’alto della sua nicchia scavata nella roccia, una madre accoglie, suo malgrado, altre madri dai cuori oscuri, boss nell’ombra.